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Autoradicalizzazione – Un racconto di Fantapsicologia

Un racconto di Fantapsicologia ci fa riflettere su un aspetto importante della nostra vita e del nostro processo di invecchiamento: l'autoradicalizzazione

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 11 Ott. 2019

Aggiornato il 09 Apr. 2021 14:47

Con l’invecchiamento si assiste di frequente ad un arroccamento sempre più marcato e intransigente sulle proprie posizioni con una difficoltà crescente a mettere in discussione le proprie idee, non foss’altro perché si sono dimostrate efficaci nel garantire la sopravvivenza fino ad allora. 

 

Se i giovani con il loro idealismo tendono spesso e volentieri a diventare fanatici di idee caratterizzate, in genere, dall’essere terribili semplificazioni della complessità della realtà che vengono loro proposte da interlocutori affettivamente significativi del gruppo dei pari, così importante per l’emancipazione dalla famiglia d’origine e la sua cultura o dal partner che nel momento della primavera ormonale ha argomenti cui non si può resistere come proverbi di ogni regione ricordano in modo colorito, con l’invecchiamento si assiste di frequente ad un arroccamento sempre più marcato e intransigente sulle proprie posizioni con una difficoltà crescente a mettere in discussione le proprie idee, non foss’altro perché si sono dimostrate efficaci nel garantire la sopravvivenza fino ad allora.

Si tratta di un “intolleranza di ritorno” che contrasta con la presunta saggezza dei vecchi. In fondo “squadra che vince non si cambia” e l’unica vittoria che l’evoluzione conosce non è l’aver ragione ma essere ancora in vita. Ai vari fanatismi dell’età giovanile e adulta otto/novencenteschi (religiosi, politici, sportivi) e più recenti (alimentari, fisici, da social media) ho dedicato con un gruppetto di fanatiche colleghe un numero monografico della rivista “Cognitivismo clinico” del dicembre 2016. Queste poche righe ne costituiscono un breve “postscrittum” essendo soprattutto dedicate all’interstardimento senile, fenomeno che riguarda tutti coloro che lavorano con la mente altrui con la velleità di modificarne il funzionamento considerato il generale invecchiamento della popolazione. Sempre più vecchi, che peraltro sono i detentori di buona parte della ricchezza e vogliono migliorare la propria qualità di vita emotiva e sessuale e non si accontentano di ammazzare il tempo in attesa di esserne ricambiati e liberare l’INPS dal loro peso.

In questo ingessamento cognitivo, che può apparire simile ma non si identifica con il rincoglionimento tout court, non c’è dubbio che entrino pesantemente in gioco aspetti neurobiologici e una pietra miliare, in tal senso, è stato il lavoro del dottor J.U. Kalstroom dell’università di Trondhaim (2027) che ha pubblicato su “Nature” un articolo in cui, avvalendosi del silenzio assoluto della notte polare e di un antico ma sofisticato captatore di suoni prestatogli dal locale museo storico degli strumenti musicali, è riuscito a registrare l’inquietante cigolio che producono i dendriti che si spostano da una sinapsi a un’altra quando un vecchio cambia idea (ad esempio modifica il testamento escludendo i figli a favore della badante ucraina con cui ha scoperto affinità elettive insospettabili tra culture così diverse). Si tratta di un terribile sferragliare inframezzato da schiocchi per il saltar via di blocchetti di ruggine mielinica. Per chi ne ha memoria si tratta di un rumore simile a quello prodotto dagli addetti alla composizione dei treni quando staccano e riattaccano i vagoni con abile mossa per non restare spiaccicati tra i respingenti.

Lo stesso neuroscienziato, forse esaltato dal primo successo e inebriato dal profumo di Nobel, ha proposto una terapia a base di irrigazioni attraverso l’orecchio e, più arditamente, tramite puntura lombare di “svitol” ma i benefici sono stati piuttosto modesti a fronte dei massicci effetti collaterali soprattutto sugli aspetti morali della condotta, assimilabili ad una classica sindrome prefrontale o, più specificatamente a una “bonobo’s disease” che ha condotto tutti i comitati etici occidentali a vietare ulteriori ricerche in tal senso. Forse la delusione per il mancato Nobel e l’emarginazione nella comunità scientifica internazionale hanno spinto Kaltroom verso una senescenza precoce con quella radicalizzazione sulle sue idee che lui stesso aveva evidenziato con il precedente studio che, unita alla sfrontatezza di continuare a proporle in comizi improvvisati di fronte alle sedi universitarie norvegesi, hanno portato le autorità accademiche alla dolorosa ma inevitabile decisione di abbatterlo, sollevando l’indignazione di molte associazioni animaliste e del board del premio “Ignoble”. La tragica fine di Kalstroom ha rallentato l’approccio neuroscientifico al problema della testardaggine senile di cui si sono avvantaggiati gli approcci più psicologici che una spiegazione più o meno vera ma certamente suggestiva ce l’hanno sempre quasi per tutto (Per lo stato dell’arte si veda la dettagliatissima rassegna di K.M. Lewandosky 2025 pubblicata sull’American journal of Psychology riguardante tutti i problemi dell’esistenza su cui la psicologia ha detto la sua o meglio, le sue, essendoci, in genere almeno due o tre spiegazioni diverse e contrastanti ma comunque affascinanti).

Il contributo del cognitivismo si è focalizzato soprattutto sull’analisi del cosiddetto “dialogo interno” come motore dell’autoradicalizzazione. La tesi è che il continuo dialogo che intratteniamo con noi stessi in ogni momento di veglia e che proseguiamo per immagini oniriche durante il sonno non assomigli tanto ad un dibattimento quale potremmo assistere in un aula di tribunale o parlamentare in cui le varie posizioni sono equamente rappresentate ed hanno pari diritti, quanto piuttosto ad un processo farsa dei regimi dittatoriali dall’esito già scontato e che viene messo in scena solo per rassicurarsi della bontà e ineluttabilità della decisione già presa, oppure ad un comizio di un aspirante capopopolo con un servizio d’ordine piuttosto muscoloso. Solo gli argomenti della propria parte sono ripetuti all’infinito mentre quelli avversi non sono neppure ascoltati o usati solo come pretesto da ridicolizzare per ribadire una volta di più i propri. Viene presa in considerazione una sola ipotesi, quella propria, e ci si dilunga nell’elencazione delle prove a sostegno che vengono reperite nel presente e nel passato con l’attenzione e la memoria selettive. Al contrario le tesi contrarie sono svalutate ricercandone solo le falsificazioni o con ipotesi ad hoc oppure infine svalutandone la fonte.

In clinica sono stati ben descritti e trattati il rimuginio ansioso e la ruminazione depressiva, mentre si è sempre prestata poca attenzione, forse proprio perché non genera particolare malessere, a questo che potremmo chiamare “ideazione confirmatoria” (I.C.), un pensiero circolare e ripetitivo con cui ci si dà sempre ragione e che ha l’effetto di compattare l’identità e rafforzare l’autostima (in proposito si veda la metanalisi di P.J. Festingerball del 2034 che riporta un confronto tra le analisi del contenuto del dialogo interno che si dimostrano parzialmente dipendenti dalla cultura di appartenenza tranne proprio la I.C. equamente rappresentata in ogni contesto culturale – il Festingerball ne conclude acutamente che su temi diversi tutti vogliamo avere ragione).

Una conferma indiretta e inaspettata è giunta da una ricerca commissionata dalle grandi aziende di telefonia mobile che volevano produrre degli sfondi rumorosi da attivare durante le chiamate per far credere all’interlocutore di essere in un posto diverso da quello in cui si era realmente. La ricerca era cofinanziata dalla CEI interessata a stimare la percentuale reale dei tradimenti durante la vita coniugale essendo evidentemente tutti i dati falsati dal fatto che entrano nel calcolo solo quei tradimenti che vengono scoperti che rappresentano solo un sottoinsieme del totale. Il congiungersi di un interesse commerciale e di uno etico-pastorale hanno prodotto uno sforzo di ricerca enorme coordinato dal dipartimento di sociologia della Sorbona di Parigi.

Centinaia di giovani sono stati reclutati, addestrati e pagati (un po’ come i navigator italiani per il reddito di cittadinanza) per pedinare i soggetti che parlavano al telefono e annotare le discrepanze tra il luogo dove si trovavano e quello in cui invece dicevano di essere. Tali risultati non sono inerenti al nostro tema e dunque li tralasciamo per concentrarci su un riscontro collaterale, inaspettato e inutilizzabile per i committenti della ricerca ma utilissimo per il nostro scopo. Spesso dopo un lungo pedinamento, taccuino o registratore alla mano, gli sperimentatori si accorgevano che il soggetto spiato non aveva alcun telefono e stava, in realtà, parlando e borbottando tra sé e sé. Tale fenomeno del “parlare da soli” è stato sempre presente (ne traccia una storia il Persichetti nell’ormai introvabile monografia del secondo dopoguerra dal titolo “Me la canto e me la suono”) ed era un tempo ingiustamente considerato segno inequivocabile di follia che oggi risulta mimetizzato proprio dall’uso dei cellulari con auricolari bluetooth. Gli appunti di queste chiacchierate solitarie sono delle vere e proprie arringhe accalorate in difesa di se stessi con tanto di sovrabbondanti prove a discarico e violente inquisizioni forcaiole verso gli altri che vengono apostrofati con epiteti irripetibili e a cui si augurano piaghe bibliche e si promettono vendette agghiaccianti. Quanto tutto ciò sia accompagnato da una congrua immaginazione sanguinaria non ci è dato sapere, ma certamente nei momenti di acme furiosa il tono di voce si eleva dal consueto brontolio e lo stesso soggetto sobbalza rendendosi conto che sta parlando da solo e perciò si tace o mette in atto azioni di camuffamento come, appunto il telefonino.

Al termine di un episodio di I.C. il soggetto si sente meglio, ha aumentato la certezza nelle proprie idee, è sempre più convinto delle proprie ragioni, della stupidità e/o cattiveria del suo avversario e della necessità di punirlo come ha già iniziato a fare in immaginazione.

L’ideazione confirmativa è una delle manifestazioni dell’autoinganno, processo che sembra costantemente attivo e finalizzato a manipolare i dati percettivi perché il mondo come ci appare risulti quanto più simile possibile al mondo come vorremmo che fosse. In particolare il pezzo di mondo che più ci interessa siamo noi stessi ed è proprio sulla visione che ci viene rimandata di noi stessi che intervengono le più ardite manipolazioni talvolta sconfinanti nel delirio. A piccole dosi l’autoinganno è uno stabilizzatore del benessere e molti terapeuti ne prescrivono delle applicazioni giornaliere su temi concordati in seduta.

Dopo esserci occupati degli aspetti più neurologici con gli studi neuroscientifici del povero Kalstroom e dei meccanismi intrapsichici del dialogo interno, dell’ideazione confirmatoria e dell’autoinganno, occorre dedicare qualche riga ai meccanismi interpersonali e sociali che concorrono all’interstardimento descrivendo il fenomeno cosiddetto della “sovrastima della propria appartenenza”. La Royal society di scienze sociali di stanza a Cambridge in associazione con l’onnipresente Mark Zuckerberg ha svolto una ricerca su 500 mila soggetti di cui oltre il 95% è risultato sovrastimare la percentuale di persone che la pensavano come loro e/o che avevano gli stessi loro gusti. Lo possiamo vedere come un deficit di decentramento o come un bias narcisistico che ci fa supporre che tutti gli uomini siano identici a noi che dunque siamo il prototipo perfetto. Ma, indipendentemente da come lo spieghiamo, il fatto è che crediamo che tutti siano come noi.

Una delle cause più evidenti del fenomeno è la selezione attiva degli interlocutori e delle fonti. Detto in parole povere è ovvio che si tende a scegliere amici e conoscenti che la pensano come noi e col tempo tendiamo ad essere reciprocamente confirmatori delle rispettive identità (ce la cantiamo e ce la suoniamo in coro). Allo stesso modo i giornali e i libri che leggiamo, i programmi televisivi che ascoltiamo sono quelli che dicono ciò che ci fa piacere sentire. Questo effetto è ancora più marcato, grave e pericoloso per la comunità per i leader politici che sono circondati da un manipolo di fedelissimi che filtra la realtà in modo che sia di loro gradimento con la quale dunque perdono progressivamente il contatto.

Dopo un po’ ci sembra che la nostra non sia una parte ma il tutto. Poi ci stanno le elezioni e cadiamo giù dal pero.

 

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