L’essere umano ha sviluppato vari meccanismi di difesa psichica per affrontare la paura dell’ignoto e per mantenere intatta la salute mentale nei confronti dei paradossi Reali. Tuttavia alcuni di questi meccanismi possono ritorcersi contro il soggetto.
In questo articolo si affronta l’illusione del rischio zero, basata sul rifiuto completo della percezione delle eventuali conseguenze di un’azione compiuta.
L’essere umano, sviluppando la capacità di autoconsapevolezza e di autocoscienza, legate alla evoluzione della corteccia insulare, della corteccia cingolata anteriore e della corteccia prefrontale mediale (Riehl, 2012), ha avuto l’opportunità di conoscere sé stesso, i suoi pensieri e l’effetto dell’ambiente che lo circondava. Questo sviluppo neurobiofisico ha favorito lo sviluppo di conoscenze e scienze, che gli permettessero di studiare la sua interiorità, come la filosofia, ma allo stesso tempo lo ha messo di fronte al principale problema: il sapere di non poter dominare l’ambiente e di essere soggetto alle sue mutazioni, soprattutto a quelle impreviste.
Per far fronte a ciò, la psiche umana ha sviluppato vari autoinganni e varie illusioni di certezza per rispondere alla sua impotenza nei confronti della Realtà (Goleman, 1995). Sigmund Freud, in alcuni suoi articoli (1894/1962, 1896/1966), ha identificato queste strategie come meccanismi di difesa, ovvero strumenti mentali attuati per difendere l’equilibrio psichico da pensieri legati al dolore e alla morte. Dunque, come riporta Umberto Galimberti (2018), il padre della psicoanalisi ha illustrato nelle sue teorie come l’apparato psichico dell’essere umano si leghi a vari elementi fisici e non, per creare un’illusione di dominio certo sull’ambiente in apparenza qualificabile e quantificabile.
La letteratura sui meccanismi di difesa è stata poi rivoluzionata da Fenichel (1946) che ha indicato come questi meccanismi possano esser stati una struttura di risposta psicologica all’ambiente per proteggere l’autostima. Sebbene i meccanismi di difesa abbiano un ruolo sano e adattivo nello sviluppo psicofisico dell’individuo, alcuni hanno un effetto boomerang nella società odierna, dovuto alla lentezza dell’evoluzione umana (Gottschall, 2015).
Uno di questi è l’Illusione a rischio zero: come indicato da Gerd Gigerenzer (2014), esso è il negare qualsiasi elemento di rischio in una particolare situazione che, invece, ne comporta il fattore, autoconvincendosi così di vivere in una situazione completamente certa e dominata. Questo meccanismo di difesa permette dunque di avere la sensazione di compiere azioni senza essere soggetti alle conseguenze, attuando quindi l’effetto comportamentale del “prendere la carota senza subire il bastone” (Bernstein, 1990).
Questa illusione è un rimedio che porta confort e sicurezza temporanea, ma la prosecuzione di questo comportamento può comportare, grottescamente se si pensa al suo principio, rischi anche molto gravi: di fatto, la frustrazione derivata dalla esposizione ai fatti del mondo è sana e imprescindibile per la crescita della persona (Castoldi, 2003), poiché ciò permette all’individuo di avere a che fare con le sfide offerte dall’ambiente e dalla stessa società, accompagnandolo in un percorso di maturazione psichica e fisica (Mattson,2014). Il confronto con i propri errori e la frustrazione che ne deriva permettono cambi di prospettiva funzionale e favoriscono lo sviluppo del carattere (Pepin, 2017), oltre ad una sensazione di vivere una vita piena di significato (Toshimasa et al, 2008).
Così, il rifiuto a prescindere di avere a che fare con delle conseguenze negative può portare a conseguenze sul piano fisico e psichico, come ad esempio la scarsa gestione dell’emotività e l’impulsività legata alla ricerca di gratificazione immediata (Baumeister, Heatherton, 1996) ed, in contesti ancora più delicati, lo strutturarsi di comportamenti oppositivi e di rifiuto nei confronti dell’ambiente sociale o comportamenti autolesionistici e anticonservativi. Il già citato Gerd Gigerenzer (2014) propone come soluzione una alfabetizzazione del rischio, ovvero un percorso di rinnovo accademico, psicologico e economico dove, assieme alle principali materie accademiche e lavorative, sia insegnato il principale portfolio conoscitivo e empirico sul calcolo del rischio, non esclusivamente statistico, legato anche a tecniche di sopravvivenza ancestrali e legate al sistema attacco-fuga che hanno ancora validità oggi: Gigerenzer usa come esempio il mancato disastro dell’US Airway 1549, dove la totale mancanza di vittime è stata dovuta ad un calcolo “di pancia” e istintivo da parte del pilota, cosa che non poteva accadere con il calcolo dei computer di volo (pag 34-37).
La sua proposta si trova in accordo con quella di altri studiosi del campo dell’incertezza, come il matematico e filosofo Nassim Nicholas Taleb, il quale, nei suoi testi divulgativi, illustra come sia fondamentale il tenere in conto che ci possa essere sempre un elemento imprevisto che cambi l’equilibrio, da lui indicato con il nome di cigno nero (Taleb, 2007) e che sia fondamentale avere sempre una componente di risk taking per non essere soggetti passivi di forze esterne, soprattutto dal punto di vista economico-organizzativo (Taleb, 2018).