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Una prospettiva evo-devo (Evolutionary Developemental Biology) mette in relazione l’orgasmo femminile e la selezione delle capacità prosociali nel partner

Secondo un'ipotesi recente l'orgasmo femminile nelle sue caratteristiche attuali potrebbe servire per riconoscere i partner più altruistici ed empatici.

Di Giulia Samoré

Pubblicato il 12 Lug. 2019

Perché l’ orgasmo femminile è così complesso? Qual è il suo significato da un punto di vista evolutivo? E come mai si è tramandato nel corso degli anni e dell’evoluzione della specie proprio con queste caratteristiche?

 

Secondo la Biologia Evolutiva dello Sviluppo, anche detta approccio evo-devo, la selezione naturale si configura come una selezione operata a posteriori su delle mutazioni casuali che emergono nell’evoluzione di una specie. In altre parole, meccanismi atti a promuovere una maggiore biodiversità operano nel far emergere delle anomalie genetiche, che solo in un secondo luogo, contribuendo alla fitness dell’individuo nel proprio ambiente e quindi della sua possibilità di sopravvivere e riprodursi, acquisiscono garanzia di una trasmissione del nuovo carattere alla generazione successiva.

Non sempre però è facile risalire alle origini della catena dei mutamenti che ha accompagnato l’evoluzione di una particolare caratteristica, spesso troppo lontane nel tempo per poter determinare con certezza cosa abbia favorito tale cambiamento, così come anche il modo in cui ciò sia avvenuto: è questo il caso dell’ orgasmo femminile nella specie umana, che rimane ad oggi un aspetto della sessualità che stupisce per la sua complessità, per le implicazioni e quesiti che solleva.

Il mistero dell’ orgasmo femminile

Una peculiarità dell’ orgasmo femminile è infatti quella di essere funzionalmente slegato dai fini riproduttivi, contrariamente a quanto invece avvenga per l’uomo, la cui eiaculazione è indispensabile per tale scopo. Se prendiamo in considerazione la posizione del glande del clitoride nella donna umana, largamente coinvolto nella stimolazione richiesta per il raggiungimento dell’ orgasmo, notiamo che esso è situato ad una distanza che può arrivare fino a quattro centimetri dall’orifizio vaginale, una posizione non ottimale per venire coinvolto durante il coito.

Se da una parte la struttura della vagina sembra quindi essersi evoluta per accogliere il pene, massimizzando con la propria anatomia il piacere che il partner ne riceve, dall’altra riscontriamo che essa risulta poco intuitiva da “navigare” per un nuovo partner e decisamente meno facile da soddisfare, specialmente affidandosi alla sola penetrazione vaginale, che riporta una percentuale di successo nell’indurre l’ orgasmo femminile estremamente basso (solo il 26% delle donne ha riportato di raggiungerlo in questo modo). Tra l’altro l’eiaculazione decreta generalmente la fine del coito a causa del periodo refrattario che si riscontra nell’uomo, contrariamente alla donna il cui numero massimo di orgasmi rimane ad oggi virtualmente sconosciuto.

Rimane quindi poco chiaro perché la capacità di provare piacere si sia evoluta in maniera così differente nell’uomo e nella donna e, soprattutto, cosa abbia permesso a questa esperienza cruciale per la sessualità umana di perdurare nell’evolversi della nostra specie, nonostante ci sfugga ad un primo sguardo la sua reale funzione.

Tutte queste considerazioni hanno portato alcuni ricercatori a proporre che non si possa attribuire all’ orgasmo femminile una qualche funzione adattiva o riproduttiva (Zietsch & Santtila, 2013), laddove con questo intendiamo un comportamento che facilita direttamente la sopravvivenza della specie. Tuttavia, il fatto che tale fenomeno persista nella nostra specie al giorno d’oggi, supporta l’idea che esso possa aver assunto una funzione secondaria che favorisca il legame nella coppia (Eibl Eibesfeldt, 1989; Morris, 1967), la risposta endocrina (Huynh, et al., 2013; Motta-Mena & Puts, 2016), il movimento dello sperma verso l’ovulo (Levin, 2011).

In tal senso, la struttura stessa dei genitali femminili nella specie umana, con un clitoride piccolo e separato dall’apertura vaginale, ha contribuito a rendere unica l’esperienza dell’ orgasmo della donna: diversamente da altre specie, il cui glande del clitoride si trova internamente o in prossimità della vagina, nella razza umana esso si presenta distanziato, forse per accogliere il bipedalismo (Gräslund, 2004; Wolfe, 1991) o il parto (Pavelca, 1995); tale caratteristica avrebbe dato la possibilità all’ orgasmo femminile di assumere nel corso dell’evoluzione della specie, una funzione che va ben oltre la piacevolezza dell’atto sessuale.

Una nuova ipotesi: il ruolo dell’empatia prosociale

E’ stata avanzata una nuova ipotesi circa la possibilità che l’ orgasmo femminile, proprio in virtù della peculiare conformazione del clitoride femminile e dell’estrema varianza individuale nel raggiungere il climax, possa essere servito come mezzo di selezione di quei pretendenti che esibissero spiccati comportamenti altruistici ed empatici, col fine di favorire la propria compagna nel perseguimento del proprio piacere. Tali capacità avrebbero inoltre rivelato una più generale propensione all’empatia prosociale, dote fondamentale nella società cooperativa che si andava formando agli albori della nostra specie (Kennedy & Pavličev, 2018).

Con empatia prosociale si intende una capacità di lettura della mente dell’Altro, chiamata talvolta intersoggettività, o Teoria della Mente, e consiste nella possibilità di attribuire agli altri degli stati mentali (credenze, intenzioni, desideri, emozioni, etc) e comprendere che questi siano diversi dai propri.

La scoperta dei neuroni specchio (Di Pellegrino, Fadiga, Fogassi, Gallese & Rizzolatti, 1992), sembrò essere una spiegazione promettente su come fosse possibile avere una rappresentazione in tempo reale della mente altrui, tali neuroni infatti si attivano sia quando un individuo compie un azione che, simpateticamente, quando osserva qualcun altro compierla: in tal modo, l’esperienza osservata viene mentalmente simulata restituendo “l’effetto che fa” essere in quella situazione, e permettendo di comprendere la mente dell’Altro.

Nella propria concettualizzazione dell’intersoggettività de Waal (2010) sottolinea l’importanza del “Body-mapping” (mappaggio corporeo) come la capacità di provare sul proprio corpo ciò che un altro soggetto sta provando, caratteristica tra l’altro condivisa con altre specie non-umane, come delfini, elefanti, primati. Tale capacità è basata su di una corrispondenza dell’esperienza somatica vissuta dai soggetti e quella del soggetto osservato, tuttavia tale coincidenza viene a mancare nell’incontro eterosessuale, laddove le differenze anatomiche e di vissuto richiederanno che l’uomo impari a mettere in atto specifici comportamenti orientati ad elicitare il piacere della propria compagna.

Contrariamente a quanto sostenuto da Waal, Hrdy sostiene che l’empatia prosociale nell’essere umano sia emersa dalla necessità di accudimento e di protezione della prole, particolarmente gravosa e prolungata nel tempo rispetto al resto del regno animale, e quindi unica della specie umana (Hrdy, 2011). La necessità di vicariare supporto da membri esterni alla diade genitoriale, altrimenti dette cure alloparentali, avrebbe richiesto che altri individui rispondessero empaticamente ai bisogni dei piccoli, seppure non propri, che i piccoli comprendessero gli stati mentali di adulti che non fossero i propri genitori, e ancora a selezionare individui meritevoli di fiducia per delegare l’accudimento del piccolo.

Riassumendo..

Nella cornice dell’asimmetria sessuale presente tra i due sessi nella specie umana, è verosimile presupporre che la femmina avrebbe quindi privilegiato quel compagno che avesse mostrato interesse per la sua l’esperienza, “leggendo” i segnali lanciati dal suo corpo e ricercandone attivamente l’appagamento anche a costo di ritardare il proprio soddisfacimento.

Sul lungo termine la scelta dell’individuo che incarna tali caratteristiche, avrebbe comportato la formazione di un legame di coppia più solido (Young and Wang, 2004), maggiori possibilità di concepimento e, grazie alle cure empatiche dei genitori, una maggiore possibilità di sopravvivenza per la prole.

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