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Lion. La strada verso casa – La LIBET nelle narrazioni

Ripercorriamo insieme la storia di vita di Saroo, bambino indiano adottato, mostrando l'invalidazione del suo piano semiadattivo in chiave LIBET.

Di Angela Galanti

Pubblicato il 23 Mar. 2020

L’appassionante storia di Saroo, un ragazzo indiano alla disperata ricerca delle proprie origini dopo il processo d’invalidazione che manda in crisi il suo piano semiadattivo prudenziale di evitamento del tema doloroso.

La LIBET nelle narrazioni – (Nr. 11) Lion

 

Attenzione, l’articolo può contenere spoiler!

Lion è un film del 2017 diretto da Garth Davis ed interpretato da Dev Patel, basato sul libro autobiografico A Long Way Home di Saroo Brierley. Quest’ultimo nasce in India e all’età di sei anni viene adottato da una famiglia della Tasmania, con la quale vive fino al trasferimento a Sidney, dove frequenta il college.

Durante una cena con dei colleghi universitari, Saroo vede un dolce indiano che era solito mangiare da piccolo, questo evento provoca l’invalidazione del suo piano semiadattivo e lo fa entrare in contatto con il suo tema doloroso, fino a quel momento evitato. Racconta a tutti i commensali la sua storia, di come all’età di cinque anni si fosse recato con il fratello maggiore, Guddu, fuori dal suo villaggio in India e di come lui, vedendolo stanco, avesse deciso di lasciarlo riposare su una panchina della stazione, per poi ritornare a prenderlo dopo il turno di lavoro. Quella fu invece l’ultima volta che si videro, perché Guddu non tornò a riprendere il fratellino. Il piccolo, spaventato per la lunga assenza del fratello, iniziò a cercarlo in tutta la stazione, anche su un treno in sosta, che partì con lui bloccato all’interno e viaggiò per giorni fino ad arrivare nell’immensa Calcutta. In quella città nessuno parlava la sua lingua e nessuno era in grado di comprendere il paese dal quale diceva di provenire. Passò vari mesi nella città di Calcutta dove dovette vivere per strada, costretto a sopravvivere a numerose situazioni pericolose, finché non arrivò in un orfanotrofio dove venne scelto, insieme ad altri bambini, per essere educati e preparati all’adozione.

Prima di perdersi, Saroo era molto legato alla mamma, che lavorava nelle miniere come raccoglitrice di pietre e, nonostante fosse molto piccolo, si sentiva anche lui l’uomo di casa, come suo fratello Guddu, dal quale non si staccava mai. Per questo motivo dal momento della separazione si genera in lui un senso di colpa nei confronti della sua famiglia di origine, che però in seguito si estende anche a quella adottiva, visto la dissonanza che si crea tra il voler ritrovare la sua famiglia e il non deludere quella che con tanto amore lo ha accolto. Mediante il processo d’invalidazione viene meno il piano semiadattivo prudenziale, di evitamento del tema doloroso. Saroo si sentiva sbagliato (tema d’indegnità) per essersi smarrito ed aver perso il fratello e questo senso di colpa viene alimentato dai sogni ricorrenti che ha, nei quali sente la voce del fratello che lo chiama a squarciagola.

Loro mi staranno cercando, non ho altra scelta che trovarli.

Questo è ciò che dice Saroo alla fidanzata prima di impegnarsi in una ricerca disperata del suo villaggio, usando Google Earth, chiudendosi in casa e allontanandosi da tutti i suoi affetti. Dopo 25 anni Saroo riesce a trovare il suo villaggio di origine e si reca lì dove trova la madre e la sorella più piccola, che gli raccontano di come Guddu fosse morto travolto da treno poco dopo aver lasciato Saroo a riposare in stazione. In quell’occasione scopre anche di aver sempre pronunciato male il suo nome, che era invece “Sheru”, che significa Leone.

 

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