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Con gli occhi del medico di base: i disturbi psicologici nella medicina generale

Medicina generale e psicosomatica: il medico di base è spesso chiamato a capire se il paziente necessita dell'invio a un professionista della salute mentale

Di Debora Ferrantini

Pubblicato il 09 Nov. 2020

Il rapporto tra corpo e psiche è un rapporto di interazione, ma l’azione della psiche sul corpo trovò in passato poca clemenza agli occhi dei medici. Oggi la medicina generale ha come compito il processo di diagnosi e di impostazione della cura e prevede la possibilità che il medico ipotizzi la presenza di fattori psicologici, implicati nel disturbo.

 

(…) mi tranquillizzò, gentile, dicendomi
che non avevo nulla di cui vergognarmi,
e che potevo continuare a fare il malato
quanto mi pareva e piaceva. Quasi
fosse un padrone di casa che dice all’ospite:
ma per carità si metta a suo agio,
si ammali pure qui da noi, senza far complimenti.
Quel suo modo rassicurante,
placido e ben intenzionato, riuscì
a calmarmi e a disarmarmi. (La sorella, Sandor Marai)

Il romanzo di Sàndor Marai, La sorella, come poche altre opere letterarie, colpisce per la capacità di raccontare in modo puntuale, vivido e analitico, le vicissitudini della malattia fisica, accompagnata da evidenti sintomi di natura psicologica. Un musicista colpito da un disturbo molto raro, viene ricoverato in una clinica e curato, grazie alla medicina e alla relazione che instaura con medici e infermiere. Da sempre, la relazione mente corpo attraversa il dibattito interno alle diverse discipline – filosofia, medicina, letteratura, psicologia, neurofisiologia, genetica – ma è con Freud, nell’ambito della cultura psicologica occidentale, che si comincia a delineare la possibilità che alcuni disturbi che coinvolgono il corpo non siano completamente spiegabili dalla medicina classica:

Il rapporto tra corpo e psiche (nell’animale come nell’uomo) è un rapporto di interazione, ma l’altro aspetto di questo rapporto, l’azione della psiche sul corpo, trovò in passato poca clemenza agli occhi dei medici. Pareva che questi temessero di accordare una certa autonomia alla vita psichica, come se con ciò abbandonassero il terreno della scientificità. Questo indirizzo unilaterale della medicina in direzione del corpo ha subito man mano negli ultimi quindici anni un mutamento che è scaturito dall’attività medica. Esiste infatti un gran numero di malati, lievi e gravi, (…) nei quali, nonostante tutti i progressi nei metodi di indagine della medicina scientifica, non sono rintracciabili segni visibili e tangibili del processo patologico né in vita né dopo la morte. (…). Si scoprì che, per lo meno in gran parte di questi malati, i segni del male non provengono se non da mutato influsso della vita psichica sul corpo, e che dunque la causa prima del disturbo è da ricercarsi nella psiche. (Freud 1890; trad.it 1967, 94-96)

Se è vero che il costrutto di malattia psicosomatica si diffonde già alla fine del diciannovesimo secolo, nel corso dei decenni successivi, Alexander ( 1950), Marty (1971), Ammon (1974) sono solo alcuni fra gli autori che hanno elaborato teorie per spiegare quelle patologie che si collocano fra mente e corpo. L’utenza del medico nelle cure primarie è eterogenea e caratterizzata da un ampio spettro di disturbi, rispetto ai quali il fattore psicologico può non presentarsi, oppure manifestarsi come elemento centrale o periferico. La medicina generale ha come compito il processo di diagnosi e di impostazione della cura che viene messo in atto grazie alle decisioni del medico, alla collaborazione del paziente, all’eventuale ricorso a test diagnostici e/o all’invio ad altri medici specialisti. Il processo diagnostico prevede la possibilità che il medico ipotizzi la presenza di fattori psicologici, implicati nel disturbo. Prendendo in prestito la distinzione fra “organic” e “disfunctional” citata da Porcelli (2009) in Medicina psicosomatica e psicologia clinica:

Per “organico” in psicosomatica si intende una condizione clinica in cui è documentabile una lesione d’organo mentre per “funzionale” si intende una condizione clinica in cui è colpita una funzione somatica ma senza evidenza di danno d’organo. La seconda coppia correlata alla prima è data dai termini “disease” e “Illness”. Entrambi sono traducibili come “malattia”, ma il primo si riferisce a una patologia di cui è nota l’eziologia (virus, deficit genetico, batterio ecc) mentre il secondo a un malessere o a un disturbo che non è determinato da un agente causale noto di tipo infettivo, genetico o ambientale. (p. 17)

Il fatto che un disturbo, in cui appare colpita una funzione somatica, non sia determinato da ragioni di tipo organico, diagnosticabili e diagnosticate, non significa necessariamente che entri in campo la componente psicologica. Alcuni eventi di natura organica infatti, spesso di passaggio, possono sfuggire alle indagini cliniche. E’ anche vero però che laddove ci si trovi davanti ad una compromissione a livello funzionale, quindi senza evidenza di danno d’organo, il medico prenderà in considerazione l’eventuale implicazione di aspetti psicologici. Se guardiamo ai pazienti con gli occhi del medico di base, mi sembra di particolare interesse il concetto di “peso relativo” (p. 91), cui fa riferimento Porcelli (2009): il clinico deve valutare quanto la componente psicologica sia implicata nel disturbo riportato dal paziente. In veste di primo fronte nei confronti dell’utenza, il medico delle cure primarie, avrà davanti a sé quattro categorie di casi:

  1. Malattie con evidenti cause organiche, che non hanno alcuna correlazione con aspetti psicologici. Dunque, nessun “peso” della componente psicologica.
  2. Disturbi funzionali, rispetto ai quali attraverso accertamenti clinici non si evidenzia nessun danno d’organo. Ipotizzabile quindi che il fattore psicologico abbia un “peso relativo”.
  3. Malattie con evidenti cause organiche alle quali si associano significativi elementi di natura psicologica (la stanchezza cronica o una percezione del dolore elevata, per esempio, in concomitanza con alcuni disturbi organici, non spiegate in modo esaustivo dagli stessi). “Il peso” della componente psicologica non è causa della malattia, ma interviene nel complicare e ampliare lo spettro dei sintomi.
  4. Disturbi psicologici, nei quali il “peso” della componente psicologica, appare centrale, esclusivo. Si tratta di pazienti che si presentano al medico di base con una sintomatologia più o meno ampia, il cui segno è evidentemente di ordine psicologico: disturbi del tono dell’umore, disturbi d’ansia ecc.

Quello che è già di per sé un processo complesso – la definizione della diagnosi e l’impostazione della cura- si arricchisce grazie all’eventuale presenza di un “peso” del fattore psicologico. Durante la fase diagnostica e terapeutica entra in gioco la qualità della comunicazione che intercorre fra medico e paziente, la fiducia che il paziente ripone nel medico e la sua disponibilità alla collaborazione, il senso di autoefficacia di entrambi. Lontani da un’ottica in cui il medico somministra una terapia ad una persona priva di ruolo nel contesto terapeutico, oggi, la narrativa del paziente circa il suo stato di salute, il suo approccio alla terapia, gli stati d’animo che lo accompagnano, sono centrali al fine della comunicazione della diagnosi, del processo di accertamento tramite esami di laboratorio, dell’impostazione della cura, della verifica di una guarigione avvenuta. McDougall (1990) dice in riferimento alle persone che riportano un disturbo psicosomatico

se ne ascolta la musica senza poter udire le parole. (p. 36)

Il “peso” della componente psicologica viene valutato non solo seguendo l’iter che comporta l’esclusione di altre cause, ma cercando di cogliere lo stato d’animo, il momento di vita, le relazioni familiari, la situazione lavorativa, la personalità, le condizioni fisiche, ascoltando quanto riportato dal paziente e cogliendo elementi non verbali che riguardano il tono della voce, la postura, la mimica facciale, ecc. Se il medico intende aprire la strada alla possibilità di accompagnare delle parole alla “musica” che sottintende il problema riportato, porterà avanti la conversazione con il paziente fino ad un eventuale invio ad un professionista della salute mentale attraverso un tipo di comunicazione che sia comprensibile e accettabile per lo stesso. Le parole “stress”, “emozioni”, “aspetti “psicologici”, vengono accolte con maggiore facilità dagli utenti della medicina generale, mentre “psicosomatico” è un’espressione che risulta di difficile collocazione agli occhi del paziente e meno appropriata all’interno di una comunicazione empatica. Che venga o meno accordato un “peso” significativo alla  componente psicologica rispetto alla genesi della malattia, il medico delle cure primarie cercherà di impostare una comunicazione con il paziente non solo sulla base della conoscenza delle caratteristiche personali dello stesso, ma anche ipotizzando quali stati di transizione accompagnano l’attuale momento di vita e l’esordio del disturbo. Fra gli stati di transizione più frequenti: l’ansia (il timore di non sentirsi in grado di affrontare l’evento malattia), la minaccia (il timore che la vita a causa della malattia cambierà in modo significativo), la colpa (il timore di aver causato, con i propri comportamenti, l’avanzare della malattia) e, infine, la tendenza a negare l’importanza, la significatività dell’evento. Farà fronte ai suddetti stati di transizione cercando un equilibrio fra la possibilità di non urtare la sensibilità del paziente e la possibilità di favorire l’autoefficacia dello stesso rispetto al farsi carico della cura. Infine, una nota in riferimento alle malattie croniche, le cui cause di frequente non sono legate ad aspetti psicologici, almeno non in modo esclusivo, ma rispetto alle quali il fattore psicologico diviene una dimensione che spesso accompagna il disturbo. La malattia cronica viene vissuta come un evento che turba l’equilibro del paziente e che genera spesso stati di ansia oltre che paura di andare incontro ad un cambiamento troppo significativo dello stile e della qualità della vita. Grazie alla conversazione, il medico ha la possibilità di verificare se la persona che ha davanti sta facendo fronte all’ ansia o ad una minaccia percepita: attraverso gli strumenti che ha a disposizione, se necessita di un suo intervento che lo aiuti a sostenere questa fase, oppure se è preferibile ipotizzare e favorire un invio ad un professionista della salute mentale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alexander, F. (1950). Psychosomatic medicine. New York: Norton.
  • Ammon, G. (1974). Psychoanalyse und Psychosomatik. Munchen: Piper.
  • Freud, S. (1890). Trattamento psichico (trattamento dell’anima).  Tr. it. in Opere. Boringhieri, Torino, 1967, vol.1.
  • Marai, S. (2011). La sorella. Milano: Adelphi.
  • Marty, P., De M’Uzan, M., David, C. (1971). L’indagine psicosomatica. Sette casi clinici. Torino: Boringhieri.
  • McDougall, J. (1990). I teatri del corpo. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Porcelli, P. (2009). Medicina psicosomatica e psicologia clinica. Milano: Raffaello Cortina Editore.
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