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Timeline under anesthesia – Il tempo sotto anestesia

Durante l’anestesia farmacologica avviene una dissociazione spazio-temporale tra la dimensione del tempo reale e quella percepita dal paziente stesso.

Di Filippo Di Sacco

Pubblicato il 16 Set. 2020

Capita spesso che i pazienti nell’immediato risveglio da un intervento chirurgico chiedano per quanto tempo hanno dormito, altri quanto tempo è passato dall’inizio dell’intervento, altri ancora chiedono addirittura di esser addormentati convinti che debba ancora iniziare l’intervento chirurgico.

 

Tutto questo risulta estremamente normale, la stessa definizione di anestesia come stato di ipnosi associato ad analgesia, amnesia e miorisoluzione descrive bene questo stato della coscienza ben distinto dalla comune veglia, dal sonno e da altri stati alterati della coscienza ultimo dei quali il coma (Oxford English Dictionary, 2005).

Nel tempo, osservando i pazienti prima, durante e dopo il risveglio, mi son soffermato sulla percezione di una specifica dimensione, quella temporale, cosicché nelle lunghe giornate di assistenza ai vari interventi chirurgici mi ero riproposto un semplice esperimento che consisteva nel chiedere al paziente nell’immediato postoperatorio quanto tempo fosse trascorso durante l’intervento, dato da confrontare poi con il tempo ‘reale’, per intenderci quello misurato dagli orologi. Il rapporto tra le due misurazioni ‘tempo percepito’/’tempo reale’ avrebbe così dato luogo ad un nuovo parametro detto ‘indice temporale’ (IT).

Se l’indice temporale è uguale ad 1 significa che mediamente le due misurazioni sono state sovrapponibili, ma questo nella comune pratica clinica è un evento alquanto raro, anzi rarissimo.

Questa osservazione trova conferma nella letteratura scientifica che sottolinea come l’anestesia generale durante il giorno provoca uno spostamento persistente e marcato dell’orologio inducendo efficacemente il “jet lag” e causando una percezione del tempo ridotta (Cheeseman, Winnebeck, 2012).

Cosa avviene dunque durante l’anestesia farmacologica?

Durante l’anestesia farmacologica avviene semplicemente una dissociazione spazio-temporale tra quella che è la ‘dimensione reale’ in cui la registrazione del tempo avviene attraverso una misurazione lineare scandita dal ticchettio degli orologi e quella che è invece la dimensione del tempo percepita dal paziente stesso. Nel momento del risveglio il fenomeno dissociativo si risolve in quanto ‘dimensione reale’ e ‘dimensione percepita’ tornano a coincidere. In altre parole, raccontata alla Stephen Hawking, è come se il paziente durante lo stato anestesiologico andasse in giro in uno dei tanti universi paralleli, fosse un po’ un viaggiatore dello spazio-tempo che poi torna a casa (Cheeseman, Winnebeck, 2012; Carr, 2007).

Quali sono le spiegazioni che ci fornisce la moderna medicina?

Di teorie al momento davvero tante, ma nessuna pienamente esaustiva. Rifacendosi alla biologia, la medicina cerca spiegazioni principalmente farmacologiche, vedendo nell’azione a livello recettoriale dei principali famaci impiegati la spiegazione più plausibile. Durante l’anestesia si creerebbe una dissociazione tra la parte del cervello ‘più moderna’ (corteccia e zone sottocorticali) e quella filogeneticamente più antica (il tronco) con un ruolo di primaria importanza svolto dalla sostanza reticolare che ha una funzione fondamentale nei processi di sincronizzazione e desincronizzazione della coscienza (Mashour, 2019).

La spiegazione medico-biologica e la narrazione fenomenologico-fisica son dunque in contrasto?

Assolutamente no! A mio avviso due facce della stessa medaglia entrambe vere che descrivono aspetti diversi di una stessa realtà, un po’ come dire che in base al contesto descrittivo cambia il contenuto di un quadro che tuttavia, anche se con coloriture differenti, mantiene sempre i suoi tratti salienti, in questo caso fatti di dissociazione e poi di ‘restitutio ad integrum’, ovvero di ritorno alla ‘normalità’.

A questo punto, una riflessione va fatta sul temine stesso di anestesia, dai più tradotta come ‘stato di insensibilità’ o ‘mancanza della facoltà di sentire’, parola tradotta dal medico-poeta Oliver Wendell Holmes che dava spiegazione di questostato della coscienzatraducendone la parola dal greco (Holmes, 1908).

In realtà probabilmente sarebbe più corretto parlare di ‘diversa sensibilità’ o ‘altra sensibilità’ visto che il paziente che si trova in questo stato della coscienza con tutta probabilità non fa altro che vivere semplicemente in un’altra dimensione, distaccata da quella reale, mantenendo sempre la consapevolezzadi tornare alla normalità in seguito al risveglio.

Adesso inizio a capire le parole di mio padre, come me anestesista-rianimatore nonché mio mentore personale, quando mi insegnava dicendomi: ‘ricordati, che se ben fatta, l’anestesia è l’unico momento in cui il paziente sta veramente bene’ ed aveva ragione, rifacendosi all’ipotesi di Paul Donald MacLean, durante l’anestesia si avrebbe una dissociazione tra il cervello rettiliano (archicortex) e il cervello più evoluto (paleo e neocotex) cosicché l’animale-uomo tornerebbe agli stati più arcaici del suo essere sopprimendo completamente la componente cognitiva ed emotiva e mantenendo viva soltanto la parte più istintuale in un sonno simile al coma (Maclean, 1984).

 

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Filippo Di Sacco
Filippo Di Sacco

Medico specialista in Anestesia e Rianimazione

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cheeseman, J.F., Winnebeck, E.C., (2012) ’General anesthesia alters time perception by phase shifting the circadian clock’Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2012 May 1;109(18):7061-6.
  • Carr, B. (2007) ‘Universe or Multiverse’, ed. Cambridge U. Presspp. 19, ISBN 978-0-521-84841-1 , New York.
  • Holmes, O. W., (1908) ‘The Complete Poetical Works of Oliver Wendell Holmes’, Houghton, Mifflin and Company, Boston.
  • Mashour, G.A., (2019) ‘General Anesthesia and the Cortex: Communication Breakdown?’ Anesthesiology. 2019 Apr;130(4):526-527.
  • Maclean, P.D.,‘Evoluzione del cervello e comportamento umano’(1984) Einaudi, Torino.
  • Oxford English Dictionary (2005) Oxford University Press (3rd ed.) September 2005.
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