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Sull’isteria maschile – Le origini

L’impossibilità di esprimere le emozioni e il disagio interiore sembrano essere la causa dell'isteria, presente anche tra gli uomini come isteria maschile

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 19 Feb. 2020

A partire dal XVI secolo, grazie alla scoperta di alcuni medici che attribuirono l’insorgenza dell’isteria al malfunzionamento del sistema nervoso, venne abbandonata l’idea che l’isteria fosse una malattia esclusivamente rivolta al genere femminile portando all’attenzione anche l’isteria maschile.

 

Il collegamento tra disturbo isterico e genere femminile appare da sempre pressoché automatico, quasi come si trattasse di una patologia che non prevede ‘pazienti maschili’. Le ragioni di tale fraintendimento risiedono già nell’origine stessa del nome, che deriva dal sostantivo greco usteron, con il quale in antichità veniva indicato l’utero femminile, un organo che dovrebbe trovarsi stabilmente nella propria sede e i cui movimenti disfunzionali (potenzialmente creati anche dall’astinenza sessuale), si riteneva potessero provocare sugli altri organi pressioni in grado di giustificare l’insorgenza dei sintomi isterici. Questa era l’opinione della medicina antica. Ma già a partire dal XVI secolo, grazie alla scoperta di alcuni medici che ne attribuirono l’insorgenza al malfunzionamento del sistema nervoso, venne abbandonata l’idea che l’isteria fosse una malattia esclusivamente rivolta al genere femminile.

Se non fosse che gli istituti di cura mentale, sin dal Settecento, hanno visto il numero di pazienti isteriche superare di gran lunga l’analogo maschile, ammesso che si sia mai potuto parlare di una percentuale di riferimento in proposito.

Si trattava perlopiù di donne affette da una serie di disfunzioni di varia intensità e natura, soprattutto a carico dell’apparato motorio e degli organi sensori. Si andava da paralisi agli arti a tossi inspiegabili, dall’impossibilità di camminare o mantenere l’equilibrio fino alla perdita di un canale sensoriale come la vista o l’udito, da svenimenti improvvisi a disregolazioni emotive capaci di generare stati dissociativi: in ogni caso si trattava di sintomatologie che non trovavano rispondenza alcuna sul piano organico. Nessun danno agli organi, dunque, poteva giustificare la presenza di una disfunzione così grave e invalidante.

Iniziò quindi a farsi strada l’ipotesi che l’origine di tali sintomi fosse di natura prettamente psicologica, e che l’attuazione degli stessi fosse incontrollabile e involontaria. Sigmund Freud in particolare definì l’isteria come il risultato di un conflitto psichico inconscio e non verbalizzato che, a seguito della rimozione, veniva espresso con modalità che andavano a coinvolgere il funzionamento degli organi fisici, trovando negli stessi una sorta di ‘compiacenza’ espressiva. Il corpo si fa dunque carico di un conflitto emotivo che il soggetto isterico non può rivelare verbalmente, diventando il simbolo di un’energia non espressa (1895; 1901).

L’isteria attuale

L’ultima versione del DSM ammette l’esistenza del disturbo di conversione in presenza di disfunzioni legate all’apparato motorio o sensorio senza patologia organica. L’assenza di danni riconducibili all’organismo costituisce infatti la discriminante che allontana l’isteria dalla dimensione psicologica per proiettarla in quella di interesse specificamente medico. Ovviamente non si fa alcun riferimento alla tanto ipotizzata distinzione circa la differenza tra isteria maschile e femminile, essendo pacifica la possibilità che la stessa possa interessare entrambi i generi.

Allo stato attuale appare infatti chiaro come lo stereotipo che ha sempre collegato l’isteria alla donna è probabilmente dovuto a tematiche di natura culturale, clinica o psicodinamica (Gabbard, 2015). Hollender (1971) e Lerner (1974) hanno osservato come le caratteristiche dell’isteria femminile deriverebbero in particolare dal ruolo di estrema emarginazione sociale cui da sempre sono state soggette le donne, e dall’educazione particolarmente severa imposta da aspettative sociali che le ha viste imprigionate nel ruolo di madri e mogli obbedienti, dedite al lavoro e al rispetto. L’impossibilità di esprimere le proprie emozioni e quindi il proprio disagio interiore sembra incarnare perfettamente la causa scatenante l’isteria, ovvero la genesi di una pulsione non verbalizzata e in seguito rimossa poiché considerata inaccettabile, e sostituita da un sintomo di natura corporea che costituisce il giusto compromesso per la mancata espressione dell’emozione stessa (Freud, 1901). Si aggiunga inoltre che la letteratura sul disturbo isterico è stata scritta prevalentemente da uomini, fattore che ha rafforzato ulteriormente la relazione tra lo stesso e il genere femminile (Chodoff e Lyons, 1958; Luisada et al., 1974).

Superato definitivamente lo scetticismo di genere circa la natura dell’isteria, è stato di recente documentato come la stessa sia presente anche in ambito maschile (Bollas, 2000; Kolb, 1968; Lubbe, 2003; Luisada et al. 1974; MacKinnon et al. 2006). Avvertiamo qui che la letteratura scientifica su quest’argomento utilizza una terminologia sulle preferenze sessuali e sui comportamenti in parte discutibile ma che manteniamo come testimonianza storica. Da notare che questa terminologia è ancora abbastanza recente dato che la sensibilità verso le problematiche di genere è a sua volta abbastanza recente: ad esempio Gabbard (2015) sostiene che le descrizioni dei pazienti isterici maschi possano venir ricomprese nello specifico in due ampi sottotipi: l’ipermascolino e l’ipereffemminato. I sintomi del primo gruppo sembrano sovrapponibili a quelli tipici delle donne isteriche, nel senso che i pazienti rappresentano caricature della mascolinità, caratterizzata da peculiarità istrioniche e fortemente emotive. Questi pazienti possono mostrare marcate componenti di seduttività che spingono al desiderio di conquista di tutte le donne, verso le quali agiscono indistintamente con intenti seduttivi e sessualizzati. Sempre per testimoniare l’importanza storica di questi modelli, riportiamo che MacKinnon et al. (2006) sostengono che i maschi passivi effemminati rientrano invece in una fattispecie di evidente e non celata omosessualità, o al contrario in un’eterosessualità passiva e impotente che ha timore delle donne (MacKinnon et al., 2006). Gli effemminati si mostrano vanesi, incredibilmente dediti alla cura del proprio aspetto fisico, classici damerini o bellimbusti desiderosi di mettersi in mostra e guadagnare il centro dell’attenzione.

Molti pazienti isterici mostrano inoltre, assieme a disturbi sessuali di varia natura, anche comportamenti antisociali come disonestà e inaffidabilità, dipendenza da sostanze stupefacenti o da alcol, nonché tendenza a mantenere relazioni instabili e controverse col sesso opposto, perlopiù finalizzate allo sfruttamento, all’avvicinamento non empatico. Questo ha contribuito a generare un’ipotesi di collegamento tra il disturbo isterico e quello narcisista con tratti antisociali, ma a seguito di uno studio sperimentale mirato condotto da Luisada e collaboratori (1974), si è visto come in realtà le due tipologie di disturbo sarebbero discriminate da un vissuto emotivo che nell’isterico è molto più marcato, e riferito a stati ansiosi pressoché assenti nel narcisista o nell’antisociale.

Piuttosto sembra possibile il collegamento tra disturbo isterico di personalità e disturbo istrionico, dato che in entrambe le patologie si riscontrano sintomi quali seduttività, promiscuità, gelosia sessuale, desiderio di amore ideale, volubilità e sessualizzazione (Mitchell, 2000).

Caratteristiche specifiche del disturbo isterico maschile

I maschi isterici risultano spesso oggetto di eccessive premure da parte della madre, e nella loro infanzia possono aver reagito a contesti di operazione –individuazione erotizzando l’oggetto assente (Bollas, 2000). Quando la madre si allontanava la immaginavano dunque in compagnia di un altro uomo che era preferito a loro: la riattualizzazione di questo allontanamento contribuisce, anche in età adulta, a porli in una situazione di difetto e conflitto con l’altro sesso, nel quale viene identificato l’oggetto materno inseguito e al contempo odiato. Da qui il tentativo dei pazienti isterici di aggirare la paura della separazione della madre con comportamenti ipermascolini rivolti verso il genere femminile, e di riattualizzare il timore del confronto con il rivale cercando di conquistare donne già impegnate (Lubbe, 2003).

Come la sua controparte femminile, il paziente con disturbo isterico di personalità ambisce a divenire oggetto di desiderio da parte delle donne, e può passare da una relazione all’altra solo per scoprire che nessuna donna è all’altezza di fornirgli quanto da lui richiesto, poiché in realtà nessuna donna è all’altezza dell’oggetto materno idealizzato. V’è quindi la compresenza di timore e amore per la donna, che in un atteggiamento controfobico viene inseguita e subito dopo abbandonata perché mai ritenuta all’altezza di una relazione duratura. È questa la manifestazione di un conflitto che se durante la conquista seduttiva sembra affermare l’indispensabilità e l’esistenza della donna, nella seguente fase dell’abbandono arriva a negarle entrambe. L’uomo ha bisogno della donna solo come mero strumento di autoaffermazione, come oggetto di affermazione del Sé.

Ma questo conflitto edipico può sfociare anche in espressioni di adattamento che spingono gli isterici a mantenere un legame incorruttibile con la madre, votandosi ad un’assoluta astinenza dalla vita sessuale e relazionale tramite la scelta del celibato o della vita sacerdotale (Gabbard, 2015).

Altri ancora preferiscono la pratica di attività sessuali solitarie volte al narcisismo o alla cura del proprio aspetto fisico, dedicandosi ad attività sportive in grado di potenziare l’aspetto virile come il body building: tutto questo nel tentativo di trovare conferme alla propria mascolinità. Altri pazienti possono invece dirigersi verso l’omosessualità, specie quelli con una situazione edipica negativa, in cui la madre viene vista come una rivale nella conquista dell’attenzione del padre: da qui la ricerca di relazioni con uomini più vecchi nei quali appagare il desiderio di avvicinamento al padre perduto e di identificazione con l’oggetto materno, nel quale si rispecchiano anche sessualmente. Molti pazienti isterici si limitano infine ad avere mere fantasie di seduzione, non seguite da alcuna concretizzazione di quanto elaborato a livello immaginativo. Si tratta di soggetti nei quali la ricerca dell’attenzione diviene un mezzo per eludere timore del rifiuto e carenze di autostima, similmente a quanto avviene per gli istrionici.

Anche nella sintomatologia maschile sembrano quindi ricalcati i sintomi conflittuali già riscontrati nell’isteria femminile: ad ulteriore conferma di come una distinzione della patologia isterica legata prettamente al genere sessuale si mostri limitata e limitante, e di come nel soggetto isterico, a prescindere della sua appartenenza sessuale, si nasconda sempre un trauma non elaborato a livello psichico.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bollas, C. (2000), Isteria, trad.it. Raffaello Cortina, Milano 2001;
  • Chodoff, P., Lyons, H. (1958), “Hysteria, the hysterical personality and hysterical conversion”, in American Journal of Psychiatry, 114, pp. 734-740;
  • Freud, S. (1895), Studi sull’isteria e altri scritti (1886-1895), C.L. Musatti (a cura di), Bollati Boringhieri, Torino 1989;
  • Freud, S. (1901), “Casi Clinici 3 , Dora: frammento di un’analisi di isteria, 1901”, Collana Biblioteca Boringhieri, n. 17, Bollati Boringhieri, Torino 1976;
  • Gabbard, G.O. (2015), Psichiatria Psicodinamica, trad. it. Raffaello Cortina, Milano;
  • Hollender, M. (1971), “Hysterical personality”, in Comment f contemporary psychiatry, 1, pp. 17-24;
  • Kolb, L.C., (1968), Psichiatria clinica, trad. it. Idelson, Napoli;
  • Lerner, H.E., (1974), “The hysterical personality: a ‘woman’s disease”, in Comprehensive Psychiatry, 15, pp. 157-164;
  • Lubbe, T. (2003), “Diagnosing a male hysteric: Don Juan type”, in International Journal of Psychoanalysis, 84, pp. 1043-1059;
  • Luisada, P.V., Peele, R. Pitard, E.A. (1974), “The hysterical personality  in men”, in American Journal of Psychiatry, 131, pp. 518-521;
  • Mackinnon, R.A., Michels, R., Buckley, P.J. (2006), “The psychiatric interwiew in clinical practice”, in American Psychiatric Publishing, Washington;
  • Mitchell, J. (2000), “Madmen and Medusas”, Penguin, Londra.
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