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Legame di coppia e famiglia d’origine

Si riflette sulle relazioni e sui legami di coppia e sull'influenza che la famiglia di origine e la comunità di appartenenza esercitano su di essi

Di Mariano Indelicato

Pubblicato il 17 Mar. 2020

Osservando le caratteristiche dei legami di coppia nei romanzi dell 1800, ma anche nella vita reale, si può notare la contrapposizione tra l’adesione all’etica familiare e ai compiti generazionali e l’accesso al mondo dei sentimenti.

 

Essendo la ‘fuitina’ una scelta soggettiva, questa tende a mettere in crisi l’identità dell’intera comunità ed è quest’ultima che per paura di mettere in crisi l’ordine sociale si stringe attorno alle famiglie di origine. La celebrazione del matrimonio riparatore era un modo per riportare e riportasi all’interno del sistema culturale e sociale di appartenenza. Con tutto il rispetto per la rottura dell’imene femminile, il problema insito nella ‘fuitina’ era la messa in crisi dei meccanismi sociali che regolavano le modalità per arrivare alla nuova unione matrimoniale. La ‘fuitina’ depotenziava il potere dei genitori nella scelta dell’altro e tra l’altro esponeva l’unione matrimoniale al pathos senza tenere conto dei principi etici. Sappiamo che il pathos senza l’ethos espone il legame a tutti i capricci momentanei e, quindi, non dà garanzia di una unione duratura. Il matrimonio riparatore era il modo per inserire il pathos all’interno del contesto etico di riferimento e, quindi, dare certezza di durata al legame. ‘Nessuno osi separare ciò che Dio ha unito’ era uno dei principi su cui veniva fondata questa certezza. La perdita della verginità femminile era il modo con cui inchiodare i due trasgressori alle loro responsabilità. La donna sapeva che se rifiutava il matrimonio riparatore sarebbe passata per svergognata e difficilmente avrebbe potuto sposarsi; il maschio sarebbe diventato inaffidabile e, quindi, difficilmente avrebbe trovato una nuova compagna.

La rinascita del legame, la resurrezione del legame, avveniva con la generatività. Le ragazze, spesso, tornavano a casa incinte. Era questa la garanzia del rientro all’interno del contesto normativo di riferimento. I figli legano per sempre e contribuendo alla continuazione della specie restituiscono il dono attraverso il quale ci è stata data la vita: abbiamo ricevuto la vita e ridiamo la vita. Generare figli è la resurrezione del legame che ci ancora alla storia generativa soddisfacendo sul piano etico i principi di giustizia e lealtà: ricevere e dare la vita.

A Ragusa vi è un celebre castello che la tradizione popolare vuole intitolato proprio alla donna fuggita anche se ricerche più precise indicano che il nome di origine araba vuol dire tutt’altro. L’intitolazione di Castello di Donnafugata, per la tradizione popolare, è da riferire alla vicenda storica della regina Bianca di Navarra che dopo la morte del marito re di Sicilia Martino I, divenne reggente e regina del regno di Sicilia. Il Conte Cabrera di Ragusa la chiese in moglie e al suo rifiuto la fece rapire e rinchiudere all’interno del Castello di Donnafugata, da dove la donna riuscì a scappare con l’aiuto dei suoi servi. Da qui il nome di donna fuggita ovvero Donnafugata.

Rapire la donna scelta per costringerla ad accettare un matrimonio rifiutato era una pratica che in qualche modo era da collegare alla ‘fuitina’ anche se in questo caso si cercava di mettere la ragazza di fronte al dato di fatto, invece che i genitori. La ragazza al ritorno a casa non poteva rifiutare di sposare l’uomo che l’aveva rapita. Celebre è il rifiuto di Franca Viola, recentemente insignita dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, al matrimonio riparatore dopo il rapimento e lo stupro. Anche in questa storia sono in gioco i principi di giustizia e lealtà. Franca Viola, appena quindicenne, si fidanzò con il consenso dei genitori con Filippo Melodia, nipote di un boss mafioso. Subito dopo il fidanzamento, il Melodia fu arrestato per furto e il padre della ragazza decise di interrompere il fidanzamento. A seguito di questa decisione la famiglia Viola venne più volte minacciata, anche attraverso intimidazioni mafiose. Malgrado le minacce, la ragazza non riprese la relazione con Filippo Melodia. Non contemplando gli usi e le consuetudini mafiose, Franca, all’età di diciassette anni, venne rapita e portata in un casolare nelle campagne di Alcamo dove fu stuprata dal precedente fidanzato cercando di metterla di fronte al fatto compiuto. Dopo pochi giorni venne contattata la famiglia Viola per la ‘paciata’, la famiglia avvertì immediatamente la polizia che in un blitz liberò Franca e arrestò i colpevoli. Franca non accetto mai di aderire al matrimonio riparatore anche se sapeva benissimo che questa sua scelta poteva significare restare zitella per sempre. In una Intervista a Riccardo Vescovo, Franca ha recentemente dichiarato:

Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori.

Io credo che Franca lo abbia fatto sicuramente per i suoi sentimenti, ma è anche riuscita a resistere alla tentazione comunitaria che la spingeva verso il matrimonio riparatore, per la forte adesione ai principi etici della sua famiglia di origine. Sarebbe stata una grossa ingiustizia nei confronti del padre che aveva resistito alle tante minacce e intimidazioni mafiose.

Una mia cliente, al contrario, sempre per aderire ai principi etici della famiglia di origine, ha accettato le nozze riparatorie. Viene in terapia perché da circa due anni soffre di attacchi di panico che si manifestano con maggiore intensità all’interno della casa dei genitori e fuori di casa. Sposata, madre di tre figli, con un apparente buon rapporto con i genitori. Quando parliamo del suo matrimonio emerge che era stata rapita dal marito che l’aveva portata nella casa di campagna della sorella dove, dopo essere stata stordita con l’alcool o qualche altra sostanza, era stata violentata. Era rimasta in quella casa per una settimana dove alla fine, dopo molte insistenze, la mamma era andata a trovarla. Aveva aspettato quella visita con molte speranze ed invece la mamma le aveva comunicato che a quel punto era costretta a sposare il suo rapitore. Il marito lavorava ed ancora lavora con il suocero con il quale ha un ottimo rapporto come se fosse suo figlio. Dopo un periodo di tempo, il marito le aveva confessato che ad organizzare e a spingerlo verso il rapimento era stato proprio il padre visto che lei, a quel tempo fidanzata con un altro ragazzo, lo respingeva. La signora in terapia ammette che al marito vuole bene perché lo considera una vittima del padre, ma non sa se lo ama o meno. Esattamente due anni e mezzo prima aveva incontrato casualmente, mentre era a fare la spesa, il suo ex fidanzato che non vedeva dall’epoca del rapimento. A seguito di questo incontro si sono sentiti qualche volta per telefono nei successivi quattro mesi fino a quando l’ex non le ha chiesto un appuntamento. La Signora ha rifiutato l’appuntamento e non l’ha più sentito per telefono. Dopo un paio di mesi, ha iniziato a soffrire di attacchi di panico.

Essendo i sintomi espressione del nostro sistema emotivo non vi è dubbio che la loro comparsa sia da far risalire alla scelta in cui la mette di fronte l’incontro con l’ex fidanzato. Da un lato l’adesione all’etica familiare e ai compiti generazionali, dall’altro l’accesso al mondo dei sentimenti. Gli attacchi di panico che non le permettono di uscire di casa risolvono l’apparente conflitto tra il tradire e/o il non tradire. Nel contempo, però, essi servono ad allontanarsi dalla propria famiglia di origine e, in particolare, ad allontanare il marito dalle continue ingerenze del padre. Ella considera il marito un bravo ragazzo sotto la totale influenza del padre.

Ritornando al Castello di Donnafugata, esso è teatro di un’altra celebre ‘fuitina’ che contribuisce alla fama della sua intitolazione. Il castello fu comprato nel 1600 dalla famiglia Arezzo e nel 1800, per successione testamentaria, passò al barone Corrado Arezzo sposato con Concettina Arezzo di Trefiletti dal quale ebbe un’unica figlia, Vincenzina Arezzo. Quest’ultima si sposò con un Castello Paternò dal quale fu lasciata insieme alle due figlie Clementina e Maria. Per l’enorme dispiacere Vincenzina Arezzo cadde in depressione e da lì a poco morì a Parigi, dove si era recata per curarsi, lasciando le due figlie in custodia al padre. Maria si sposò con un nobile di Messina e morì durante il terribile terremoto del 1908. Clementina, s’invaghì di un ospite del nonno, il Visconte Combes de le Strade, con il quale tentò la fuga su un veliero dirigendosi verso l’isola dell’amore vicino Malta. Il barone Corrado Arezzo resosi conto della ‘fuitina’ della nipote, mandò il suo campiere a riprenderla. Ritornata al castello Clementina sposò il visconte, si trasferì a Parigi ed ebbe una figlia, Clara de le Strade.

Oltre alla ‘fuitina’, dalla storia della famiglia di Corrado Arezzo emerge come un regolare matrimonio approvato dalla famiglia di origine comportava terribili disgrazie. Succede alla figlia Vincenzina, lasciata dal marito e morta per la conseguente depressione, alla nipote Maria, morta insieme al marito nel terremoto di Messina. Per rompere questa terribile eredità generazionale, bisognava salvarsi attraverso un forte segnale di trasgressione come la ‘fuitina’.

Se la ‘fuitina’ serve a rompere un contesto d’imposizione, a volte ciò non è possibile per le forti pressioni delle famiglie di origine. L’amore contrastato tra Margherita e Armando Duval, in La signora delle Camelie di A. Dumas (1848), ne è un esempio. Armando si innamora della più bella cortigiana di Parigi che era la mantenuta di un duca. Con insistenza e per amore riesce a far abbandonare la sua vecchia vita a Margherita che accetta di andare a vivere con lui in campagna. La sua scelta viene fortemente contrastata dalla sua famiglia di origine che non può accettare che il figlio viva con una ex prostituta anche perché la sua scelta mette in pericolo il matrimonio della sorella, poiché la famiglia del futuro marito non avrebbe accettato il matrimonio, se lui non avesse troncato la relazione con Margherita. Armando resiste alle pressioni della famiglia di origine andando via da casa. All’improvviso viene lasciato da Margherita che riprende a fare la vecchia vita. Solo dopo la morte della cortigiana, tramite una lettera, scopre che era stato suo padre a riuscire a convincere Margherita a lasciarlo. Se ‘trasmettere discendenza’, come abbiamo detto sopra, è la resurrezione del legame, anche ‘la trasmissione dei beni e dello status è un caposaldo del familiare. Trasmettere discendenza e trasmettere eredità di beni e di status viaggiano accomunati, è questa la passione che coinvolge le famiglie’ (Cigoli, 2008).

Allo stesso modo Ourika, nell’omonimo romanzo di Claire De Duras (1823), non riesce a coronare il suo sogno d’amore per il colore della sua pelle. Il ‘frequentare il mondo dei sentimenti’ è fortemente influenzato dal contesto. Per ritornare alla libertà di scelta, dobbiamo chiederci se essa esista realmente o non sia fortemente influenzata dal contesto di riferimento. Esiste, per dirla con Botturi, un contesto che facilita la libertà?

Cigoli risponde a queste due domande con l’emergere, rispetto al pathos della relazione, di nuove forme di soggettività e cioè ‘sia l’essere soggetto alla storia, sia l’essere soggetto di storia’. Al fine di diventare protagonista della storia bisogna trasgredire e attraverso l’atto trasgressivo si costringe il contesto a cambiare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • AA.VV. (2003), Il Castello di Donnafugata a Ragusa, Palermo: Edizioni Kalós
  • AA.VV. (2006), Donnafugata Il castello, Rausa: Filippo Angelica Editore
  • Dumas, A. (1848), La signora delle camelie, Milano: Rizzoli, 2002
  • De Duras, C. (1823). Ourika, Milano: Adelphi, 2010
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