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Storia della “corona” infame. Isteria collettiva tra ipocondria, psicoanalisi e psicologia delle masse

Coronavirus: ecco come una notizia si trasforma in psicosi collettiva che porta al ritiro in casa, per guardare da dentro ciò che accade nel mondo.

Di Maria Adele Capone

Pubblicato il 28 Feb. 2020

Aggiornato il 03 Apr. 2020 10:36

La psicosi da coronavirus è un fulgido esempio dell’influsso dei fenomeni collettivi sul comportamento individuale e di come l’emotività atavica del singolo può divenire un fenomeno pandemico, e viceversa.

 

Viviamo in un’epoca impregnata di narcisismo e perciò ipocondriaca. Nella visione kohutiana del narcisismo, frustrato o covert, una non ottimale sintonizzazione affettiva con le figure di accudimento, la presenza variabile e non troppo stabile di molte di queste, neglet e, talvolta, frustrazioni vissute come abbandono o paura dal bambino, possono causare una scissione ‘verticale’ della personalità tra la grandiosità apertamente manifesta, volta a mostrare a se stessi e all’altro una visione di sé positiva se non perfetta, e la parte vulnerabile, caratterizzata da bassa autostima, tendenza alla vergogna e appunto, ipocondria. Ma andiamo con ordine, perché la nostra società sembra così permeata da narcisismo e perché proprio l’ipocondria è un tratto del narcisismo ipervigile?

Siamo ormai figli del boom economico vissuto tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, cresciuti tra tate, nonne, mamme e soprattutto, la baby-sitter per eccellenza che ha allevato ormai diverse generazioni: la televisione, che ora va trasformandosi in smartphone e tablet per i post-millennials. La tv ha da sempre offerto un ottimo passatempo e un escamotage per intrattenere i più piccini, tagliando via tuttavia ogni valenza affettiva che potevano avere il gioco e le attività condivise tra pari e con gli adulti. Il bambino impara a ‘bastare a se stesso’, a sentirsi onnipotente e a non aver bisogno di altri se non i suoi strumenti, ad autoregolarsi non più tramite lo sguardo e l’emotività co-creata, ma tramite oggetti fisici esterni, da lui facilmente manipolabili. Basti pensare alla mole di piccoli ADHD e iperattivi che giunti a scuola non riescono a stare seduti, a porre attenzione e ad ascoltare, ma che starebbero ore e ore immobili davanti ad uno schermo dai 5 ai 77 pollici. Col passare degli anni, quello strumento da manipolare diventa manipolatore, suggerendo quali ultimi giochi acquistare prima, il modo di pensare, sentire, agire poi, a scapito delle relazioni reali e dell’intersoggettività condivisa. Ed ecco come una notizia in tv si trasforma in psicosi collettiva, odio e paura nei confronti dell’altro, e porta a rintanarsi nelle proprie case, circondati dai propri cari apparecchi elettronici a seguire ciò che viene da loro continuamente propinato.

Per quanto riguarda l’ipocondria, è stata da sempre vista dalla psicoanalisi come la manifestazione degli ‘oggetti interni cattivi’, sentimenti e pensieri troppo difficili da sopportare e negati alla coscienza, che si concretizzano in sintomi somatici e paura della ‘malattia’ proveniente dall’esterno, che ‘contamina’ il nostro io vissuto come fragilmente integro, puro ma vulnerabile. Gli ultimi sviluppi della infant research sottolineano, inoltre, le implicazioni biologiche della diade madre-bambino e di come la presenza della madre sia fondamentale per la crescita del piccolo, poiché, se non vi è, muore. Sperimentare l’angoscia dovuta alla separazione tra sé e la madre, la possibilità che questa non vi sia per nutrirlo, genera la paura della morte, presente in maniera equilibrata in uno sviluppo sano, frustrata ed esponenzialmente elevata nei tratti narcisistici.

L’isteria sociale scatenata nell’ultimo mese a causa del coronavirus, può essere un ottimo esempio di come questi presupposti teorici si manifestino della realtà di oggi, sino a scatenare quasi una ‘caccia all’untore’ di manzoniana memoria. Banalizzare il tutto dando le colpe al progresso economico e tecnologico, tuttavia, risulterebbe infondato: tali fenomeni non hanno fatto altro che reiterare, sviscerare e amplificare modi di sentire da sempre esistiti. Freud stesso diceva che

è raro trovare un ambito in cui il nostro modo di pensare e di sentire sia cambiato così poco dai tempi primordiali… come nella relazione con la morte.

La paura della fine è la causa primaria dell’angoscia, messa in moto dalla pulsione di morte che minaccia l’organismo fin dalla nascita.

Le masse vanno guidate con lo studio di ciò che le impressiona e le seduce, scriveva Le Bon, il padre della psicologia della folla, e cosa può impressionare più della paura di morire. Rifacendosi al pensiero di Le Bon, Freud definisce la massa come un’entità provvisoria costituita da elementi eterogenei saldati insieme per un istante, anonima e irresponsabile, attraverso cui l’individuo acquisisce un senso di potenza invincibile che gli permette di agire istinti altrimenti frenati, sentendosi al tempo stesso protetto e ‘contagiato’ da qualsiasi emozione circoli all’interno della massa. La psicosi da coronavirus è un fulgido esempio dell’influsso dei fenomeni collettivi sul comportamento individuale e di come l’emotività atavica del singolo può divenire un fenomeno pandemico, e viceversa.

Ritornando al caro vecchio Manzoni, Storia della colonna infame è un celebre saggio storico ambientato nel 1630, in cui lo scrittore descrive la psicosi collettiva scatenata dall’epidemia di peste e sfociata nel processo a due presunti untori, giustiziati tramite il supplizio della ruota e marchiati ad infamia perenne con la costruzione della colonna sui resti dell’abitazione di uno dei due innocenti. Surreale come 290 anni dopo, una presunta epidemia causata da un virus sconosciuto riattivi nelle masse lo stesso irrazionale sentire. Sino a qualche giorno fa gli untori erano i cinesi, o meglio gli asiatici, che creavano il vuoto attorno su metro e mezzi pubblici, offesi e talvolta aggrediti, riuscendo addirittura a bloccare interi convogli per uno starnuto (vedi Freccia Roma-Lecce del 21 febbraio). Oggi, ahi ahi, sono gli italiani, e altri stati europei già minacciano di chiudere le frontiere. Per il centro-sud gli untori sono i milanesi e guai a viaggiare con qualcuno che abbia un vago accento del nord. Per le masse, vi sarà sempre un untore su cui sfogare e in cui identificare le proprie pulsioni distruttive, un capro espiatorio da sacrificare per poter preservare la propria integrità, finché sul patibolo potremmo finirci noi, con tutta la nostra irrazionale paura di morire.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Freud, S. Psicologia delle masse e analisi dell'Io, Bollati Boringhieri, 1975.
  • Kohut, H. Narcisismo e analisi del Sé. Torino: Boringhieri, 1976.
  • Kohut, H.. Potere Coraggio e Narcisismo. Astrolabio, 1986.
  • Le Bon, G. Psychologie des foules, Alcan, 1895.
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