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La scelta di Edith (2017). Se sopravvivi oggi, domani sarai libera – Recensione del libro

Edith Eva Eger, psicologa, ballerina, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti decide a 90 anni di dire la sua sul trauma, nel libro 'La scelta di Edith'

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 04 Ott. 2019

La scelta di Edith è un testo che sfugge ad ogni etichetta. E’ una autobiografia, è il racconto di una paurosa avventura, è una raccolta di riflessioni di una terapeuta sulle storie dei suoi pazienti sopravvissuti a storie difficili, è un album di famiglia e delle persone hanno popolato la sua vita

 

Edith Eva Eger, psicologa, ballerina, ebrea ungherese, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti decide a 90 anni di dire la sua sul trauma e sarà meglio darle ascolto.

Io custodivo il mio segreto e il mio segreto custodiva me.” Con poche semplici parole l’autrice avvicina il lettore alla sua esperienza e agli obiettivi del suo racconto: non solo l’irrinunciabile urgenza di testimoniare l’orrore, ma anche e forse soprattutto l’incontenibile invito a vivere pienamente il presente, a guardare alla propria storia con coraggio per trovare nel passato la via verso il futuro. Per liberare la propria mente dalla prigionia del trauma è necessario lasciar andare la paura sì, ma più di tutti l’odio verso quello che ci è successo e verso chi l’ha provocato.

La scelta di Edith edito in Italia nel 2017 da Corbaccio, con la traduzione di L. Caspani Corradini, è un testo che sfugge ad ogni etichetta. E’ una autobiografia, è il racconto di una paurosa avventura, è una raccolta di riflessioni di una terapeuta sulle storie dei suoi pazienti sopravvissuti a storie difficili, è un album di famiglia e delle persone hanno popolato la sua vita, è la storia di tanti amori che hanno guidato le sue scelte e la sua sopravvivenza: i suoi genitori, le sorelle Magda e Klara, il marito e compagno di vita Bèla, i suoi figli, la danza.

Edith ha 16 anni quando la sua vita viene spezzata. E’ il 1944 e al termine di lunghi anni vissuti nella paura, anche in Ungheria arrivano i colpi di coda della furia nazista e la sua famiglia viene deportata ad Auschwitz, all’improvviso, in una notte. Edith, Madga e i genitori affrontano il viaggio verso Auschwitz uniti, sperando ancora di poter raggiungere un luogo di lavoro, e non di tortura, e di riuscire a resistere fino alla fine della guerra che ormai si sa, sembra a tutti vicina. Quella sarà l’ultima sera in cui la famiglia cenerà unita e l’irruzione dei soldati la prima crepa nella storia che Edith decide di raccontare.

L’arrivo ad Auschwitz segna in qualche modo la sua esistenza, ma anche l’inizio della sua inesauribile sorgente di resilienza: Edie ha appena salutato la madre, non sa che sarà l’ultima volta che vedrà il suo volto, e in un clima di totale terrore e imprevedibilità, riesce a conservare nella mente le sue ultime parole “Ricordati, nessuno potrà mai portarti via quello che hai messo nella tua mente.” Edith riuscirà a conservarle bene e ricordarle, anche quando il Dott. Mengele, spietato medico di Auschwitz famoso per aver utilizzato gli ebrei come cavie umane, le chiederà di ballare per lui. Proprio lì Edie attraverso il ricordo di queste parole, riuscirà a mantenere il contatto con se stessa, con chi lei è al di là di quello che le sta succedendo. Quando Mengele le chiede di ballare nella sua mente affiora allora la musica di Romeo e Giulietta di Cajkovskij, il pavimento della baracca diventa il palcoscenico del Teatro dell’Opera di Budapest e nel suo corpo rivivono le sensazioni di libertà che da sempre il ballo è riuscito a trasmetterle. Danza per la sopravvivenza delle sue compagne, di sua sorella e di se stessa. In quel momento Edie affronta per la prima volta la paura di morire e scopre invece il desiderio irrefrenabile di vivere, insieme alla conferma della sua forza, che mai avrebbe pensato di avere. Ma non basta, oltre la paura vede con improvvisa chiarezza quello che in futuro la aiuterà più di ogni altra cosa: realizza di non essere lei la prigioniera. Realizza di essere già libera, mentre il Dott. Mengele dovrà per sempre convivere con quello che ha fatto.

La “ballerina di Auschwitz” diranno di lei, “l’Angelo della morte” diranno di lui.

La sua compagna di sopravvivenza è la sorella Magda, rimasta al suo fianco per tutta la vita e sempre presente nel racconto di ogni giorno di prigionia. La protezione offerta l’un l’altra è stata più volte questione di vita o di morte, solo le circostanze hanno permesso loro di proseguire il cammino insieme. Le circostanze e la resilienza di cui sono state capaci. Solo poche parole ma chiare per restare nel presente e coglierne le opportunità: “Se sopravvivi oggi, domani sarai libera”.

Come la challah, il pane che mia madre preparava sempre per la cena del venerdì, questo libro contiene tre ingredienti: la storia della mia sopravvivenza, la storia della mia auto-guarigione e le storie delle persone preziose che ho avuto il privilegio di guidare verso la libertà

In un unico e incredibile racconto, l’autrice Edith Eva Eger riesce a mettere insieme i pezzi della sua vita, senza lasciare nulla indietro: non risparmia le emozioni e le immagini terribili dei campi di concentramento, ma non rinuncia mai a celebrare il trionfo della vita in tutte le sue forme possibili e sempre in ogni parola trasmessa lascia trapelare uno sguardo attento, pacificato e saggio sugli eventi che via via ha il coraggio di ripercorrere e di portare fino a noi.

Di particolare impatto nel racconto sono gli appunti delle sedute con i suoi pazienti, in cui descrive con generosità le sue emozioni di sopravvissuta elicitate dalle loro storie, paura, voglia di fuggire, rabbia, colpa e di come proprio ascoltando quelle emozioni difficili sia riuscita nel tempo a connettersi in modo autentico all’esperienza traumatica che le veniva raccontata, imparando di volta in volta a conoscere se stessa grazie alle storie degli altri e a guidare se stessa e i suoi pazienti verso una soluzione nuova e inaspettata.

Curiosità, sintonia, stare insieme nel presente così com’è, accoglierlo senza paura e insieme lasciarlo andare. Così racconta la storia di Emma, giovane adolescente anoressica tormentata dal criticismo dei genitori, che non riesce a uscire dal suo ruolo di malata, né ad ottenere dai genitori l’attenzione e l’incoraggiamento di cui avrebbe bisogno. Attraverso la terapia con Emma, Edith ha la possibilità di riesplorare il ruolo avuto all’interno della sua famiglia e guardare ad una se stessa più completa e più integrata, in cui dovere e piacere potevano convivere anziché rimanere separati per soddisfare le necessità o i conflitti tra i suoi genitori.

Jason invece è un militare, silenzioso, catatonico, a sua volta spaventato ma incapace di comunicare alcunché all’esterno; qui Edith racconta la sua paura, la sua impotenza e il senso del pericolo di fronte a qualcuno che mostrava una rabbia silenziosa e imprevedibile, la stessa che proprio lei aveva vissuto per 2 anni negli sguardi dei soldati delle SS. Qui comprende l’importanza per i sopravvissuti di avere il controllo, di poter scegliere per se stessi e l’assoluta necessità di sentirsi al sicuro prima di affrontare ogni altro problema. Ascoltando la sua stessa paura, Edith racconta di aver trovato e rispettato il bisogno di Jason di poter scegliere cosa dire e creato un’alleanza terapeutica che ha aiutato entrambi a capire come dare e offrire fiducia, quando questa era stata così profondamente tradita.

E poi c’è Agnes, una giovane paziente oncologica che Edith riesce ad accompagnare nella malattia e da cui racconta di aver imparato più chiaramente che in ogni altro momento della sua vita, l’importanza di vivere il presente e di essere con il presente in una relazione positiva, costruttiva, autentica. Solo un buon contatto con il presente può aiutare ad affrontare ogni ostacolo con la forza e le energie necessarie per trasformare il dolore in un’esperienza capace di restituire ricchezza a se stessi e a chi ci è vicino.

Insomma tanti volti e tante storie si alternano nella scrittura, come fili che si intrecciano nella vita di Edith e creano una rete fitta di esperienze in cui la propria non è più isolata, ma resta legata a tutte le altre, simile ma unica per come la si è vissuta, e permette ad ognuno di ripercorrere quel filo e dare il suo contributo, per la sopravvivenza emotiva di tutti.

Uno splendido essere umano emerso dalle macerie di Auschwitz, senza la sua storia non avremmo un’altra fondamentale testimonianza di quanto la natura umana possa spingersi oltre i limiti dell’immaginazione, nel male e nel bene. Grazie Edith!

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Edith E. E. (2017) La scelta di Edith. Corbaccio Editore
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