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Giuliano Macca: ritratto di un’epoca

Giuliano Macca: l'arte che diventa necessaria a se stessa, come bisogno di creare e di esprimersi con diverse tecniche e materiali, di depurare e pulire.

Di Maria Adele Capone

Pubblicato il 16 Gen. 2020

L’artista incarna la psicologia inconscia dell’epoca in cui vive, reagendo al tema psicologico cruciale con cui l’uomo si sta confrontando in quel dato periodo storico. Giuliano Macca, con le sue opere, rispecchia e quasi urla ferocemente le gioie e i dolori dei nostri tempi.

 

Si dice che ogni artista abbia sempre incarnato l’Anima del suo tempo.

Vi è un bellissimo paragrafo nell’epilogo de La Guarigione del Sé di Heinz Kohut, L’anticipazione della psicologia del Sé da parte dell’artista, in cui l’autore esprime proprio questo concetto. L’artista focalizza la psicologia inconscia della sua epoca, reagisce al tema psicologico cruciale con cui l’uomo si confronta in un dato periodo, richiama al compito psicologico dominante. L’artista agisce, per così dire, per procura della sua generazione: non solo della popolazione generale, ma anche dei ricercatori scientifici della scena sociopsicologica.

L’arte, che ai tempi di Freud incarnava i vissuti dell’Uomo Colpevole, in balia di libido sessuale e istinto di morte, si scomponeva e si scindeva ai tempi di Kohut con il cubismo, l’espressionismo astratto, con Picasso, Pollock, Kandinskij, che hanno segnato il passaggio a una diversa prospettiva e a un completo nuovo paradigma. Nasce l’uomo post-moderno.

Viviamo in un’epoca impregnata di narcisismo, inteso come l’estrema lotta del proprio sé per emergere combattendo contro le vessazioni della società e del tempo, disintegrato nelle pulsioni feroci, quel Sé nucleare disperso nell’inconscio che in un istante affiora e illumina il vuoto che lo circonda, fragile, costantemente a rischio frammentazione, ma impellente: deve esserci, rinascere, deve lasciare traccia. E in questo caos in cui emotività e società si mischiano, emerge un giovane artista, siciliano, classe ‘88: Giuliano Macca.

Cuori di Cristallo, la sua ultima mostra. Stradismo il movimento da lui creato, “da strada intesa come vita cruda”. Se c’è qualcuno che rispecchia e urla quasi ferocemente le gioie e i dolori dei nostri tempi, Kohut probabilmente avrebbe scelto lui.

Arte contemporanea che ritorna al figurativo, al volto, agli occhi, che esprimono il bisogno di essere visti, che a volte scompaiono per poi ricomparire dove nessuno avrebbe pensato. Volti frammentati, scomposti, presi forse nell’attimo in cui la vitalità nascosta dai colori scuri e mortiferi brilla di luce propria, mentre compiono un movimento che li definisce, vivi, senzienti. Nella quasi totale mancanza di speranza e certezza, i Millenials non possono permettersi di perdere completamente la forma, hanno bisogno di un aggancio, di qualcosa di definito e definibile. Di un volto, degli occhi. Volti, occhi, figure, che devono farsi vedere, che intasano, anche spasmodicamente, i social. L’artista condivide questa motivazione con i suoi coetanei, sebbene si auguri un ritorno ai volti reali, al romanticismo della strada nel mondo della supremazia digitale. Ed è così che appare: taglio moderno, jeans strappati, bellissime camicie vintage, gli occhi di chi si è perso e ritrovato in notti brave e lunghissime, giovane tra i giovani.

Arte che diventa necessaria a se stessa, il bisogno di creare e di esprimersi si manifesta nell’utilizzo di pezzetti di carta e bic, persino banconote, perché l’arte è inarrestabile, illumina, e, come Macca stesso afferma, depura, pulisce.

E in questa rabbia assertiva di scarabocchi e pennellate rosse, eccola. Lei, la senza tempo, la Donna, la Grande Madre che accompagna l’umanità sin dalle origini. I pizzi, le acconciature, gli sguardi timorosi o penetranti, quasi ottocenteschi, richiamano una purezza non perduta, ma nascosta nella donna di oggi. Una punta di desiderio in quegli occhi, una posa lasciva, esprimono ancora la potente sensualità.

E infine gli abbracci, l’uomo rappresentato quasi sempre di spalle o semicoperto, indefinito, lasciando il posto a colei che richiama la perfezione dell’epoca classica, passando per gli anni dell’eros freudiano e di Klimt, Schiele, che incarna la balena di Giona junghiana pronta a divorare allegoricamente e scenicamente l’uomo, e infine il sé frammentato, un cuore di cristallo, in costante tensione verso l’ideale kohutiano.

Di seguito alcune opere dell’artista:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Kohut, H. (1980). La guarigione del Sé. Torino: Boringhieri.
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