Nel corso di separazioni coniugali spesso si osservano dinamiche relazionali caratterizzate da una forte ostilità che possono incidere sul benessere psicologico dei figli. In questo ambito si inserisce un fenomeno, attualmente di forte interesse per ricercatori e professionisti dell’ambito psicologico-clinico e forense, denominato alienazione genitoriale.
Daniela Marchetti – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi San Benedetto
Nella letteratura recente il termine alienazione genitoriale è utilizzato per descrivere una dinamica familiare nella quale un genitore (a cui ci si riferisce con la denominazione di preferito o alienante) mette in atto comportamenti (strategie di alienazione) che possono favorire nel figlio un rifiuto ingiustificato e sentimenti di disaffezione nei confronti dell’altro genitore (che assume il ruolo di bersaglio o genitore rifiutato). Non tutti i figli esposti a tali comportamenti cedono alla pressione di rifiutare un genitore, ma quando accade, essi presentano specifici segni rivelatori (manifestazioni comportamentali di alienazione genitoriale) e possono essere considerati figli alienati (Baker & Fine, 2014).
I dati empirici sulle conseguenze derivanti dall’alienazione genitoriale sono ormai robusti e sostanziano la necessità in prima istanza di saper riconoscere dinamiche coniugali complesse, terreno fertile per lo sviluppo dell’alienazione genitoriale, in seconda istanza di individuare interventi che consentano di ridurre gli effetti a lungo termine sui figli.
Il modello a quattro fattori
In letteratura è possibile rintracciare diverse definizioni dell’alienazione genitoriale non necessariamente in disaccordo ma caratterizzate da una enfatizzazione di aspetti diversi del processo di alienazione (Verrocchio & Marchetti, 2017). In questa sede si fa riferimento al modello che individua e sottolinea quattro elementi centrali per la definizione e identificazione della dinamica di alienazione genitoriale. Seguendo questo modello recentemente validato dalla Dott.ssa Amy J. L. Baker (2018), riconosciuta a livello mondiale come una delle maggiori esperte del fenomeno, affinché si possa parlare di alienazione genitoriale è necessario siano presenti contemporaneamente quattro fattori. Se vengono rintracciati solo alcuni di questi non sarà pertanto corretto parlare di alienazione genitoriale.
Il primo elemento da considerare è la presenza di un rifiuto non giustificato di un genitore. Ciò vuol dire che non dovranno configurarsi esperienze di abuso o trascuratezza perpetrate dal genitore bersaglio o rifiutato. In questi casi infatti non è corretto parlare di alienazione genitoriale, ma di rifiuto motivato da parte di un figlio che rientrerebbe tra le dinamiche dell’estrangement (Harman, Bernet, & Harman, 2019; Kelly & Johnston, 2001).
Il secondo elemento è costituito dalla constatazione che il bambino rifiuta un genitore che precedentemente amava e con il quale aveva un buon legame di attaccamento. Per valutare questo fattore risulta fondamentale analizzare in maniera esaustiva la qualità della relazione genitore-figlio antecedente la conflittualità di coppia. Se si rintracciano elementi a sostegno di una relazione normativamente sana, il cambiamento rigido dell’atteggiamento del bambino nei confronti del genitore rifiutato potrà costituire un elemento che contribuirà all’identificazione di un caso di alienazione genitoriale.
Il terzo elemento deriva dall’osservazione di comportamenti tipici da parte del figlio rifiutante. Tra questi comportamenti si possono osservare: la campagna denigratoria del genitore rifiutato; la presenza di motivazioni deboli addotte per il rifiuto ingiustificato del genitore bersaglio; l’assenza di ambivalenza nei confronti del genitore preferito; il fenomeno del pensatore indipendente; il fenomeno degli scenari presi in prestito; la totale assenza di senso di colpa; il sostegno incondizionato del genitore preferito; la diffusione dell’ostilità ad altri componenti del nucleo familiare del genitore rifiutato (nonni, zii, ecc.). Tali comportamenti sono stati identificati e classificati da Gardner (1992) e possono essere rintracciati nella descrizione approfondita proposta da Verrocchio e Marchetti (2017).
Il quarto ed ultimo elemento è costituito dalla presenza di atteggiamenti e comportamenti specifici messi in atto dal genitore preferito. Le strategie di alienazione sono ampiamente descritte nella letteratura internazionale e nazionale (Baker, 2007; Bernet, Baker & Verrocchio, 2015; Verrocchio & Marchetti, 2017). Ci si limiterà pertanto a indicarne solo alcune delle più frequenti per fornire esempi utili. Una strategia spesso utilizzata è il parlar male o denigrare l’altro genitore davanti al figlio. Bisogna precisare che non ci si riferisce a sporadiche critiche o osservazioni fatte nei confronti del coniuge o ex coniuge, ma a continue manifestazioni verbali e non verbali di denigrazione dell’altro genitore davanti al figlio. Un’altra strategia frequentemente riscontrata è costituita dalla messa in atto di comportamenti volti a limitare il contatto e la comunicazione tra il genitore e il figlio (ad esempio, addurre scuse per non rendere disponibile il figlio, limitare o evitare le telefonate, ecc.). Tali strategie possono essere accompagnate da manifestazioni di freddezza emotiva e scarsa responsività se il figlio manifesta la volontà di parlare e/o vedere il genitore bersaglio dimostrando quindi affetto nei suoi confronti. Queste ed altre strategie minano a più livelli la relazione genitore bersaglio-figlio:
- creano una relazione simbiotica tra il bambino e il genitore preferito;
- creano distanza tra il genitore bersaglio e il bambino, attenuando o interrompendo il loro legame di attaccamento;
- portano il genitore bersaglio a provare sofferenza e rabbia nell’interazione con il figlio rifiutante e tali sentimenti contribuiscono ad alimentare il conflitto esistente.
Le conseguenze dell’alienazione genitoriale
L’importanza di identificare correttamente la presenza della dinamica di alienazione deriva da una corposa letteratura che ha individuato effetti negativi in coloro che hanno riferito di essere state vittime di alienazione genitoriale. Tali conseguenze si manifestano attraverso bassa autonomia, sintomatologia ansiosa e depressiva, stile di attaccamento insicuro, distress psicologico e bassa qualità della vita (Baker & Ben-Ami, 2011; Ben-Ami & Baker, 2012; Bernet et al., 2015; Saini et al., 2016Verrocchio & Baker, 2015; Verrocchio, Baker & Bernet, 2016; Verrocchio, Marchetti & Fulcheri, 2015; Verrocchio, Marchetti, Carrozzino, Compare, Fulcheri, 2019). Inoltre l’alienazione genitoriale viene attualmente considerata una forma di maltrattamento psicologico. Diverse ricerche sottolineano in modo stabile che tanto più vengono messe in atto strategie di alienazione da parte del genitore preferito quanto più il figlio si sentirà vittima di maltrattamento (Baker, 2010; Baker & Brassard, 2013; Baker & Eichler, 2014; Verrocchio & Baker, 2015). Questa forma di violenza viene definita in letteratura come una reiterazione di pattern comportamentali o modelli relazionali ritenuti psicologicamente dannosi in quanto creano nel bambino l’idea di essere non amato, non desiderato, non meritevole di amore (Binggeli, Hart, & Brassard, 2001) e comprende atti di commissione (abuso emotivo) e di omissione (trascuratezza emotiva) (Verrocchio, 2014).
Recentemente, partendo dalle caratteristiche definitorie e dalle implicazioni per la salute, la dinamica di alienazione genitoriale è stata proposta come una forma specifica di violenza familiare al fine sia di promuovere un più ampio riconoscimento del fenomeno, sia di fornire una cornice teorica che consenta di condurre ricerche utili ad un ulteriore sviluppo di trattamenti rivolti ai figli alienati e ai genitori bersaglio (Harman et al., 2018; 2019).