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Benessere: quando una difficoltà è “solo” una difficoltà!

Il Parent Training come altri interventi psicologici promuovono il benessere dell'individuo nella quotidianità e non solo in caso di psicopatologia.

Di Francesca Rendine

Pubblicato il 28 Mag. 2019

Tendiamo a vedere la prevenzione o la promozione del benessere come qualcosa di astratto o come qualcosa che essendo distante dalla diagnosi, non merita attenzione. In realtà ignoriamo un nostro diritto: quello di poter “star meglio” anche quando non si sta “male”.

 

Non è solo un disturbo o una diagnosi clinica ad essere fonte di “problemi” o a richiedere l’intervento di uno psicologo. Comunemente ritieniamo che l’operato professionale dello psicologo sia circoscritto all’ambito clinico, in cui l’attività di diagnosi e trattamento diventano le azioni tecnico-professionali maggiormente attuate.

Quando una “difficoltà è solo una difficoltà” possiamo occuparcene in un’ottica professionale che vede nell’intervento psicologico la possibilità di promuovere benessere ed agire a scopo preventivo, come suggerito dall’articolo 1 della legge 56/89.

Cosa si intende per benessere e prevenzione?

Sviluppando la precedente dichiarazione del 1946, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute come:

… uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia (1998).

In questa definizione possiamo cogliere molteplici ed importanti aspetti, ovvero:

  • le variabili coinvolte nel costrutto di benessere sono diverse ma integrate e definiscono uno stato dinamico, dunque “in continuo cambiamento”
  • la malattia non è l’unico parametro per definire la presenza o l’assenza di benessere
  • la promozione del benessere è al contempo una forma di prevenzione primaria

Tendiamo a vedere la prevenzione o la promozione del benessere come qualcosa di astratto o come qualcosa che essendo distante dalla diagnosi, non merita attenzione. In realtà ignoriamo un nostro diritto: quello di poter “star meglio” anche quando non si sta “male”.

“Siamo in difficoltà col nostro bambino!”

“Non posso allontanarmi dal mio bambino, piange continuamente!”
“Non riesce a dormire nel suo letto ed ogni notte si sveglia per dormire nel lettone!”
“Fa continuamente capricci e non rispetta alcuna regola!”

In assenza di una diagnosi, una difficoltà “resta una difficoltà”, ma non per questo non possiamo occuparcene. Molti sono gli interventi che seguono un modello comportamentale e psicoeducativo, ovvero interventi psicologici che rispondono non esclusivamente ad un’esigenza che nasce per la presenza di una specifica psicopatologia, ma anche dal desiderio di migliorare il rapporto genitore-figlio.

Il parent training ad esempio, intervento psicologico nato dall’ambito clinico, ma oggi non più circoscritto ad esso grazie ai recenti contributi, estende la sua applicazione anche ad aspetti di ordinaria quotidianeità, ad esempio: fare i compiti, definire delle regole, regolare le abitudini alimentari e del sonno.

Promuovere il benessere in queste situazioni ordinarie permette di prevenire forme di conflitto o disfunzioni relazionali che possono alterare l’intero assetto familiare ed in maniera differente i singoli componenti. L’intervento del parent training nello specifico porta con sé caratteristiche che rivoluzionano l’immaginario, spesso errato, dell’intervento psicologico:

  • chi usufruisce dell’intervento è al contempo responsabile e fautore del processo psico-educativo in cui i due assi familiari sono coinvolti (genitore-figlio, genitore-genitore);
  • chi usufruisce dell’intervento affina conoscenze specifiche che lo guidano nella risposta comportamentale più idonea a soddisfare il bisogno o la richiesta “implicita” del figlio, a seconda della sua specifica fase di sviluppo (infanzia o adolescenza);
  • chi usufruisce dell’intervento non è necessariamente portatore di una diagnosi, in questo caso il bambino o l’adolescente, ma è un nucleo familiare che porta alla luce una difficoltà di relazione e gestione di dinamiche emotivo-comportamentali che uniscono l’agire del bambino o dell’adolescente alla reazione del genitore;
  • l’intervento agisce su un piano comportamentale attraverso un intervento che è in fase iniziale di tipo psico-educativo, ovvero tiene conto di dinamiche: comportamentali, cognitive, psicologiche ed educative.

Questo approccio restituisce ai genitori la responsabilità di aiutare i figli nel loro sviluppo, con conseguenze positive quali la diminuzione dello stress, che essi sperimentano affrontando i piccoli drammi quotidiani, l’aumento dell’autostima e la fiducia nel trovare soluzioni… (Benedetto, 2017).

Dovendo la promozione del benessere diventare una forma preventiva del disagio conclamato, ma anche uno strumento di “vita quotidiana”, l’intervento si avvale di fasi psico-educative, homeworks ed osservazioni ecologiche portando tanto le osservazioni del professionista, quanto gli strumenti acquisiti dal genitore, ad essere presenti e “vissuti” non solo in un’ambiente controllato, ma anche in un contesto ecologico, ovvero di vita reale.

È un diritto di ciascuno potersi occupare dei “piccoli drammi quotidiani”, mantenendo vivo il desiderio di non porre esclusivamente rimedio all’ “errore educativo” ma di considerare le diverse dimensioni psicologiche in atto (autostima, affettività, funzionalità del gruppo familiare).

Oltre il rimedio educativo: fra regole e cognizioni

Sia durante l’infanzia che nel periodo adolescenziale la possibilità di definire delle regole per i propri figli, può diventare un compito complesso e difficoltoso. Spesso esiste una “polarizzazione” nel reputare la regola educativa come una limitazione allo sviluppo del bambino. Paradossalmente

vivono maggiori esperienze di libertà quei fanciulli che si muovono in un ambito delimitato da alcune regole di base – ragionevoli e condivise – piuttosto che quelli che dispongono di un’apparente libertà (…) (A.O. Ferraris, A. Oliverio 2002).

La ragionevolezza e la condivisione, affondano le proprie radici in aspetti specie-specifici di quel nucleo familiare, ovvero:

  • condizioni sociali
  • autostima del ruolo genitoriale
  • cognizioni alla base dello stile educativo

Le condizioni sociali di un nucleo familiare determinano la possibilità di conoscere quali reali risorse o difficoltà quel nucleo familiare deve affrontare quotidianamente. Spesso elementi che sembrano “distanti” dalla gestione del rapporto genitori-figli (ad esempio il burn out lavorativo, un problema di salute, difficoltà coniugali …) possono incidere in maniera indiretta sulla funzione genitoriale.

L’autostima del genitore benché non sia un’ “eredità diretta” dell’autostima del bambino, diventa, quando c’è un fattore protettivo nell’affrontare numerose difficoltà. La percezione di sé come autoefficace nel ruolo genitoriale determina delle cognizioni “positive” alla base di una scelta educativa, essenziale nei momenti di difficoltà.

La reazione del genitore nasce da un comportamento pratico agito (ad esempio: rimproverare, urlare, incoraggiare …) e da una quota di emozioni (positive o negative) connesse. Questa reazione non è esclusivamente legata al comportamento del figlio, ma resta in parte ancorata al proprio sistema cognitivo, alla “propria credenza.

Le convinzioni dei genitori rispetto alle proprie capacità educative hanno una grande influenza sui comportamenti concreti con i figli (Benedetto, 2017).

Benchè i bambini ed i ragazzi vadano incontro ad una graduale autonomia dal genitore, il loro non è mai un completo rapporto di “dipendenza”, il bambino anche nei primissimi mesi, a partire dalle teorie di Bowlby, viene descritto in una relazione di attaccamento

ciò significa che il bambino acquista un ruolo attivo nell’instaurarsi della relazione (…) (A. Lis, S. Stella, G.C. Zavattini 1999).

Questo ruolo attivo è capace di generare risposte nell’adulto che a sua volta è connesso non solo al bambino o all’adolescente, il figlio, ma al contempo alle proprie cognizioni, al proprio grado di autostima, al proprio senso di autoefficacia, alle proprie cognizioni nonché alle condizioni sociali di vita.

Il valore di un’interazione quotidiana determina dunque la qualità di un rapporto diadico (genitore–figlio) che si innesta all’interno di una relazione che è, al contempo, coniugale e genitoriale (co-genitorialità) e con variabili riconducibili al benessere dell’inidviduo.

Perciò..

Quando una difficoltà è “solo” una difficoltà, possiamo occuparcene in un’ottica di benessere e prevenzione, perché “stare meglio o saper agire meglio” è un diritto che viene prima che merita tutta la nostra attenzione.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benedetto, L. (2017). Il parent training. Nona edizione. Carocci editore, Bussole.
  • Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute DoRS (2012). Glossario della Promozione della Salute.
  • Ferraris, A.O. (2002). Fondamenti di Psicologia dello Sviluppo. Estratto da Psicologia. I motivi del comportamento umano. Zanichelli.
  • Lis, A., Stella, S., Zavattini, G.C. (1999). Manuale di Psicologia Dinamica. Il Mulino.
  • Ordinamento della professione di Psicologo (1989). L.18 febbraio, n°56. Gazzetta Ufficiale, 24 febbraio 1989, n. 46. DOWNLOAD
  • Organizzazione mondiale della Sanità (1998). Health Promotion Glossary.
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