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Vaginismo e Dispareunia: differenze e trattamento

Il trattamento di vaginismo e dispareunia, ora disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione, integra aspetti biologici, psicologici e relazionali

Di Andrea Goldoni

Pubblicato il 29 Giu. 2020

Le interpretazioni cognitive come attribuzioni o credenze sul dolore contribuiscono all’incremento della sua intensità (Jodoin et al., 2011) e rivestono quindi un ruolo importante in disturbi come vaginismo e dispareunia.

Andrea Goldoni – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Il dolore cronico sessuale femminile

I problemi di dolore cronico che coinvolgono il sistema riproduttivo femminile rappresentano un importante argomento che riguarda le donne di ogni età. Nonostante ci siano stati progressi significativi nel settore, queste patologie sono ancora poco comprese: solo il 60% delle donne cerca attivamente un trattamento, e il 52% di queste non riceve una diagnosi formale (Harlow et al., 2014). I disturbi da dolore sessuale, vaginismo e dispareunia, che ora sono classificati all’interno del DSM-5 come una singola entità chiamata disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione (American Psychiatric Association, 2013), affliggono secondo le stime dal 14 al 34% delle donne giovani e dal 6,5 al 45% delle donne più anziane. (van Lankveld et al., 2010)

Anche se vaginismo e dispareunia sono stati entrambi classificati come disturbi da dolore sessuale all’interno del DSM-IV, erano differenziati dalle loro principali caratteristiche cliniche. La dispareunia era caratterizzata principalmente da dolore genitale durante il rapporto/penetrazione, che poteva essere introitale (localizzato all’entrata della vagina), profonda (riguardante la parte profonda della vagina o la pelvi), o entrambe (Graziottin, Gambini, 2017). Di contro, il vaginismo era caratterizzato da spasmi involontari del muscolo vaginale, forti abbastanza da interferire con la penetrazione, o da impedirla. (Graziottin, Gambini, 2017; Perez et al., 2016)

All’interno della pratica clinica, tuttavia, i disturbi apparivano spesso in comorbidità, oppure erano difficilmente differenziabili: le aspettative negative o la paura di provare dolore genitale nella dispareunia, ad esempio, potrebbero causare una contrazione involontaria del muscolo pelvico rendendo il rapporto sessuale difficile, e allo stesso modo la contrazione involontaria del muscolo pelvico nel vaginismo potrebbe causare dolore genitale durante un tentativo di penetrazione. In più, è stato rilevato che lo spasmo del muscolo vaginale, la caratteristica principale del vaginismo, non ha costituito un criterio valido e affidabile nel momento in cui è stato testato empiricamente (Reissing et al., 2014; Perez et al., 2016). Molti ricercatori perciò hanno postulato che l’efficacia diagnostica sarebbe aumentata combinando entrambi i disturbi in un’unica categoria.

Caratteristiche del disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione (GPPPD)

Gli attuali criteri diagnostici del DSM-5 per il disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione (GPPPD) includono difficoltà persistenti e ricorrenti in uno dei seguenti ambiti, per almeno 6 mesi e risultanti in un disagio clinicamente significativo: (1) penetrazione vaginale durante il rapporto; (2) marcato dolore vulvo-vaginale o pelvico durante il rapporto o i tentativi di penetrazione vaginale; (3) marcata paura o ansia per il dolore pelvico o vulvo-vaginale prima, durante o come risultato della penetrazione vaginale. (4) marcata tensione o contrazione dei muscoli del pavimento pelvico durante il tentativo di penetrazione vaginale.

I modelli concettuali del dolore sessuale presentano una visione multifattoriale, poiché le prove empiriche suggeriscono l’esistenza di percorsi eziologici multipli, che portano allo sviluppo e al mantenimento del dolore e alle difficoltà relazionali e psicosessuali associate.

Fattori biologici

Studi recenti mostrano almeno quattro possibili percorsi che possono influenzare il rischio di sviluppare questo disturbo: (1) cambiamenti ormonali, (2) cambiamenti neurologici, (3) infiammazione cronica e (4) ipertonia dei muscoli del pavimento pelvico (Bouchard et al., 2002; Harlow et al., 2008). L’inizio potrebbe essere attivato da traumi fisici/meccanici nella zona genitale, con conseguente infiammazione, disfunzione dei muscoli pelvici e altri cambiamenti locali che porterebbero a una sensibilizzazione dei nocicettori e ad altre alterazioni periferali e centrali del processo di elaborazione del dolore (Bergeron et al., 2011). Fattori cognitivi, comportamentali, affettivi e interpersonali possono modulare l’esperienza di dolore e le conseguenze negative associate, in quanto non tutte le donne che hanno un’esperienza iniziale di dolore sono a rischio di sperimentare una condizione persistente (Vlaeyen, Linton, 2000) o di sviluppare un disturbo sessuale.

Fattori psicologici

Similmente ai fattori biologici, anche i fattori psicologici coinvolti nell’eziologia del disturbo sono multifattoriali e vari. In uno studio trasversale su larga scala, le ragazze adolescenti che provavano dolore durante il rapporto sessuale hanno riportato con più frequenza una storia personale di abuso sessuale, timore di essere abusate sessualmente e ansia di tratto (Bouchard et al., 2002). Nello stesso studio, le adolescenti che riferivano abuso sessuale erano più inclini a riportare dolore sessuale rispetto a chi non ha sperimentato un abuso (Landry, Bergeron, 2011). Utilizzando uno studio caso-controllo, dei ricercatori hanno cercato di esaminare il ruolo dei fattori di stress psicosociale nell’eziologia del dolore sessuale. Rispetto alle donne non affette dal disturbo, le donne affette da dolore sessuale hanno sperimentato con una frequenza maggiore di tre volte gravi abusi fisici o sessuali durante l’infanzia, o hanno vissuto da bambine una forte paura di poter essere abusate (Khandker et al., 2014). In uno studio è stato dimostrato che il dolore vulvo-vaginale era quattro volte più probabile nelle donne che avevano precedentemente sperimentato un disturbo depressivo o di ansia, e che questi disturbi erano maggiormente presenti anche come conseguenza del dolore vulvare, rispetto ai controlli sani (Khandker et al., 2011).

Coerentemente con il modello biopsicosociale, sono presenti prove empiriche che indicano che le interpretazioni cognitive come attribuzioni o credenze sul dolore contribuiscono all’incremento della sua intensità (Jodoin et al., 2011) e perciò hanno un grande ruolo nella sua gestione e modulazione. Le donne affette dal disturbo riportano livelli maggiori di catastrofizzazione verso il dolore (ovvero una prospettiva esagerata e pessimistica), rispetto al campione di controllo sano (Payne et al., 2007; Pukall et al., 2002) e mostrano anche alti livelli di ipervigilanza nei confronti del dolore rispetto a uno stimolo neutro. Livelli più alti di catastrofizzazione, paura del dolore, ipervigilanza e bassa autoefficacia sono correlati con un maggiore dolore, mentre livelli più alti di ansia ed evitamento sono correlati con un livello maggiore di disfunzioni sessuali. (Desrochers, et al. 2009).

Fattori relazionali

Dato che il disturbo è sperimentato in contesti sessuali, la ricerca si è gradualmente concentrata sul ruolo dei fattori relazionali. La risposta del partner, la più studiata dei fattori relazionali, può essere negativa (ostilità), preoccupata o facilitante (affetto e incoraggiamento all’utilizzo di strategie di coping adattive). Negli studi trasversali, maggiori risposte facilitanti del partner sono state associate a un minore dolore sessuale femminile (Rosen et al., 2012) e a un migliore funzionamento sessuale (Rosen, 2014), oltre che a una maggiore soddisfazione di coppia, relazionale e sessuale (Rosen, 2015).

Di contro, maggiori risposte negative e preoccupate del partner sono state associate a un maggior dolore (Desrosiers, 2008; Rosen, 2015) e a maggiori sintomi depressivi nelle donne (Rosen, 2014), oltre che a un funzionamento sessuale più basso e a una minore soddisfazione relazionale e sessuale. Mentre le risposte facilitanti promuovono l’uso all’interno della coppia di strategie di coping adattive e di una regolazione emotiva condivisa di fronte al dolore, le risposte ostili o preoccupate del partner rinforzano l’evitamento del dolore e del sesso e compromettono il coping e la regolazione delle emozioni legati alle sensazioni dolorose. Una maggiore ambivalenza nell’espressione emotiva all’interno della coppia (uno degli indicatori di scarsa regolazione emotiva) è stata associata a una riduzione del funzionamento e della soddisfazione sessuale (Awada, 2014). Inoltre, gli studi che hanno esaminato le cognizioni relative al dolore dei partner hanno mostrato che una minore catastrofizzazione verso il dolore era correlata a un minore livello di dolore nelle donne. Di contro, maggiori attribuzioni negative verso il dolore hanno predetto maggiore distress all’interno della coppia, minore soddisfazione sessuale e relazionale, e livelli maggiori di dolore nella donna (Jodoin et al., 2008).

Questi studi evidenziano i diversi modi tramite i quali le convinzioni e le esperienze relative al dolore nel partner possono influenzare direttamente o indirettamente il dolore sessuale della donna, oltre che condizionare la serenità psicologica, relazionale e sessuale all’interno della coppia.

Le coppie in cui è presente il disturbo sono più inclini a sperimentare ostacoli relazionali rispetto alle altre coppie nella popolazione generale. Ad esempio, le donne affette da questi sintomi presentano con più frequenza uno stile di attaccamento insicuro (Granot et al., 2011), e le coppie affette dai sintomi, riportano una minore comunicazione sessuale rispetto alle coppie sane (Smith, Pukall, 2011; Pazmany, 2014). Di contro, una minore comunicazione sessuale e la presenza di un attaccamento insicuro sono associati a una maggiore sofferenza sessuale nelle donne (Pazmany, 2015), un minore funzionamento sessuale all’interno della coppia (Leclerc et al., 2014), e una minore soddisfazione relazionale. Tali studi sottolineano l’importanza da attribuire al contesto diadico nel quale si presenta il sintomo.

Il modello paura-evitamento

Lo sviluppo e la persistenza del disturbo da dolore genito-pelvico e della penetrazione sono stati concettualizzati sotto forma di un circolo vizioso, utilizzando il modello paura-evitamento per spiegare il mantenimento del dolore (Basson, 2012).

Un’esperienza iniziale di dolore produce pensieri ansiosi e catastrofici sul dolore e sul suo significato. Questi portano a un’ipervigilanza somatica che amplifica tutte le sensazioni potenzialmente negative, aumenta le emozioni negative associate al dolore e l’evitamento dell’attività sessuale. A seguito di ciò, si ha una risposta di ipertono dei muscoli del pavimento pelvico, che aumenta la negatività dell’esperienza. Il dolore impedisce l’eccitazione genitale, portando a una minore lubrificazione e a una penetrazione dolorosa. Esperienze ripetute di dolore sessuale confermano la paura e la necessità dell’ipervigilanza, contribuendo all’evitamento della penetrazione vaginale. Infine, l’evitamento dell’attività sessuale previene la disconferma dei pensieri automatici negativi (van Lankveld, 2006).

Il trattamento del disturbo da dolore genito-pelvico e della penetrazione

La terapia cognitivo-comportamentale è stata uno degli interventi più studiati per il trattamento del disturbo da dolore genito-pelvico e della penetrazione (Goldfinger, 2016), e diversi studi hanno dimostrato la sua efficacia (ter Kulle, 2007; van Lankveld, 2006; Breton, 2008; Bergeron, 2016; Brotto, 2015; Goldfinger, 2016; Bergeron, 2001; Engman et al., 2010; Lofrisco, 2011; Ter Kuile, 2015). Gli obiettivi principali della terapia sono le distorsioni cognitive, la disregolazione emotiva e i comportamenti maladattivi che sottendono i sintomi e che disturbano la relazione di coppia. (Bergeron, 2014). Uno dei punti chiave della terapia è lo stabilire obiettivi terapeutici realistici: alcuni esempi sono la riduzione del dolore da grave a moderato o lieve; la riduzione della tensione muscolare nel perineo/pelvi; la riduzione delle cognizioni negative relative al dolore (pensieri catastrofici meno frequenti e l’abilità di considerare le situazioni che generano dolore in una maniera più positiva); coping positivo (l’abilità di focalizzarsi sulle componenti positive dell’esperienza sessuale); miglioramento del funzionamento sessuale (esplorazione delle espressioni della sessualità che non includono la penetrazione, e l’abilità di comunicare i propri desideri al partner) (Engman, 2010).

L’approccio terapeutico iniziale consiste nella psicoeducazione della coppia (Dunkley, Brotto, 2016;). Né il paziente né il partner dovrebbero affrontare la problematica assumendo un ruolo passivo: è un’opportunità per comprendere il problema, aumentare le conoscenze sull’anatomia femminile e sfatare i miti sulla sessualità. La coppia dovrebbe anche essere informata riguardo la natura biopsicosociale del disturbo e sul ruolo delle problematiche psicologiche e di coppia come fattori di innesco e di mantenimento (Weijenborg et al., 2009). La coppia inoltre va messa a conoscenza di strategie comportamentali che possono aiutare a ridurre il dolore.

Un altro obiettivo importante nell’approccio iniziale verso il disturbo è la riduzione dell’ansia. Non è infrequente che, presentandosi al/alla terapeuta, la coppia sia bloccata in un circolo di evitamento: dell’intimità, della discussione del problema, della ricerca di soluzioni, e infine dell’attività sessuale. Nel momento in cui finalmente cominciano il trattamento, è probabile che si sentano ansiosi perché sarà necessario discutere del problema e in seguito riprendere ciò che stavano attivamente evitando: il sesso. E’ importante che il terapeuta sia a conoscenza di questa situazione e rinforzi positivamente il fatto che la coppia abbia cercato aiuto. E’ di fondamentale importanza informarli sul fatto che la terapia si focalizzerà sull’incremento del desiderio, dell’eccitazione e dell’intimità, e non sull’aumento della frequenza delle penetrazioni. Il rapporto sessuale completo non è un obiettivo primario, ma una conseguenza di un trattamento di successo (Meana et al., 2017).

In un secondo stadio della terapia, è importante che il/la terapeuta metta in discussione determinati pensieri riguardo il sesso che sono comuni tra le coppie. Due distorsioni cognitive comuni nelle donne affette nel disturbo, come precedentemente detto, sono l’ipervigilanza e la catastrofizzazione del dolore. Affrontare queste distorsioni è essenziale per ridurre le reazioni emotive disfunzionali. Inoltre, l’uso delle fantasie sessuali dovrebbe essere incoraggiato, poiché le cognizioni sessuali positive incrementano il desiderio e l’eccitazione, i quali possono aumentare la lubrificazione e il piacere, e ridurre il dolore.

La coppia dovrebbe anche essere incoraggiata a esprimere attivamente le sue emozioni e a mostrare fisicamente affettività. L’obiettivo è di scollegare l’affetto fisico dall’anticipazione del dolore genitale, riducendo l’ansia anticipatoria. Ciò può essere raggiunto tramite la tecnica di focalizzazione sensoriale sviluppata da Masters e Johnson e pubblicata nel 1970 nel loro libro Human Sexual Inadequacy. Lo scopo è di passare gradualmente da carezze non genitali a carezze genitali, e infine alla penetrazione. All’inizio, la penetrazione è proibita, cosa che solitamente riduce l’ansia della paziente, permettendole di focalizzarsi sulle sensazioni corporee piacevoli. Questa esposizione graduale al contatto fisico di solito risulta in un aumento del desiderio e dell’eccitazione, e in una riduzione del dolore. La focalizzazione sensoriale è anche utile per espandere il repertorio sessuale della coppia (ter Kuile, 2015).

Poiché la contrazione dei muscoli pelvici è considerata una risposta condizionata alla paura, è consigliabile l’utilizzo delle tecniche di esposizione (ter Kuile et al., 2007). E’ opportuno inoltre l’utilizzo di dilatatori vaginali progressivamente più grandi (desensibilizzazione sistematica), associati a un programma specifico di fisioterapia (Dunkley, Brotto, 2016). L’efficacia di questo intervento è mediata dalla riduzione del comportamento di evitamento e delle distorsioni cognitive, oltre che dall’aumento del controllo del dolore (ter Kuile, 2015). Al termine del trattamento cognitivo-comportamentale i livelli di ansia nella donna si abbassano, e inoltre si ottengono un incremento dell’armonia di coppia e un miglioramento della soddisfazione sessuale generale (Kabakci, Batur, 2003)

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