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Il coronavirus tra rabbia e paura

Le paure e le ansie legate alla diffusione del coronavirus potrebbero essere fondate o meno, pandemia o psicosi che sia lo scopriremo solo vivendo e ce lo racconteranno i fatti nelle prossime settimane.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 24 Feb. 2020

Aggiornato il 03 Apr. 2020 10:48

E così anche le rabbie che pur esse si legano a questi eventi: futili episodi o rischi di linciaggio? La donna cinese picchiata a Torino, la coppia cinese aggredita ancora a Torino e il filippino scambiato per cinese a Cagliari potrebbero essere episodi molto circoscritti o avere un significato. Una collega è stata testimone di tensioni in treno contro un viaggiatore cinese e ce ne ha parlato, chiedendoci di riflettere sulla rabbia. Riflettiamo.

La rabbia, rispetto alla paura, mostra somiglianze e differenze. È anch’essa come la paura un’emozione che segnala una minaccia, un pericolo. Essa però suggerisce una reazione differente. La paura porta alla fuga, la rabbia all’attacco. Le differenze risiedono nel tipo di soluzione proposta. A quali pensieri corrispondono queste differenze?

La prima osservazione è che la rabbia attribuisce il pericolo a persone da aggredire mentre la paura, portando alla fuga, è più impersonale. Ad esempio davanti a una sciagura naturale si fugge o ci si protegge ma non si aggredisce se non metaforicamente. L’aggressione parte invece da una attribuzione di intenzione a un altro essere vivente, animale o umano. L’aggressione valuta inoltre che il pericolo possa essere bloccato attaccando, e quindi emettendo un segnale di ostilità la cui funzione è fermare l’altrui intenzione ostile attraverso una comunicazione. Il comportamento aggressivo è un messaggio: fermati perché sono arrabbiato. Insomma la paura può essere impersonale, la rabbia è interpersonale.

Reagire al coronavirus con rabbia e non con paura significa quindi cercare un autore cattivo, una intenzione malevola, intenzione che naturalmente non può essere attribuita al virus, invisibile e inoltre troppo elementare come organismo per essere oggetto di un’aggressione sensata. L’aggressione si volge quindi verso gruppi umani a cui è addossata una intenzione malevola. Gli untori di Manzoni. In questo caso i cinesi, perché dalla Cina sembra provenire il morbo.

Reagire con rabbia comporta una serie di vantaggi che la fanno preferire emotivamente alla paura. La paura ci protegge dai pericoli soggettivamente ma non è un’esperienza molto esaltante. Al contrario, si lega a una valutazione di sé deprimente; si fugge perché si ritiene di essere più deboli del pericolo, impotenti e fragili. Non resta che scappare. Inoltre -come abbiamo già scritto- il pericolo è impersonale e quindi terrificante, al di là delle possibilità umane, incomprensibile e quindi divino. C’è poco da scherzare e nulla di gratificante.

La rabbia invece umanizza il pericolo riducendolo a proporzioni personali: qualcuno ce l’ha con noi e possiamo picchiarlo duro. Ne abbiamo la forza. E quindi la rabbia ci rafforza, ci potenzia perché ci dice che siamo in grado di affrontare il pericolo e respingerlo, debellarlo dimostrando la nostra potenza a noi stessi e a chi ci circonda, illuminandoci di gloria. La rabbia inoltre ha anche un altro vantaggio: essa può legarsi in qualche modo a un gratificante giudizio morale positivo per noi stessi. Perché con la rabbia non ci si limita a nasconderci come capita con la paura. Si tratta di agire sugli altri cambiandoli e solo chi ritiene di fare del bene può giustificare la sua azione aggressiva senza essere fermato dai dubbi. Ci si sente non solo più forti ma perfino più buoni con la rabbia. Solo le personalità machiavelliche si crogiolano nella forza cattivistica non giustificata dal bene. Le persone comuni come noi invece quando si arrabbiano provano più facilmente una sensazione di giustizia.

La rabbia però presenta anche una serie di rischi. Aggredire significa assumersi la responsabilità di fare del male al prossimo. Grande potere che porta a una responsabilità che infatti gestiamo giustificandoci: siamo i buoni, come l’uomo ragno. Passata però la furia aggressiva che ci fa sentire giusti potremmo scoprire di avere mal diretto i nostri attacchi. Facilmente si passa dalla rabbia alla colpa, la sua gemella ansiosa e impaurita.

La rabbia inoltre si esprime in episodi concitati che lasciano poco spazio al ripensamento: se fuggi e ti nascondi puoi sempre rimediare tornando indietro ed esporti al pericolo più coraggiosamente. Invece gli effetti dell’aggressione rabbiosa, una volta prodotti, non possono essere eliminati. Hai picchiato, non puoi far tornare indietro le botte. Al massimo si espia, magra consolazione soprattutto per la vittima che non sa che farsene dei nostri pentimenti. Insomma la rabbia fa versare quel latte sul quale è più inutile piangere.

In questi giorni inquieti in cui non sappiamo se stiamo oscillando tra la drammatizzazione di una banale influenza e la ripetizione della peste di Boccaccio e del Manzoni dobbiamo stare più attenti alla rabbia piuttosto che alla innocua paura. Se stessimo esagerando con la paura, poco male. Si tratterà di recuperare qualche giorno di lavoro o di scuola persi. Se esageriamo con la rabbia invece finisce che qualcuno si fa male e a qual punto ci sarà poco o nulla da recuperare.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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