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Le traiettorie di peso nell’infanzia e nella prima adolescenza come fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione 

Le traiettorie di peso in infanzia e adolescenza sembrano essere legate alla possibilità di sviluppare disturbi dell'alimentazione

Di Simona Calugi

Pubblicato il 29 Ott. 2019

Aggiornato il 13 Mag. 2022 14:54

Diversi studi hanno valutato l’associazione tra l’indice di massa corporea (IMC) premorboso e la presenza di disturbi dell’alimentazione e hanno trovato risultati, non sempre confermati, che vanno nella direzione di un IMC premorboso più basso per l’anoressia nervosa e un IMC premorboso più alto per la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating.

 

Lo studio dei fattori di rischio nello sviluppo dei disturbi dell’alimentazione attrae la ricerca scientifica e negli ultimi anni sempre più fondi e più ricercatori si orientano verso questo ambito. Studi con strumentazioni sempre più all’avanguardia, con numeri molto ampi di soggetti, hanno, per esempio, portato alla scoperta di loci genetici che potrebbero, se confermati in campioni ancora più ampi, associarsi alla presenza della patologia. Lo studio dei fattori di rischio si rivolge anche alla ricerca di elementi presenti nell’infanzia o addirittura nella fase della gestazione, che potrebbero indirizzarci verso la futura presenza di un disturbo dell’alimentazione. Questo fa illuminare le menti dei clinici e aprirebbe la possibilità di capire fin dai primi anni di vita quali sono i soggetti più a rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione e trovare, chissà, nuovi interventi, farmacologici e non, atti a far cambiare il corso degli eventi.

Nell’ambito di questa ricerca, il peso e il suo andamento nel tempo sono considerati un elemento chiave su cui convogliare le energie della ricerca. Diversi studi hanno valutato l’associazione tra l’indice di massa corporea (IMC) premorboso e la presenza di un disturbo dell’alimentazione e hanno trovato risultati, non sempre confermati, che vanno nella direzione di un IMC premorboso più basso per l’anoressia nervosa e un IMC premorboso più alto per la bulimia nervosa e il disturbo da binge-eating. Uno studio recente si è spinto oltre andando a valutare la presenza di un fattore di rischio non soltanto nel peso (basso o alto), ma soprattutto nell’andamento del peso nel tempo, sia nei maschi che nelle femmine, nell’età che va dalla nascita fino ai 12,5 anni. La presenza di un disturbo dell’alimentazione era poi valutata all’età di 14, 16 e 18 anni. L’analisi accurata delle traiettorie ha mostrato che, nel campione maschile, data anche la bassa numerosità di questi soggetti con disturbo dell’alimentazione, l’unica differenza che si riscontra è nei soggetti con anoressia nervosa che hanno un peso che si assesta, dai 4 anni in poi, ad un livello significativamente più basso, rispetto ai controlli sani. Nel campione femminile, risultati simili si osservano nel sottogruppo con anoressia nervosa, invece, nei soggetti con bulimia nervosa, con disturbo da binge-eating e con disturbo purgativo, sembra succedere il contrario, cioè il loro peso, soprattutto dai sette anni in poi, cresce di più rispetto al campione di controllo.

Questi dati sembrano aprire scenari sul coinvolgimento metabolico nell’eziologia dell’anoressia nervosa e sul ruolo giocato dai geni dell’obesità in relazione alla presenza di abbuffate. Rimanendo sulle implicazioni cliniche, lo studio può portare a riflessioni sull’obiettivo di peso che dovrebbe essere raggiunto in soggetti con anoressia nervosa che fanno un trattamento. Sulla base dei dati di questo studio sembra che i clinici dovrebbero puntare ad una traiettoria di peso simile a quella di soggetti senza disturbo dell’alimentazione piuttosto che stabilire un obiettivo di peso coerente con l’IMC premorboso.

Nonostante lo studio si proietti verso l’allettante possibilità di intervenire prima dell’esordio del problema, i dati della letteratura necessitano di cautela nella loro lettura e interpretazione. Primo tra tutti, i 1502 individui coinvolti nella ricerca potevano aver riportato anche una sola misurazione del peso tra gli zero e i 12,5 anni, il che obbliga il ricercatore a sostituire i numerosi dati mancanti con una loro stima. Inoltre, la diagnosi di disturbo dell’alimentazione è stata fatta usando un questionario self-report piuttosto che un’intervista strutturata. Sebbene questo sia comprensibile dal punto di vista pratico (fare oltre 1500 interviste sembra poco realistico), dal punto di vista metodologico la dobbiamo considerare un limite che ci fa inevitabilmente dubitare dell’accuratezza della diagnosi. Inoltre, gli autori non spiegano perché intorno ai 12 anni i soggetti di sesso femminile rientrano in traiettorie comparabili a quelle dei controlli sani né perché non hanno utilizzato anche un campione di soggetti con una differente patologia psichiatrica da confrontare con i controlli sani o con quelli con disturbo dell’alimentazione. Infine, facendo uno sforzo statistico di comprensione, il fatto che i dati delle curve di crescita si adattino meglio ad un modello lineare che quadratico o cubico (cioè con curvature delle traiettorie) ci dovrebbe far porre cautela nel leggere le traiettorie come curve che cambiano direzione nel tempo.

Risulta molto affascinante e promettente lo studio dei fattori di rischio nello sviluppo dei disturbi dell’alimentazione e potrà aprire future aree di lavoro e di intervento; rimaniamo in attesa che la ricerca faccia luce sulle molte ombre che ancora esistono.


 

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