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L’Io criminale. La psichiatria forense nella prospettiva psicoanalitica (2018) a cura di M. De Mari – Recensione del libro

L'Io criminale, libro a cura di M. De Mari, raccoglie un'ampia sintesi dei contributi teorici e clinici che la psicoanalisi ha offerto alla criminologia.

Di Paolo Azzone

Pubblicato il 07 Mag. 2019

Alla fine del medioevo la lebbra sparisce dall’Europa. Si lascia alle spalle un capillare e ubiquitario sistema di accoglienza e assistenza che comunità laiche e religiose avevano faticosamente realizzato nel corso dei secoli.

 

Foucault ha genialmente dimostrato come nel XVI questo apparato si volga ad una nuova funzione. Costituisce il germe di un sistema di controllo e correzione dei devianti, che potrà assumere le forme delle workhouses (case di lavoro) o degli Hôpitaux Généraux (generici ospizi/ospedali).

Il grande sistema di internamento e correzione che con vari nomi si diffonde in tutta l’Europa occidentale all’inizio dell’età moderna accoglie senza particolari distinzioni ogni forma di devianti: folli, perversi, giocatori d’azzardo, accattoni, prostitute.

L’Io criminale. La psichiatria da Pinel a Basaglia

Negli anni della rivoluzione francese la psichiatria moderna nasce tramite un’operazione di delimitazione. Philippe Pinel seleziona all’interno dell’indefinito universo correzionale i pazienti portatori di uno specifico disturbo della mente. La psichiatria in quanto branca della medicina sceglie di dedicarsi al trattamento di questa sottopopolazione, rifiutando definitivamente di occuparsi della generica devianza sociale. Inizia così un processo che in qualche modo si compirà solo negli anni ‘70 con la riforma di Basaglia, quando rinnegando l’istituzione manicomiale la psichiatria si installerà negli ospedali generali, cuore del pensiero e della prassi medica.

Le varie famiglie ideologiche della psichiatria, l’ala sociale e a modo suo rivoluzionaria, la neurobiologia farmacologica, gli psicoanalisti con e senza divano trovarono così un generale consenso rispetto all’oggetto specifico della loro disciplina. In questo contesto il disturbo mentale veniva contrapposto sia al disturbo del comportamento su base organica o tossica sia ai comportamenti antisociali più o meno associati al consumo di sostanze.

Oggi tutto questo appartiene al passato. La famiglia, le istituzioni, i media non hanno mai gradito fino in fondo questa neutralità dei medici psichiatri rispetto al puro fatto comportamentale. Ma è stato il sistema giudiziario e la cultura criminologica e giuridica ad esso associata ad esercitare un’azione decisiva.

L’Io criminale: il contributo della psicanalisi in ambito peniteniziario oggi

L’evoluzione legislativa ha agitato slogan libertari e ha fatto della chiusura degli OPG il proprio fiore all’occhiello. Ma la prassi e la nuova realtà istituzionale sono sotto gli occhi di tutti. Oggi la legge chiede allo psichiatra di occuparsi a tutto tondo di pazienti autori di reato. Alle comunità psichiatriche sul territorio viene chiesto di accogliere pazienti sulla base di provvedimenti giuridici, emessi in forza di criteri di pericolosità sociale, indipendentemente da valutazioni clinico-terapeutiche.

La psichiatria è cambiata. La società ci chiede di intervenire, controllare, agevolare e supportare le decisioni dell’apparato giudiziario. Confesso che come psicoanalista ho accolto queste trasformazioni con grande perplessità. Che spazio ha la psicoanalisi in questo nuovo contesto? Che contributo potrà dare il clinico strappato coattivamente alla sua posizione di neutralità e calato in questo contesto punitivo o tutt’al più rieducativo?

 Freud (1906) sottolineava le distanze tra pensiero psicoanalitico e pensiero giuridico, soprattutto rispetto alla concezione della colpa, ma in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916) ipotizzava che la psicoanalisi potesse chiarire le motivazioni di alcuni comportamenti antigiuridici. Oggi non possiamo che porci una lunga serie di domande. Può lo psicoanalista dirsi neutrale rispetto ai reati contro la persona? La spiegazione genetica di un comportamento criminale può risolvere la responsabilità personale in termini di una mera catena eziologica? La personalità psicopatica può essere oggetto di un trattamento psicoanalitico? E, se sì, la cura può sostituire tout court l’espiazione della pena per i reati compiuti? E’ chiaro che questi interrogativi implicano un profondo ripensamento del contributo della psicoanalisi alla società contemporanea. Il lavoro teorico che ci attende appare estremamente impegnativo.

L’io criminale: il contributo del testo curato da De Mari

In questa situazione di disagio, direi quasi smarrimento personale, ho scoperto con grande piacere lo sforzo di Massimo De Mari. In L’io criminale lo psicoanalista padovano ha raccolto numerosi contributi di clinici italiani e stranieri impegnati a confrontarsi nel lavoro quotidiano con pazienti autori di reato. De Mari manifesta un certo ottimismo. Sostiene che:

Mano a mano che procede la conoscenza di queste dinamiche interne, queste personalità fortemente disturbate perdono la maschera di “mostri da prima pagina” capaci di comportamenti violenti, anche efferati, per ridiventare persone con una storia complessa, molto spesso caratterizzata da mancanze affettive, privazioni, violenza subita in epoca molto precoce dello sviluppo psico-affettivo, la cui paziente decifrazione può permettere di far emergere i motivi, spesso sconosciuti agli stessi autori di questi reati.

Franco De Masi ci offre un contributo estremamente originale. Sulla base di un caso clinico esemplare propone una interpretazione teorica originale dei comportamenti perversi. Dal suo punto di vista

l’attacco distruttivo si accompagna a una speciale forma di piacere, che rende il male preferibile e più potente del bene. … il male conduce a una forma di orgasmo mentale che consente di agire al di fuori di ogni consapevolezza e responsabilità.

Alfredo Verde ci aggiorna sulla criminologia narratologica, branca degli studi psicosociali, che sta raccogliendo ampi consensi in ambito anglosassone e che guarda con grande interesse ai potenziali contributi della psicoanalisi.

Nella seconda parte del volume De Mari dà spazio ad ampi resoconti clinici in una prospettiva internazionale. Carine Minne e Alaine Gibeault (Francia), Samrat Semgupta (Regno Unito) propongono ampi casi clinici in cui il trattamento di alcuni detenuti è stato associato ad interventi individuali più o meno strutturati, che hanno consentito di ricostruire la dinamica di gravi delitti e forse, di agevolare il processo rieducativo.

In conclusione il bel volume di Massimo De Mari raccoglie un’ampia sintesi dei contributi teorici e clinici, per la verità ancora poco sistematici, che la psicoanalisi ha offerto alla criminologia. Rispetto ai complessi interrogativi che abbiamo posto poc’anzi, il lettore non potrà certo attendersi risposte definitive, ma troverà ricchi stimoli per proseguire la propria faticosa ricerca personale.

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Paolo Azzone
Paolo Azzone

Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • De Mari M. (a cura di) (2018) L’Io criminale. La psichiatria forense nella prospettiva psicoanalitica. Alpes Italia
  • Foucault M. (1963) Histoire de la folie à l'âge classique. Tr. it. (1963) Storia della follia nell'età classica. Rizzoli, Milano.
  • Freud S. (1906) Tatbestandsdiagnostik und Psychoanalyse. Gesammelte Werke, VII. Pp. 3-15.
  • Freud S. (1916) Einige Charaktertypen aus den psychoanlytischen Arbeit. Gesammelte Werke, X. Pp. 364-391.
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