Freud, in Al di là del principio di piacere, attraverso il concetto di “coazione a ripetere” afferma che gli adulti ricreano nei rapporti interpersonali della propria vita le esperienze di relazioni della prima infanzia. Ciò implica l’esistenza negli individui della capacità d’interiorizzazione e perpetuare modelli di relazione.
Freud e il dono della madre
Le relazioni riguardanti la prima infanzia per Freud riguardano, seppure nelle varie fasi dello sviluppo, il soddisfacimento dei bisogni fisiologici. Il neonato vive in uno stato di “narcisismo primario” e sperimenta l’angoscia riguardo al bisogno di nutrimento. La madre che per il tramite del seno fornisce il cibo diventa oggetto di amore per la sua capacità di attenuare, con la sua presenza e disponibilità, l’angoscia.
Infatti, il dono per Freud è la presenza della madre che tramite il cibo soddisfa i bisogni del bambino. Da ciò si deduce che l’assenza di dono ovvero una madre che non soddisfa questi bisogni primari non stabilisce un legame rassicurante per il bambino.
In seguito Freud nel saggio Inibizione, sintomo e angoscia introduce il concetto di segnale di angoscia in cui il bambino si sente rassicurato dalla presenza della madre e sviluppa l’angoscia in caso di separazione o di assenza. In questo caso il dono per il bambino è la presenza della madre.
Harlow: attaccamento genera attaccamento
Harlow, in seguito, nei suoi studi sull’attaccamento, dimostrò che le scimmie rheus preferivano la mamma surrogata di peluche piuttosto che quella con il biberon ma solo di filo metallico. Ciò permise ai coniugi Harlow di dimostrare che i piccoli macao si sentivano protetti dalla presenza della madre, anche se surrogata da un peluche, piuttosto che dal soddisfacimento dei bisogni fisiologici.
Harlow con i suoi esperimenti andò oltre tenendo i piccoli macao in piccole gabbie in assoluto isolamento ma con grande disponibilità di acqua e cibo. Dopo un po’ di tempo i piccoli cominciarono a mostrare una serie di alterazioni comportamentali. Addirittura quelli che rimasero rinchiusi all’incirca un anno mostravano un comportamento catatonico, non manifestando nessun interesse per l’ambiente esterno. Le scimmie una volta raggiunta l’età adulta non riuscivano a relazionarsi in modo corretto non cercando e trovando un partner, non mostrando nessuna necessità di avere figli. Alcuni macachi, inoltre, si lasciavano morire smettendo di mangiare e bere. Le femmine non mostravano nessun interesse ad avere figli, Harlow li fece fecondare contro la loro volontà. I risultati furono terribili poiché non si curavano per niente dei figli, non gli davano da mangiare e addirittura arrivavano a mutilare i loro piccoli.
Gli studi di Harlow sembrano indicarci, da un lato, che la presenza della madre e il dono dell’affetto fanno nascere un debito positivo che genera nei figli il bisogno successivo alla cura, mentre l’assenza della madre non genera legame poiché crea un debito negativo che tende a mantenersi. La mamma è fonte di affetto e di sicurezza se dona la sua presenza al figlio. Inoltre, Harlow tende ad accennare a un concetto generativo dell’attaccamento per cui attaccamento genera attaccamento.
Melanie Klein e le relazioni oggettuali
Gli studi di Harlow nascono nell’ambito delle teorizzazioni sull’attaccamento infantile dovute agli studi di M. Klein che apporta alle teorie freudiane alcuni elementi di novità dovuti in particolar modo al suo lavoro con i bambini. Fermo restando il soddisfacimento dei bisogni fisiologici, introduce anche il concetto di relazioni oggettuali. Secondo questo modello il bambino non interiorizza più un oggetto o una persona ma l’intera situazione relazionale caratterizzata da un vissuto emotivo, un modo di sentire se stessi e un modo di sentire l’altro. Le interiorizzazioni possono essere connotate positivamente e, quindi, costituire un oggetto buono o, al contrario, negativamente e costituire un oggetto cattivo. La novità della teoria della Klein è costituita, inoltre, dalle influenze che il mondo interno del bambino ha sulla relazione. La nostra autrice ipotizza l’esistenza di un istinto di morte. E’ la presenza di questo istinto che fa si che la prima relazione con la madre è pervasa dall’invidia primitiva, da fantasie sadiche, da meccanismi di proiezione che possono provocare delle distorsioni percettive. L’istinto di morte è preesistente rispetto alla relazione oggettuale ed ha una forte influenza su quest’ultima. Ciò che s’inizia a ipotizzare con le teorie Kleiniane è il ruolo del sedimento culturale presente all’interno dell’inconscio che è sì la sede delle pulsioni ma anche di una trasmissione filogenetica che viene da lontano.
In sostanza con gli studi della Klein, prima, e di Bolbwy, Harlow, Winnicott, Bion, Stern e altri si passa da una concezione, tipicamente freudiana, di relazione madre-figlio totalmente simbiotica che può essere rotta solo dall’intervento del terzo (fase edipica), a una relazione diadica o oggettuale in cui i due attori – madre e figlio – interagiscono tra di loro essendo dotato il neonato da un patrimonio genetico efficace sin dalla nascita a promuovere vicinanza e contatto con la madre. La differenza non è di poco conto poiché il nucleo delle disfunzioni successive in Freud va ricercato nel legame simbiotico madre-bambino mentre, per i secondi, va trovato nelle relazioni tra il bambino e l’oggetto che nel primo periodo non può che essere la madre o parti di essa.
Margaret Mahler e il concetto di separazione-individuazione
La Mahler, attraverso lo sviluppo del concetto di separazione-individuazione e di distinzione fra sé e non sé, supera questa dicotomia descrivendo uno sviluppo in fasi che prevede la presenza sia delle fasi simbiotiche sia di quelle oggettuali in relazione allo sviluppo psicobiologico del bambino:
- fase autistica: da 0 a 2 mesi in cui il bambino pensa alla sua sopravvivenza più ché alle relazioni oggettuali;
- fase simbiotica: da 2 a 6 mesi riesce ad avere una vaga coscienza della mamma e si percepisce come totalmente in simbiosi e dipendenza con quest’ultima;
- fase di separazione-individuazione: da 6 a 36 mesi in cui attraverso la differenziazione, la sperimentazione, il riavvicinamento e la costanza oggettuale, il bambino differenzia il sé dagli altri.
Se la differenziazione fra l’immagine del sé e quella degli oggetti fallisce, vi è un terreno fertile per lo sviluppo successivo delle psicosi. La Mahler sostiene che la fase simbiotica richiede che il bambino si comporti come se lui e la madre fossero una cosa sola e “un sistema onnipotente, un’unità duale racchiusa dentro gli stessi confini”. Nella psicosi simbiotica vi è fusione, dissolvimento e mancanza di differenziazione tra il sé e il non sé: una completa indefinizione dei confini. Questa ipotesi ci ha condotto allo studio della normale formazione di un’entità separata e di un’identità. Quando in certi casi il ritardo delle funzioni autonome dell’io è unito a un concomitante ritardo della prontezza emotiva a funzionare separatamente dalla madre, dà origine a un panico a livello di organismo. E’ questo panico che causa la frammentazione dell’io e genera così il quadro clinico della simbiosi psicotica infantile. Racamier, in Genio delle origini, afferma che la rottura della fase simbiotica sia il primo dei lutti che il bambino deve imparare a elaborare al fine di elaborare i vari lutti che nella vita è costretto a superare:
Il lutto originario è dunque la prima e prolungata prova che l’io deve affrontare per scoprire l’oggetto. In virtù di un paradosso fondatore, questo è perduto prima che trovato, allo stesso modo non si trova l’io se non accettando di perdersi.
Il legame madre-bambino e l’importanza dei confini
Da ciò deriva che il legame madre-bambino prevede una differenziazione tra i due nuclei con lo stabilizzarsi dei relativi confini senza che venga meno il processo di legame, cosi come descritto in precedenza.
Lo strutturarsi di fenomeni psicotici, in sostanza, è legato alla fusione dei due nuclei più che a un interscambio di elettroni. Se all’inizio (fase autistica e fase simbiotica), la fusione, in senso chimico e fisico, apporta calore alla relazione, in assenza di differenziazione si determina una deflagrazione.
Il calore, inoltre, come sostenuto in precedenza, costituisce l’energia di legame in grado di fare cambiare stato alla materia da solida in liquida o da liquida in gassosa. E’ attraverso il calore della relazione che il soggetto è in grado di differenziare il sé e conquistare una propria identità. Da notare, ancora una volta, che per acquistare (identità o consapevolezza di sé) si deve perdere la funzione protettrice della simbiosi. Ritorna la funzione del dono nel senso del perdere al fine d’acquistare nuovi legami.
Uscire dalla simbiosi, infatti, vuol dire acquistare consapevolezza di sé e in forza di questa nuova immagine d’identità potersi predisporre al legame con gli altri. Conquistare una nuova stabilità con confini chiari apre alla possibilità di potersi legare con altri soggetti esattamente come fanno i composti in chimica. Se ci trasformiamo in molecola, abbiamo la possibilità, attraverso i legami secondari, a unirci ad altre molecole in modo da formare altri composti. Essendo un processo che si perpetua all’infinito, non vi è dubbio che assuma forme antropologiche e simboliche.
Al contrario, i processi che impediscono, provenienti sia dalla madre sia dal bambino, come vedremo in seguito, il processo di differenziazione non danno la possibilità di formare nuovi legami. E’ quello che succede ai primati di Harlow alle quali, attraverso l’isolamento, non si da la possibilità di sperimentare la fase simbiotica e, di conseguenza, di potersi differenziare e conquistare una consapevolezza di sé e, quindi, di poter stabilire legami stabili nel momento in cui vengono liberate. E’ quello che succede alle relazioni in cui le madri trattengono i figli in simbiosi con loro e non permettono la perimetrazione del territorio attraverso la creazione di confini. Levy, a questo proposito parla di madri iperprotettive che, a loro volta, avevano avuto profonde carenze e che, in qualche modo, le spingono “a cercare di ottenere dai figli ciò che non avevano ottenuto dalle proprie madri“. Lidz , definisce queste madri come impenetrabili ai bisogni dei figli che continuamente propongono la mancanza di significato della loro vita .
Winnicott, afferma che, all’inizio della vita, ognuno esiste solo perché parte di una relazione e, le sue possibilità di vivere e svilupparsi, dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e appartenenza a un Altro (madre/caregiver) che si prenda cura di lui e gli dia qual senso di sicurezza e intimità che sono basilari per la crescita. Sarà proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria, da quanto la figura di attaccamento sarà disponibile, protettiva, affidabile, costante e capace di un contatto caldo e rassicurante che dipenderà lo sviluppo sano del suo vero Sé. Da questo presupposto nasce la good enough mother che è quella madre che sa regredire, diventare piccola come il suo bambino, per sintonizzarsi meglio su di lui, sul suo mondo interno e su i suoi bisogni.