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Il ruolo dell’empatia nella risoluzione di un dilemma morale

Numerosi studiosi si sono interrogati sui fattori che guidano l'individuo nell'operare un giudizio morale, tra questi sicuramente l'empatia.

Di Giorgia Petrova

Pubblicato il 19 Apr. 2019

Aggiornato il 17 Ott. 2019 15:49

Specifici aspetti dell’ empatia hanno un alto potere predittivo sul tipo di giudizio morale. Tra le più famose condizioni create per studiare il modo in cui l’individuo compie un giudizio morale ritroviamo il dilemma Trolley e il dilemma Footbridge.

 

Secondo il modello del doppio processo di Greene e collaboratori (2001, 2004, 2008), la risoluzione di un dilemma morale è guidato dall’interazione di due sistemi in competizione: un processo veloce, automatico ed emozionale e uno più lento, controllato e cognitivo. Nello specifico, il sistema cognitivo indirizzerebbe verso la scelta utilitaristica mentre quello emozionale verso la decisione non utilitaristica. Secondo questo modello il diverso coinvolgimento del sistema emozionale spiegherebbe i differenti pattern nel giudizio morale.

Secondo Mehrabian e collaboratori (1988) persone con livelli di empatia più elevati si mostrano più impegnati in comportamenti altruistici, sono meno aggressivi, più affiliativi, valutano i tratti sociali positivi come più importanti, hanno punteggi più alti sulle misure di giudizio morale, e sono più propense ad aiutare volontariamente gli altri.

Choe e Min (2011) grazie ad un loro studio sulla relazione tra diversi tratti disposizionali e giudizio morale, hanno dimostrato che alti punteggi nei tratti di empatia, misurata con l’Emotional Empathic Tendency Scale (Mehrabian et al., 1988), portavano ad un decremento della scelta utilitaristica nei dilemmi morali personali.

Empatia e giudizio morale: il dilemma Trolley e il dilemma Footbridge

Gleichgerrcht e Young (2013), invece, hanno cercato di indagare il potere predittivo di specifici aspetti dell’ empatia per diversi gruppi di decisori morali. Nel primo dei loro tre esperimenti, gli autori hanno presentato ai partecipanti due dilemmi morali: il dilemma Trolley e il dilemma Footbridge.

Nel primo dilemma una locomotiva senza controllo si sta dirigendo verso cinque operai che stanno lavorando sui binari e che stanno per essere investiti: è possibile salvarli tirando una leva per deviare il corso del treno su un altro binario dove si trova una sola persona. Al decisore morale si chiede di scegliere se tirare la leva sacrificando la vita di una sola persona per salvarne cinque oppure lasciare che gli eventi seguano il corso intrapreso. Nel secondo dilemma invece la persona che deve prendere la decisione assiste alla scena da un ponte sopra ai binari e gli si chiede se spingerebbe personalmente una persona giù dal ponte, uccidendola, per salvare i cinque operai in pericolo.

In base al tipo di risposta che le persone avevano fornito a tali dilemmi, hanno suddiviso i partecipanti in 4 gruppi: Utilitaristi, ossia coloro che rispondevano ad entrambi i dilemmi in maniera utilitaristica; Non Utilitaristi, ovvero quelli che rispondevano ad entrambi i quesiti in modo non utilitaristico; Maggioranza, ossia coloro che rispondevano come la maggioranza delle persone, cioè in modo utilitaristico al dilemma Trolley e non utilitaristico al dilemma Footbridge; e Atipici, ovvero coloro che rispondevano in modo non utilitaristico al dilemma Trolley e utilitaristico al dilemma Footbridge.

I partecipanti dovevano compilare una serie di questionari tra cui l’Interpersonal Reactivity Index (IRI), che misura le diverse componenti dell’ empatia individuate da Davis (1983): perspective taking, la tendenza spontanea ad adottare il punto di vista altrui; empathic concern, la capacità di sentire compassione e preoccupazione per gli altri; fantasy, tendenza ad immergersi grazie all’immaginazione nelle sensazioni di personaggi fittizi; personal distress, la tendenza delle persone a sentire ansia e disagio a contatto con la sofferenza altrui.

Dai risultati è emerso che non c’era nessuna differenza tra i gruppi per quanto riguarda le sottoscale di fantasy, prespective taking e personal distress, mentre è stata messa in luce una differenza significativa a livello di empathic concern: il gruppo Utilitarista mostrava un livello di empathic concern significativamente inferiore rispetto a tutti gli altri gruppi. Per quanto riguarda il tipo di scenario, nel caso del Trolley, nessuna differenza significativa è stata rilevata tra i gruppi Utilitarista e Non Utilitarista in nessuna delle sottoscale dell’ empatia. Nello scenario Footbridge, invece, i partecipanti utilitaristi mostravano un livello di empathic concern significativamente minore rispetto ai non utilitaristi. In conclusione, da questo studio è risultato che, nel complesso dominio dell’ empatia, i giudizi utilitaristici vengono predetti solo dal livello di empathic concern, e non dalle altre tre componenti dell’ empatia.

Un passo oltre.. lo studio di Sarno e collaboratori

Nello studio di Sarlo e collaboratori (2014), gli autori si prefiggevano di investigare se e come la dimensione cognitiva e affettiva dell’ empatia potesse influire sul giudizio morale. Sono stati utilizzati 72 dilemmi morali, 30 tipo Footbridge, 30 tipo Trolley e 12 dilemmi filler che non implicavano la morte delle persone coinvolte.

Ogni dilemma veniva presentato in tre slides successive: la prima descriveva lo scenario, la seconda descriveva l’opzione A (non utilitaristica) e la terza descriveva l’opzione B (utilitaristica). Il partecipante doveva scegliere una delle due opzioni. Al termine della prova sperimentale con i dilemmi, i partecipanti compilavano l’IRI. Il dato principale emerso dallo studio è stato che la componente affettiva e non quella cognitiva modulava le risposte dei partecipanti ai dilemmi morali. Differenze individuali nella componente affettiva dell’ empatia erano associate alla percentuale di risposte utilitaristiche e ai livelli di spiacevolezza esperita durante la decisione.

Per i dilemmi tipo Footbridge e non per i dilemmi tipo Trolley, i punteggi della sottoscala del personal distress erano negativamente correlati con la percentuale di risposte utilitaristiche, ossia più alto era il punteggio alla scala PD minore era il numero di risposte utilitaristiche. Il personal distress quindi promuoverebbe un comportamento pro-sociale, ma motivato da ragioni egoistiche, ossia per diminuire il proprio stato di disagio di fronte ad una situazione emozionalmente aversiva. Inoltre, in entrambi i tipi di dilemmi, l’empathic concern era negativamente correlata alla valenza. E’ interessante però notare come questo risultato non fosse correlato alla decisione effettuata dal partecipante. Gli autori hanno perciò suggerito che nel contesto dei dilemmi morali la motivazione altruistica non guidi la scelta dell’individuo.

Empatia, giudizio morale e alessitimia

Infine, nello studio di Patil e Silani (2014), gli autori hanno cercato di individuare quale fosse il ruolo dell’ empatia nel giudizio morale e per fare ciò hanno testato dei partecipanti con alessitimia. L’alessitimia è un costrutto dimensionale di personalità caratterizzato dalla riduzione nella capacità di provare emozioni, dall’incapacità di riflettere sulle proprie emozioni, dalla difficoltà con l’identificazione di sentimenti e sensazioni fisiche associate all’arousal emozionale e dalla incapacità di descrivere tali sensazioni agli altri (Nemiah et al., 1976).

Ai partecipanti venivano presentati due dilemmi, uno personale e uno impersonale, e per entrambi dovevano giudicarne l’appropriatezza morale su una scala Likert a 7 punti. Ognuno dei soggetti doveva compilare l’IRI per misurare l’ empatia e il TAS-20 (Tornoto Alexitimia Scale-20) per misurare l’alessitimia. Dallo studio è emerso, a conferma della letteratura esistente al riguardo, che l’alessitimia era associata a bassi livelli di empathic concern e di perspective taking e ad alti livelli di personal distress. Il risultato più importante di questo studio è stato che il ridotto livello di empathic concern negli alessitimici li portava a valutare come più appropriato uccidere la persona nel dilemma Footbridge per salvare gli altri in pericolo, ma non si riscontrava lo stesso pattern nei dilemmi tipo Trolley. La spiegazione data dagli autori è che quando tali persone si trovano di fronte a questo dilemma, non sperimentando la forte attivazione emozionale che solitamente questi dilemmi dovrebbero elicitare, riescono a ragionare seguendo principi logici e razionali, supportando così le scelte di tipo utilitaristico. Nei dilemmi tipo Trolley, invece, non c’è aumento delle risposte utilitaristiche, perché questi tipo di dilemmi sono comunque meno emozionalmente salienti (Greene et al., 2009).

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