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Piccole donne: ritratto della condizione femminile e delle sue sfide sempre attuali nella società odierna

Piccole donne racconta le complessità che le donne devono affrontare nelle società e non propone un modello ideale ma diverse sfumature dell'essere donna

Di Letizia Muro

Pubblicato il 12 Mar. 2020

Aggiornato il 17 Mar. 2020 14:56

Piccole donne è il nuovo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Louisa May Alcott, pubblicato per la prima volta nel 1868.

 

Attenzione – L’articolo può contenere spoiler

Diretto da Greta Gerwig, narra la storia delle sorelle March sullo sfondo della Guerra Civile Americana. Protagoniste sono Meg (Emma Watson), Jo (Saoirse Ronan), Amy (Florence Pugh) e Beth (Eliza Scanlen) alle prese con il passaggio tra adolescenza e vita adulta, con i relativi compromessi che quest’ultima impone (Fig. 1).

A differenza del romanzo, il film parte dalla vita adulta delle sorelle March, sviluppando la storia delle sorelle bambine con continui flashback.

Piccole donne 2019 Recensione e riflessioni sulla condizione femminile Fig 1

Fig. 1: Le sorelle March, protagoniste di Piccole donne

Se la guerra ha sottratto alle sorelle March la precedente agiatezza e la presenza della figura paterna, chiamata sul fronte, essa non scalfisce le loro passioni e il loro temperamento. Linfa che ognuna di loro quattro alimenta con propensioni e convinzioni diverse, ma sempre in condivisione. Meg è infatti appassionata di recitazione e coltiva la sua passione nella soffitta di casa inscenando con le altre divertenti atti teatrali; ella incarna il modello più consono alla visione femminile del tempo, sognando il matrimonio e la famiglia come realizzazione massima e primaria. Jo è la più ribelle e anticonformista, ostinata nel voler far valere il suo talento, la scrittura, in un mondo e tempo che è ancora molto lontano dall’aprire le porte ad una autrice donna. Amy, la più vanitosa di tutte, ama dipingere ed è segretamente innamorata di Laurie, che però non ha occhi che per Jo; e allora si impegna nella ricerca del rampollo più promettente da sposare e che possa salvare lei e la sua famiglia dalla povertà, come suggerisce Zia March (Meryl Streep). E infine la dolce Beth, una talentuosa pianista che non fa in tempo a veder sbocciare la sua passione perché stroncata dalla scarlattina.

La portata rivoluzionaria di questa narrazione sta nell’essere sempre attuale e vivida nelle sue dinamiche relazionali e sociali. È possibile rivivere quelle dinamiche tipiche dei rapporti famigliari, ma anche i dogmi che la società, seppur in maniera attenuata rispetto al passato, ancora impone alle donne. Ci sono i naturali vissuti di gelosia, competizione e frustrazione che si instaurano tra fratelli e sorelle. Come accade tra Jo e Amy: Amy che per tutta la sua adolescenza si sente seconda, all’ombra della tenace e predominante Jo, tanto in amore quanto in talento. Vi è il profondo dolore di vivere il lutto della sorella minore Beth, a causa della malattia. E il dover affrontare ogni difficoltà senza la presenza del padre, con una madre impegnata a provvedere al sostentamento di tutta la famiglia. Ma vi è anche il tema del matrimonio, che suona quasi come un destino scritto e immutabile per una donna; l’unica opzione possibile per garantirsi la sopravvivenza, l’unica accezione di realizzazione personale prospettata. Allora meglio trovarsi il più benestante dei consorti, perché non c’è altra via per sopravvivere che non sia sposarsi; a meno che non si sia ricchi, come la zia March che ha infatti potuto scegliere di non farlo. Colei che più contesta questa visione ingiusta e patriarcale è Jo, che si scaglia contro tutto e tutti pur di rovesciare questo dogma: implora la sorella maggiore Meg di non sposarsi, di non demordere e continuare a investire nella sua passione, la recitazione; rifiuta l’amore incondizionato di Laurie perché è stufa di affidare il suo destino all’amore di default, essendo per lei fondamentale essere prima realizzata come donna e come scrittrice, e solo dopo come moglie. Questo non implica, tuttavia, che la sua caparbia ostinazione non le causi sofferenza. Significativa ed intensa è la scena sul finale in cui Jo confessa alla madre tutta la sua rabbia ma anche il suo strazio:

Le donne hanno una mente e un’anima, oltre che un cuore. Hanno ambizioni e talento, oltre alla bellezza, e sono così stanca delle persone che dicono che l’amore è tutto ciò per cui una donna è adatta. Ma sono così sola.

Si evince in questa ammissione tutta la complessità che le donne, ieri come allora, si trovano a vivere: lo scagliarsi contro i dettami della società che le vuole relegate prioritariamente al ruolo di mogli e madri ma al tempo stesso il costo emotivo e le rinunce che combattere tali visioni comporta. Potrebbe all’inizio sembrare che tutta la narrazione veicoli il messaggio che ‘essere Jo è la via per essere felici’, la versione giusta dell’essere donna, eppure a un certo punto è proprio Jo che rischia di essere la più infelice per aver represso il cuore dietro le sue auto imposizioni.

In realtà Jo March, alterego letterario della scrittrice Alcott a cui si sovrappone anche la regista, ci trasmette, proprio con quella confessione di rabbia e solitudine, un insegnamento fondamentale: non esiste un modello femminile migliore dell’altro, un modo più giusto di essere donna. Ognuna delle sorelle March rappresenta una sfumatura diversa della persona. Ciò che conta è restare fedeli a sé stesse, perseguire le proprie aspirazioni e seguire sì anche il proprio cuore e l’amore. Accettare il matrimonio, ma come scelta libera e non per costrizione sociale o in mancanza d’altro. Tutte le sorelle March arriveranno a sposarsi ma nel modo e per la ragione che riterranno più opportuna. Meg, la maggiore, lo fa perché lo vuole, perché è ciò che sogna da sempre. E pur avendo investito tempo ed energie nella ricerca del compagno migliore, alla fine cede all’amore di un umile istitutore che le ha rubato il cuore. Amy opta per il matrimonio nel momento in cui realizza di non avere molto talento come pittrice e che nonostante gli sforzi esso non la porterà mai da nessuna parte. Si sposa, ma lo fa con il suo grande amore sin dall’infanzia, Laurie. E infine, persino la restia Jo cederà all’idea dell’amore e del matrimonio, ma solo dopo aver fatto valere il suo talento di scrittrice e aver trovato la persona giusta.

Piccole donne è considerato sin dagli albori un vademecum per l’emancipazione personale di donne e scrittrici, tante sono state le autrici che ne hanno rivendicato l’ispirazione, da Margaret Atwood e Simone de Beauvoir fino a giungere ai giorni nostri con Elena Ferrante. Tuttavia è errato e riduttivo considerare questo capolavoro come un romanzo al femminile: si tratta di un classico universale che, come tale, dovrebbe essere indistintamente fruito da tutti, senza distinzione di genere. Ancora una volta la narrativa e il cinema si ergono ad obiettori degli stigmi sociali più perpetrati e sofferti, a promotori ante tempore di fiducia e innovazione, promulgando l’invito a credere e affermare chi si vuole essere e cosa si vuole fare nella propria vita, anche e soprattutto per una donna.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alcott M. (1868). Piccole donne (Little Women). Boston.
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