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Sorry we missed you (2019) – Recensione del film

"Sorry We Missed You" è un lungo, interminabile pugno allo stomaco che toglie il respiro e non lo restituisce fino alla fine e persino nei giorni successivi

Di Giorgia Maestri

Pubblicato il 10 Mar. 2020

Sorry we missed you mostra un meccanismo perverso, dove la trappola si nasconde proprio in quel rapporto di lavoro non dipendente, spacciato appunto per autonomo, dove si viene illusi di essere padroni del proprio destino, ma in realtà non si è padroni di nulla, solo inghiottiti da una spirale senza fine e da una fagocitante solitudine.

 

Ricky e Abby sono una coppia di Newcastle e hanno due figli: Sebastian, di sedici anni e Liza di undici. Sono una famiglia unita. A un certo punto della loro vita, Ricky perde la sua occupazione e decide di ricominciare con un lavoro autonomo, come corriere in una grande azienda di consegne. Questo rappresenterà l’inizio di una pericolosa spirale.

Sorry We Missed You è un film tremendamente attuale. Il regista è riuscito a rappresentare, in modo magistrale, la precarietà del nostro tempo attraverso il racconto della disperazione di un uomo che viene spogliato di tutto, perché il lavoro gli ruba la vita. Uno sfruttamento ‘legalizzato’, ipocritamente camuffato da lavoro autonomo, contraddistinto da condizioni disumane e inaccettabili, che però sembra rappresentare – agli occhi di Ricky – l’ultimo spiraglio per poter arrivare ad accendere un mutuo e acquistare una casa.

La tragedia descritta in questa pellicola non è la disoccupazione, bensì il lavoro incessante, pressante, non tutelato.

Nell’illusione che qualcosa prima o poi cambierà, Ricky viene schiacciato da una macchina che lo annienta e lo mortifica a tal punto da arrivare a non riconoscersi nemmeno più il diritto di andare in bagno o di essere malato; trattato come carne da macello, tessera di un sistema sempre in movimento in cui nessuno è davvero indispensabile e chiunque è immediatamente sostituibile. Un meccanismo perverso dove la trappola si nasconde proprio in quel rapporto di lavoro non dipendente – spacciato appunto per autonomo – dove si viene illusi di essere padroni del proprio destino, ma dove in realtà non si è padroni di nulla, inghiottiti a mano a mano da una spirale senza fine e da una fagocitante solitudine.

Non è più la forza lavoro a essere messa in vendita, ma il tempo e – con esso – la  vita.

Così, il tempo utilizzato a lavorare per la famiglia, diventa per Ricky sempre più importante e necessario del tempo passato con la famiglia, con conseguenze devastanti per tutti: una moglie che fa la badante, con un contratto a zero ore che viene pagata “a visita” e che trascorre – a sua volta – tutto il giorno fuori casa ad alternarsi tra un paziente e l’altro, e due figli che tentano di autogestirsi con risultati piuttosto disastrosi. Nonostante il profondo amore che li lega, Ricky, Abby, Sebastian e Liza non si riconoscono né si ritrovano più e tra loro si origina una distruttiva incomunicabilità.

Sorry We Missed You è un lungo, interminabile pugno allo stomaco che toglie il respiro e non lo restituisce fino alla fine e persino nei giorni successivi. E’ un film che non lascia scampo, in cui lo spettatore viene trascinato dentro un susseguirsi di crescenti emozioni ed eventi che risulta contemporaneamente assurdo e realistico.

E’ un’opera che costringe a riflettere su come si sia potuti arrivare a tutto questo. Su come un essere umano possa spingersi così in fondo. Su come un altro uomo possa trattare un suo prossimo come un numero o come una bestia per poi dichiarare che non c’è nulla di personale.

Dopo aver visto questo film tutto è possibile, fuorché rimanere indifferenti.

Non c’è dignità in tutto questo, anche perché non c’è mai stata alcuna dignità nell’essere schiavi. (Ken Loach)

 Sorry we missed you  parla di disperazione. La disperazione di un uomo che è talmente ossessionato dallo scopo di mantenere la propria famiglia e di accendere un mutuo, che perde di vista proprio se stesso, la sua libertà e il benessere della famiglia.  Si assiste alla sua spersonalizzazione, vittima di un ingranaggio al quale sente di non potere che aderire. Un sistema che non ha regole, se non l’obbligo di dover dare tutto e dove quel tutto non basterà mai, perché nulla potrà essere sufficiente. Un apparato che si nutre di precarietà e sfruttamento.

Ricky non si riconosce più, ma ciononostante avverte di non avere altra scelta. Così viene trascinato, giorno dopo giorno, in un vortice da cui viene completamente assorbito, in balìa di sbalzi di umore altalenanti e di scatti di ira incontrollati nei confronti di chi tenta di metterlo di fronte alla realtà. Ricordiamolo:

Non c’è dignità in tutto questo, anche perché non c’è mai stata alcuna dignità nell’essere schiavi.

In questo film si assiste alla perdita dell’individuo, in tutto e per tutto: la perdita dei propri diritti, partendo dalle più comuni funzioni fisiologiche, la perdita di lucidità, la perdita di libertà, la perdita di controllo, la perdita di dignità e la perdita dei rapporti interpersonali, con risvolti catastrofici sulla vita privata.

C’è Abby che, nonostante la stanchezza, il lavoro precario e l’intera giornata fuori casa, riesce a mantenere uno sguardo lucido su ciò che sta avvenendo al marito e alla sua famiglia. Ci sono i due figli, Sebastian e Liza. Sebastian è quello che sembra risentire maggiormente dell’assenza dei genitori e che traduce questo malessere in comportamenti ribelli e trasgressivi, che sembrano sfuggire al controllo di una madre e di un padre troppo impegnati e stanchi per poterli gestire o affrontare. E Liza, ragazzina fin troppo sveglia, che si accorge di ciò che le sta avvenendo intorno e tenta delle goffe operazioni di salvataggio, avvertendo un carico emotivo sulle spalle decisamente più grosso di quello che può portare. E c’è, appunto, Ricky, ormai totalmente assente, spento, che non nutre più alcuna speranza, ma continua ad accanirsi nell’unica direzione che si sente obbligato a percorrere.

In fin dei conti, la frase che dà il titolo al film, quel messaggio che i corrieri lasciano al destinatario che non trovano in casa  – “ci dispiace di non averti trovato” – è probabilmente quella che la moglie e i figli di Ricky potrebbero rivolgere quotidianamente a lui.

In effetti questo film parla di perdersi, ma anche del desiderio e della speranza di ritrovarsi.

Sorry We Missed You può parlare di ognuno di noi. Sorry we missed you parla a ognuno di noi. E per questo è un film necessario.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Sorry we missed you (2019). Un film di Ken Loach, con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone e Katie Proctor – Drammatico – Regno Unito, Belgio, Francia.
  • Coratti, B., Lorenzini, R., Scarinci, A., Segre, A., (2012) Territori dell’incontro. Strumenti psicoterapeutici, Alpes Italia, Roma.
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