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Una madre incontra la figlia morta grazie alla realtà virtuale: un ostacolo o un aiuto nell’elaborazione del lutto? – Alcune domande e riflessioni sull’argomento

Il processo di elaborazione di un lutto è lungo e molto doloroso. La realtà virtuale può facilitare questo passaggio o rischia di improgionarci nei ricordi?

Di Marina Morgese

Pubblicato il 20 Feb. 2020

La realtà virtuale è uno strumento pieno di potenzialità, sempre più utilizzato nel campo della salute mentale. Un recente video di una madre che grazie alla Realtà Virtuale re-incontra la figlia morta ci mette dinnanzi a numerose questioni. Data la delicatezza di questo ambito sorge spontaneo interrogarsi sulla regolamentazione e il controllo di questo mezzo, per evitarne utilizzi impropri.

 

E’ recente la pubblicazione di un video in cui una madre ha potuto re-incontrare tramite Realtà Virtuale la figlia deceduta a soli 7 anni per una grave malattia.

Nel video, condiviso giovedì 6 febbraio dalla Munhwa Broadcasting Corporation sul proprio canale YouTube e intitolato I Met You, si vede la giovane mamma che, dinnanzi a un enorme schermo verde, munita di un visore per la Realtà Virtuale e di guanti tattili, si trova di fronte alla sua piccolina che le parla, la tiene per mano e festeggia con lei il suo compleanno. Il resto della famiglia, il padre, la sorella e il fratello della piccola precocemente scomparsa, guardano il video dell’esperienza dall’esterno.

La mamma, come facilmente ci si aspetterebbe, inizia a piangere nel momento in cui vede la figlia, così come commossi e mesti sono i parenti che assistono al tutto.

I MET YOU – Guarda il video

 

“Forse è un vero paradiso – ha detto la mamma dopo l’esperienza – Ho incontrato Nayeon, che mi ha chiamato con un sorriso, per un tempo molto breve, ma è stato un momento felice. Penso di aver avuto il sogno che ho sempre desiderato”. 

Secondo quanto riporta Aju Business Daily, il team di produzione ha impiegato otto mesi per il progetto. Hanno creato l’ambientazione virtuale, un parco che madre e figlia avevano realmente visitato in passato, e hanno usato la tecnologia di motion capture per registrare i movimenti di un attore bambino, utilizzati in seguito come modello per la loro Nayeon virtuale.

Il tutto ricorda un episodio della serie Black Mirror dal titolo Be right back, in cui la protagonista, a seguito della morte del compagno, si rivolge a un’azienda che progetta e realizza androidi con le stesse sembianze e la stessa personalità del defunto. Chi ha seguito la serie ricorderà l’epilogo dell’episodio, ma possiamo immaginare l’epilogo di ciò a cui stiamo assistendo?

Le implicazioni che questo uso della realtà virtuale porta con sé sono notevoli e, forse mossa da un desiderio di confronto tra colleghi, mi piacerebbe condividere alcune riflessioni (e soprattutto domande) sull’impatto psicologico che una tale esperienza potrebbe avere su chi ha perso una persona vicina.

Sappiamo bene che chi subisce un lutto passa attraverso diverse fasi di elaborazione dell’evento fino ad arrivare a quella, auspicabile, dell’accettazione e riorganizzazione: metabolizzare la perdita e continuare la propria vita dopo il vuoto lasciato. Tramite queste esperienze di realtà virtuale, si può essere davvero in grado di raggiungere l’accettazione? O indossare un visore e rivivere i momenti con il defunto può bloccarci nei ricordi, non consentendoci di comprendere fino in fondo che quella persona non c’è più? Qualcuno potrebbe controbattere dicendo che in fin dei conti è solo una versione più tecnologicamente evoluta del rivedere in continuazione foto e video della persona scomparsa. Qualche anno prima era stato il turno dell’ascolto compulsivo della voce del defunto dalla segreteria telefonica, comportamento tra l’altro più volte riprodotto in diversi film, quasi a sottolinearne la “normalità”. Tuttavia, la staticità delle foto, il sentire la sola voce di chi non c’è più senza poterlo vedere e il distacco del video non ci mettono dinnanzi al fatto che ciò che osserviamo è passato ed è il passato? Con la realtà virtuale non siamo forse portati a illuderci che chi abbiamo perso è ancora lì a interagire con noi? Non si potrebbero, di conseguenza, verificare comportamenti di vera e propria dipendenza da Realtà Virtuale (VR) in un momento già particolarmente delicato?

E’ risaputa l’efficacia che la realtà virtuale ha nel trattamento di diverse patologie, come ad esempio le fobie, quindi perché non vedere l’utilizzo della VR come promettente anche nel campo dell’elaborazione del lutto? Per il momento mi verrebbe da pensare che, mentre nel caso degli altri disturbi, la VR è risultata molto utile nel ridurre strategie di evitamento di fatto disfunzionali per l’individuo, nel caso del suo utilizzo nell’ambito del lutto sembrerebbe un po’ aumentare l’evitamento stesso. L’evitamento dell’inevitabile dolore che quella perdita comporta. O forse si può pensare a un trattamento in cui il terapeuta accompagna via via il paziente a rinunciare sempre di più alla VR (forse più adeguata in un momento iniziale) per poter gradualmente accettare il dolore della perdita?

Probabilmente la VR potrebbe risultare utile per quei lutti improvvisi, in cui non si è avuta la possibilità di dire al defunto tutto ciò che avremmo voluto dirgli. Ma anche in questo caso: non sarebbe meglio, un po’ come nelle terapie del trauma, trovare un modo per metterci in contatto con noi stessi mentre viviamo quel momento doloroso, dirci ciò che avremmo bisogno di sentirci dire ora di noi in quel momento, piuttosto che parlare con l’altro in quel momento? O forse dicendo all’altro ciò che avremmo voluto dire abbiamo la possibilità di parlare indirettamente a noi stessi in quel momento (fornendo al contempo dati preziosi al terapeuta che segue il paziente)?

Un altro aspetto da non dimenticare e sul quale il video fa riflettere, è la presenza di altre persone che vivono lo stesso lutto di chi si immerge nella VR. Pensiamo per esempio, come in questo caso, a un bambino che ha perso un fratellino e vede la mamma assente, presa dal visore e presa dal rivivere momenti con l’altro figlio che non c’è più, quanto si andrebbe ad amplificare un trauma già troppo difficile da vivere per un bambino?

Si potrebbero sollevare tante altre questioni in merito, un punto su cui prestare attenzione, a mio avviso, non è demonizzare o idealizzare uno strumento tout court, ma comprendere bene l’uso che ne si può fare. Senza abbandonarsi a facili allarmismi, ciò che è stato creato è qualcosa di molto potente che, se non regolamentato e controllato, potrebbe far leva sul dolore delle persone e sul loro essere disposte a dare un prezzo all’esperienza di vedere e parlare ancora con chi non c’è più. Sta quindi a chi si occupa di salute in generale, e mentale nella fattispecie, interrogarsi e trovare il modo di evitare usi impropri dei mezzi che la tecnologia ci offre, riflettendo magari sulle potenzialità che un utilizzo guidato di questi nuovi strumenti potrebbe avere nel nostro campo, così da aiutare davvero chi soffre, anche quando il dolore è straziante, come nel caso di un lutto.

 

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Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Houser, K- (2020). Watch a Mother Reunite With Her Deceased Child in VR. Futurism. Available here.
  • Video Youtube available here.
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