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Ansia e Alimentazione

Spesso chi richiede un intervento per un disturbo d’ansia lamenta anche disturbi dell’apparato digerente ed è quindi utile approfondire questa relazione

Di Laura Capecchi, Elisa Moretti

Pubblicato il 04 Mar. 2020

Esiste una forte correlazione tra ansia e alimentazione, infatti spesso la ricerca di cibo gratificante è correlata alla necessità di incrementare i livelli di serotonina, ma col tempo questo tipo di cibi impatta negativamente sul nostro apparato digerente.

 

L’ansia è la normale e innata risposta del nostro organismo che si prepara ad affrontare una situazione soggettivamente percepita come minacciosa attivando tutte le funzioni neurovegetative necessarie per l’attacco o la fuga (aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, tensione muscolare, sudorazione, rallentamento della digestione, aumento dell’attenzione e della vigilanza).

Entro un certo limite l’ansia rappresenta una risposta adattiva e funzionale, una reazione di difesa dell’organismo volta ad anticipare la percezione del pericolo prima che questo sia chiaramente identificato. Tuttavia quando risulta immotivata o sproporzionata rispetto all’evento scatenante o quando si protrae nel tempo ed è d’intensità tale da interferire con il normale funzionamento dell’individuo, l’ansia diventa patologica dando origine a sintomi psicologici (senso soggettivo di apprensione e di penosa attesa, inquietudine, nervosismo, insicurezza e timore, difficoltà di concentrazione, rimuginio), neurovegetativi (sudorazione, tachicardia, sensazioni di nodo alla gola e di soffocamento, vertigini, tremori, disturbi gastroenterici, alterazioni nel ritmo sonno-veglia) e motori (tensione, irrequietezza, agitazione) che determinano una limitazione delle capacità di adattamento dell’individuo e che possono sfociare in un disturbo d’ansia conclamato.

Spesso coloro che richiedono un intervento specialistico per un disturbo d’ansia, lamentano anche disturbi a carico dell’apparato digerente. Gli aspetti emozionali sono infatti fortemente correlati alle funzioni intestinali e la risposta agli agenti stressogeni può portare a una condizione di disbiosi intestinale che tende a ridurre l’assorbimento del triptofano, amminoacido essenziale che, essendo il precursore della serotonina, ne riduce la sua sintesi favorendo un amento dello stato ansioso.

Esiste inoltre una forte correlazione tra ansia e il modo di alimentarsi.

Molte persone riducono o rifiutano il loro cibo abituale sentendo talvolta addirittura l’incapacità di far arrivare qualche boccone nello stomaco; altri vanno a ricercare cibi di gratificazione (comfort food), spesso ricchi di carboidrati e grassi avendo sperimentato che possiedono un effetto calmante proprio sul sintomo ansioso; altri ancora mangiano di più in generale, identificando, forse, nel cibo, una sorta di supporto energetico.

La ricerca di cibo gratificante come dolci, biscotti, bibite zuccherate, cioccolata è correlata alla necessità di incrementare i livelli di serotonina e il nostro cervello, senza che ce ne rendiamo conto, ci indica dove possiamo trovarne i precursori.

Succede però che, in tempi più o meno brevi, questo tipo di cibi impatti sul nostro apparato digerente creando disagi digestivi o gonfiori a stomaco e addome fino a problemi di reflusso gastroesofageo, bruciori o sindrome dell’intestino irritabile in grado, a loro volta, di creare un circolo vizioso di aumento di ansia e stress. Inoltre i cibi caratterizzati da una forte presenza di zuccheri semplici e con elevato Indice Glicemico (IG, che misura la velocità di digestione e assorbimento dei cibi contenenti carboidrati e il loro effetto sulla glicemia) porta a forti oscillazioni della glicemia con conseguenti ripercussioni sull’energia a disposizione per tutte le cellule dell’organismo e in particolare quelle del sistema nervoso centrale. Un eventuale aumento di peso conseguente alimenta, poi, il circuito ansia-stress.

Da qualche anno molti studi stanno mettendo in evidenza il ruolo dei nostri batteri intestinali (microbiota) nella comunicazione cerebrale, in quanto capaci di inviare segnali direttamente dall’intestino al cervello attraverso svariati meccanismi:

  • innervazione intestinale: i microrganismi sembrerebbero influenzare l’attività nervosa utile a determinare l’attivazione del sistema immunitario
  • produzione di metaboliti: tramite questi ultimi, il microbiota sembrerebbe in grado di influenzare lo stato infiammatorio, i livelli di triptofano e di acido kinurenico (neuroprotettivi). Inoltre, produce direttamente neurotrasmettitori come GABA  e BDNF (brain-delivered neurotrophic factor).

Già da tempo molti studi hanno indagato sul ruolo del microbiota intestinale in relazione a dieta ed emozioni. Una dieta ad elevato contenuto di grassi può promuovere la ‘leaky gut sindrome’, aumentando la permeabilità intestinale (Cani et al., 2008, Hildebrandt et al., 2009, Kim et al., 2012) in maniera analoga allo stress (Gareau et al., 2008, Ait-Belgnaoui et al., 2014), e l’incremento di produzione di citochine da parte dei batteri le quali, a loro volta, sembrano in grado di sensibilizzare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA axis) verso un comportamento ansioso e depressivo.

Al contrario, cambiamenti della composizione del microbiota attraverso la dieta e supplementazioni di specifici probiotici, possono portare ad una migliore risposta allo stress.

Studi in vivo su modelli animali hanno indagato la comunicazione tra cervello e intestino andando a dimostrare come il microbiota intestinale sia alterato anche in condizioni di stress o di disturbi associati allo stress e di come si vada a perdere in parte la funzionalità della via metabolica degli acidi grassi a catena corta (SCFAs).

Gli SCFAs come acetato, propionato o butirrato, sono in larga parte prodotti in seguito alla fermentazione intestinale di alimenti ricchi di fibre e hanno da tempo dimostrato di apportare numerosi benefici all’ospite, sia a livello intestinale che sistemico raggiungendo perciò anche il cervello e, quando supplementati, hanno dimostrando di ridurre i livelli di ansia dopo il periodo di stress prolungato.

In alcune ricerche si è visto, in modelli murini, che la combinazione di due prebiotici come i frutto-oligosaccaridi (FOS) e i galatto-oligosaccaridi (GOS) sia in grado di modulare l’ansia e i comportamenti stress-correlati in animali sani. Lo studio evidenzia anche che questi prebiotici modificano l’espressione di geni specifici in zone chiave del cervello in grado di ridurre comportamenti ansiosi e depressivi suggerendo come il microbiota intestinale possa essere un importante target per la psichiatria nutrizionale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ait-Belgnaoui, A., Colom, A., Braniste, V., Ramalho, L., Marrot, A., Cartier, C., Houdeau, E., Theodorou, V., Tompkins, T. (2014). Probiotic gut effect prevents the chronic psychological stress-induced brain activity abnormality in mice, neurogastroenterology and motility. Official J. Eur. Gastrointest. Motil. Soc. 26, 510–520.
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  • Cani, P.D., Bibiloni, R., Knauf, C., Waget, A., Neyrinck, A.M., Delzenne, N.M., Burcelin, R. (2008). Changes in gut microbiota control metabolic endotoxemia-induced inflammation in high-fat diet-induced obesity and diabetes in mice. Diabetes, 57, 1470–1481.
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  • Hunley, S. (n.d). Modifying the Gut Microbiome Could Lead to Treatments of Chronic, Anxiety,and Stress-Related Disorders. Available here.
  • Kim, K.A., Gu W., Lee I.A., Joh E.H., Kim D.H. (2012). High fat diet-induced gut microbiota exacerbates inflammation and obesity in mice via the TLR4 signaling pathway. PLoS One. 7 (10), e47713.
  • Lach, G., Schellekens, H., Dinan, T.G., Cryan, J.F. (2018). Anxiety, depression and the microbiome: a role for gut peptides. Neurotherapeutics, 15(1),36-59.
 
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