Vari studi confermano l’ipotesi secondo cui l’attività fisiologica del sonno offre al soggetto la possibilità di riprocessare e riorganizzare le informazioni cariche emotivamente.
Infatti, la teoria della simulazione della minaccia afferma che il sogno svolge una funzione neurobiologica, consentendo una simulazione offline dell’incombere di eventi minacciosi e promuovendo risposte comportamentali più adattive nelle situazioni di vita reale (Valli & Revonsuo, 2009). In altre parole, il dover affrontare delle circostanze problematiche durante la notte, fornirebbe gli strumenti per essere in grado di meglio superare le difficoltà anche di giorno (Valli et al, 2005). Questo però non è l’unico modello presente ed altri si focalizzano sulla capacità del sogno di facilitare la risoluzione di attuali conflitti emotivi (Cartwright et al., 2006), la riduzione dell’umore negativo il giorno successivo (Schredl, 2010), e l’apprendimento del comportamento di estinzione (Nielsen & Levin, 2007). Sebbene con delle differenze riguardo agli aspetti considerati, tutti questi modelli concordano nel suggerire che i sogni portano a risposte più adattive ai segnali di minaccia che si presentano durante l’attività diurna (Scarpelli et al, 2019), in quanto l’ambiente virtuale ed altamente sicuro del sogno permette di mettere in scena gli eventi di vita della storia personale dell’individuo e consente di elaborare ed organizzare nuovamente quello che è precedentemente accaduto e che non era stato adeguatamente compreso (Perogamvros & Schwartz, 2012).
A partire da queste considerazioni il presente studio (Sterpenich et al., 2019) si propone di indagare le regioni cerebrali attivate durante il giorno e durante la notte in conseguenza di situazioni emotive che evocano emozioni di paura, oltre che il collegamento tra l’attività cerebrale durante la veglia e quella esperita durante il sonno.
Nello specifico, nel primo step sono stati selezionati 18 partecipanti non aventi problemi di tipo neurologico o psichiatrico, che sono stati sottoposti al metodo del “risveglio seriale”, in cui gli individui sono stati svegliati molte volte per rispondere a domande in grado di evidenziare la presenza o l’assenza di emozioni di paura o ansia nel momento presente. Parallelamente, a questi soggetti è stata misurata l’attività cerebrale attraverso l’elettroencelografia (EEG), in modo da rilevare le aree cerebrali più coinvolte nelle situazioni minacciose.
Nel secondo step, invece, 89 partecipanti hanno compilato un diario sull’attività del sonno e onirica, in cui è stato chiesto di riportare il contenuto dei sogni avuti la notte precedente e la presenza o assenza di specifiche emozioni durante i sogni, prima di essere sottoposti alla sessione di risonanza magnetica funzionale (fMRI) ed alla misurazione del movimento degli occhi e del diametro pupillare.I risultati hanno evidenziato che la corteccia insulare e la corteccia cingolata anteriore sono attive entrambe nei sogni che evocano paura e nelle situazioni minacciose di vita reale, in linea con le conclusioni rilevate da precedenti ricerche (Alves et al., 2013; Casanova et al., 2016; Pereira et al., 2010), e che gli individui con un’alta propensione a sperimentare paura nei sogni aumentano l’attivazione della corteccia prefrontale mediale quando affrontano stimoli minacciosi da svegli e mostrano una diminuzione dell’attività dell’amigdala, dell’insula e della corteccia cingolata anteriore.
In conclusione, possiamo dire che in entrambi gli step, le metodologie utilizzate e i risultati ottenuti forniscono informazioni complementari riguardo ai processi cerebrali e ai collegamenti tra aree cerebrali coinvolte in situazioni minacciose durante la veglia e durante l’attività onirica, supportando l’ipotesi secondo cui l’attività del sognare migliorerebbe le funzioni di regolazione emotiva del soggetto e lo preparerebbe ad affrontare le evenienze del giorno successivo.