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Respiro quindi sono – Recensione del libro: Ho Mangiato Abbastanza (2017) di Giorgio Serafini Prosperi

Nel libro 'Ho mangiato abbastanza' Giorgio Serafini Prosperi fa un viaggio che, similmente al cammino dell'eroe, lo mette a contatto con prove e antagonisti

Di Silvia Mascolo

Pubblicato il 10 Ott. 2019

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:04

Giorgio Serafini Prosperi non ha scritto un manuale sul binge eating e la bulimia nervosa. E nemmeno un saggio sui benefici della mindfulness. E nemmeno un libro di ricette da assaporare consapevolmente. Non si è inventato una dieta. Non ha sistematizzato verità e consigli. Giorgio ha scritto una storia: la sua. E le storie curano.

 

Conosco Giorgio Serafini Prosperi una mattina in una famosa libreria del centro di Torino. In una di quelle corsie improbabili, colme di libri che non comprerei mai: manuali di autoaiuto, compendi su diete iperproteiche e strane liaison tra astrologia e cucina molecolare. Il commesso mi ha spedita qui dalla corsia in cui mi trovavo, quella di psicologia. Mi chiedo se abbia capito cosa cerco davvero. Eppure Giorgio lo trovo lì. Unica copia. Mi sento fortunata. Leggo Giorgio d’un fiato e pochi giorni prima di Natale gli mando un messaggio che è sostanzialmente un grazie, tramite la sua pagina Facebook, a nome mio, di S. e di T. Una il suo libro lo ha mangiato tra una seduta e l’altra: “dottoressa non ci avevo mai pensato, a questa storia del gusto“. L’altra leggendo si è appena ricordata di un tempo lontano in cui per lei il cibo erano i viaggi con la famiglia, i paesi stranieri e le culture esotiche. Signficati irriducibili a numeri sulla bilancia. Non si pesa da due giorni, le brillano gli occhi come non mai.

Giorgio non ha scritto un manuale sul binge eating e la bulimia nervosa. E nemmeno un saggio sui benefici della mindfulness. E nemmeno un libro di ricette da assaporare consapevolmente. Non si è inventato una dieta. Non ha sistematizzato verità e consigli. Giorgio ha scritto una storia: la sua. E le storie curano. Perchè la morte, diceva Novecento, è non avere una buona storia da raccontare. Perchè il dolore è non poter infilare come perline nel filo del tempo ogni evento, anche il più tragico, per poterlo osservare all’interno di una meravigliosa collana di senso.

Il cibo è la punta dell’iceberg. Togli il cibo, e guarda che c’è sotto

Giorgio prende la storia che conosce meglio, e altre, che conosce meno, quella delle persone incontrate, quella del padre, ad esempio, e le mette in scena, con la maestria di sceneggiatore e drammaturgo che lo contraddistingue, muove le figure con eleganza e coraggio. Ci veste dei suoi chili e dei suoi dubbi. Ci fa danzare tra claustrofobici corridoi di speranze e vicoli sudati di rassegnazione. Digiuniamo e ci abbuffiamo insieme a lui, freneticamente, ci disgustiamo, dimagriamo, riprendiamo massa e cerchiamo di andarcene da noi, di stordirci di cibo fino a non avere più spazio dentro per altro dolore, per altre domande.

E poi arriva la meditazione. Che arriva dove non arrivano le informazioni, dove non filtra il sole pallido dei ragionamenti. Un invito timido ad ascoltare il rumore assordante che ci accompagna ogni giorno. Il mostro da nutrire fino allo sfinimento, per non lasciare che gridi ancora più forte. E con la meditazione, la pratica dell'”essere con”, quel concerto noise tanto temuto impariamo ad ascoltarlo. A temerlo sempre meno. Posso partecipare a questa festa senza assumere nessuna sostanza stupefacente. Posso “esser-ci”. Posso addirittura comprenderla. Con il corpo. Posso portare la mia attenzione alla mia pancia tanto odiata e ascoltarla modificarsi nell’incontro con il sapore, con la materia. Posso seguire un boccone giù fino all’intestino, posso appoggiarlo sulla lingua senza deglutirlo, posso sentirlo. Sentire. Sentirmi. Posso stare con il cibo in un modo nuovo, libera dal vincolo della dipendenza, accompagnata dall’amorevole sguardo della mia “mente saggia”. Madre compassionevole e inclusiva. È la qualità non giudicante proposta da Debra Safer nel suo trattamento dialettico-comportamentale della bulimia nervosa. Una qualità che è “integrazione di tutte le forme del sapere”, guida intuitiva in equilibrio costante tra obiettivi di ricatto dal craving e benevolenza verso ogni possibile ricaduta. Compassione. Accettazione del limite insito in noi.

Questo è l’unico caso in cui arrendendosi si vince

Forte della mia Mente Saggia, posso dialogare con le parti di me più ostili e sofferenti senza escludere nessuno. Invitarle a sedersi attorno a un tavolo imbandito dove il cibo torna ad essere cibo, la fame torna ad essere fame, non più disperata sedazione di istinti ed emozioni non integrati nella coscienza. Frammenti di mondo interno. Come quelli magistralmente descritti da Natalia Seijo: la bambina che non è potuta crescere, intrappolata nel tempo nella sfinente ricerca di uno sguardo, cerca nei grassi adrenalina e sedazione; la “critica patologica” sprezzante e protettiva al contempo, il “sé nascosto”; il “sé cicciottello” memoria somatica e dissociata di un corpo in sovrappeso, il “sé rifiutato”.

Giorgio Serafini Prosperi fa un viaggio che similmente al cammino dell’eroe lo mette a contatto con prove, amici e antagonisti. Sino al momento dell’Incontro che cambierà per sempre la sua vita. È forse la fata turchina a trasformare Pinocchio in bambino o non è forse l’amore di padre Geppetto, la speranza e la sua vicinanza silenziosa a instillare in lui un seme di realtà tra le pieghe del legno? La fata è l’incontro che mette Pinocchio nelle condizioni di riconoscere quel dono, quella parte sana di sé, calda e viva. Presente da sempre. Pinocchio la riconosce dentro di sé, diversa dalle promesse di libertà e appartenenza del Paese dei Balocchi e dall’ebbra euforia del Gatto e la Volpe.

E dal grigio stomaco di una balena. Dal luogo più buio di sé. Giorgio si spoglia per diventare se stesso. Uno.

L’illustrazione di copertina ne è un gustoso e romantico assaggio.

Tra un pasto e l’altro impari a vivere la vita

Oggi l’esperienza di Giorgio è diventata un protocollo di trattamento dall’emblematico nome Breaters, che desidera integrarsi agli interventi clinici e nutrizionali classici, per educare binge eaters e non a una nuova relazione con il cibo e con il proprio corpo, libera dal “regno degli spiriti affamati”, dalla compulsione, e consapevole dei significati che al nutrimento, in ogni fase di vita, attribuiamo. Una cura del legame che si articola a partire dai legami stessi: primo tra tutti quello con il nostro respiro, il presente, la scelta e quindi l’azione.

Stefano Canali afferma come nelle Dipendenze patologiche sia in gioco uno schema che affonda le sue radici nelle dimensioni della scelta e della volontà, anziché in una disfunzione dopaminergica cronicizzata. Posti i Disturbi Alimentari in un continuum che vede variare la sostanza o i comportamenti ma non gli schemi disfunzionali di assunzione, una clinica dei disturbi alimentari non può prescindere, a mio parere, dal recupero di intenzionalità e agency nel rapporto con l’oggetto, dal ripristino di un legame in cui il soggetto gode di padronanza circa i propri stati mentali, l’impulso, il desiderio.

Consapevolezza e controllo ben illustrati dalla pratica del mindful eating di Jan Chozen Bays.

Per resistere non è sufficiente dire di no. É necessario desiderare. (Boal, A. 2006)

Ammiro dell’autore la capacità di non tralasciare mai l’elemento della bellezza nella sua ricerca, dell’arte e dell’espressione che si fanno voce e pelle. Non mancano i riferimenti costanti alla musica, al cinema e al teatro (i suoi primi amori). Alla favola attraverso la quale ciascuno diventa se stesso.

In quest’ottica, la dieta, lungi dall’essere un prontuario sterile di prescrizioni e proibizioni, diviene preghiera e celebrazione. Carezza. Diviene specchio autentico e unico di una rinnovata capacità di mettersi in ascolto dei propri bisogni, a partire da quelli di base, di sopravvivenza e sostentamento. Le sue pratiche sono poesie che ciascuno di noi potrebbe dedicare al suo sé più fragile e spaventato, semplicemente ancore, nel mare in tempesta.

Bene, quello che stavo dicendo è che costa molto essere autentica, signora mia. E in questa cosa non si deve essere tirchi, perché una è più autentica, quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa.  [Agrado – Tutto su Mia Madre, 1999]

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Canali, S. (2015). La dipendenza come malattia cronica?.
  • Safer, D. L., Telch, C. F., Chen, E. Y., & Barone, L. (2011). Binge eating e bulimia: Trattamento dialettico-comportamentale. Raffaello Cortina.
  • Baricco, A. N. (2012).Novecento. Un monologo. Feltrinelli. Seijo, N. (2013). Más allá de la atención al síntoma. El paciente con trastorno alimentario y de personalidad.
  • www.breaters.com
  • Bays, J. C. (2009). Mindful Eating: A Guide to Rediscovering a Healthy and Joyful Relationship with Food--includes CD. Shambhala Publications.
  • Almodovar, P. (1999) Todo sobre mi madre
  • Serafini Prosperi, G. (2017) Ho mangiato abbastanza: Come ho perso 60 kg con la meditazione (e altri segreti). Sonzogno
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In 'Ho mangiato abbastanza. Come ho perso 60 chili con la meditazione (e altri segreti)' la mindfulness come tecnica per gestire il disturbo alimentare

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