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Il desiderio di un figlio: dalla ferita della sterilità alla scelta adottiva

Sono diversi i fattori che entrano in gioco durante l'adzione nella nascita del senso di genitorialità adottiva e dell'identità del nuovo nucleo familiare.

Di Angela Lucia Pia Nicastro

Pubblicato il 23 Apr. 2019

Aggiornato il 25 Giu. 2019 13:00

Nel processo di adozione, costruire un senso di appartenenza significa riconoscere che la genitorialità adottiva è, dal punto di vista affettivo, diversa da quella naturale, ma è anche sentire il bambino come realmente proprio, sviluppando un senso di sicurezza nel ruolo di veri genitori.

 

Diventare genitori può essere considerato da un punto di vista psicologico, un’esperienza che attiva un processo di cambiamento e sviluppo in ogni singolo soggetto e lo mantiene lungo un percorso in cui i ruoli e le relazioni sono in continua trasformazione (Benvenuti, Valoriani, 2007).

La filiazione adottiva non è uguale e neppure sovrapponibile a quella naturale (Barletta, 1991). Se nelle coppie biologiche la transizione alla genitorialità è sostenuta dalla gravidanza che costituisce una fase di mutamenti, sensazioni fisiche e fantasie, riccamente variegata sia per la donna che per l’uomo che la sostiene, e rappresenta un momento pregnante e fecondo per l’instaurarsi dell’attaccamento affettivo, nelle coppie adottive questa transizione è accompagnata da dinamiche specifiche.

Innanzitutto diventare genitori adottivi si fonda, spesso, su un’esperienza di “vuoto”, di privazione della gravidanza e dei processi psicobiologici a essa collegati. È soprattutto la donna a soffrire di questa mancanza. Quel bambino, originato nelle sue fantasie infantili, immaginato successivamente come oggetto d’amore, non riesce concretamente a svilupparsi all’interno del suo corpo. Le potenzialità presenti nella donna trovano nel vuoto generativo un limite doloroso da assimilare ma la creatività materna può svincolarsi dallo stereotipo riproduttivo onnipotente ed essere valorizzata attraverso possibilità innovative, facendo della maternità adottiva un rinnovato esempio della capacità di donarsi.

L’adattamento della coppia alla genitorialità adottiva

La mancanza, felicemente compensata dall’ adozione, non annulla comunque il sentimento di privazione di un’esperienza irrimediabilmente perduta. Non bisogna infatti dimenticare che gli anni di terapia per risolvere l’infertilità, il senso di delusione, la ferita narcisistica, i conflitti coniugali e tutti i sentimenti irrisolti legati ai fallimenti subiti sono solo alcuni dei fattori che possono influenzare l’adattamento alla genitorialità adottiva e lo sviluppo del bambino.

La disposizione della coppia infertile alla genitorialità adottiva può essere influenzata da diversi fattori come il tempo che trascorre dalla diagnosi di infertilità al momento dell’ adozione, i meccanismi di coping messi in atto durante il periodo di ricerca del concepimento, l’intensità dei sentimenti di deprivazione derivati dalla perdita della propria capacità riproduttiva che la coppia si raffigura definitiva.

Nonostante queste difficoltà iniziali, alcuni studi (Brodzinsky, 1990) hanno dimostrato che nelle coppie adottive infertili la difficoltà di adattamento al ruolo di genitori non crea danni nell’esperienza di adozione: la deprivazione vissuta prima di diventare genitori può addirittura aumentare il senso di gratificazione associato alla genitorialità. Il processo dell’adattamento all’ adozione può essere osservato anche alla luce della teoria dell’attaccamento enunciata da Bowlby (1969). Bowlby afferma che il lutto che vive la coppia infertile è quello per un bambino immaginato e atteso che non è mai arrivato, verso il quale si è anche stabilito una sorta di attaccamento. La coppia genitoriale deve elaborare questo lutto per poter superare le fantasie non realizzate e sostituirle con una realtà adeguata e appagante. Non sempre però questo processo di elaborazione è appagato quando si verifica l’adozione contribuendo ad aumentare il rischio che questa immagine “fantasmatica” venga usata come termine di paragone con il comportamento del bambino adottato. È importante quindi che i futuri genitori adottivi sappiano riconoscere ed essere consapevoli di aver costruito un’immagine di “bambino ideale” nel periodo di ricerca del figlio biologico ed è importante sapersi interrogare su quanto questa immagine possa influire sulle loro aspettative a riguardo del figlio che arriverà (Lebovici 1989a). Il bambino che arriverà non sarà il bambino immaginario, tanto idealizzato, ma sarà un bambino in carne ed ossa con proprie caratteristiche e peculiarità magari molto differenti rispetto a quelle che si erano desiderate (Monaco, 2013).

A tal proposito, diverse ricerche hanno mostrato che i genitori adottivi presentano una tendenza maggiore, rispetto ai genitori biologici, a idealizzare i loro figli (Rosnati, 2010). Più è forte il senso di idealizzazione, più consistente sarà il senso di privazione e sarà importante trovare le parole per esprimere il proprio dolore e attivare così l’elaborazione del lutto. Infatti uno degli aspetti più importanti dell’elaborazione del lutto e del definitivo risolversi dei vissuti di infertilità è il sapersi svelare agli altri, cioè essere capaci di comunicare apertamente i propri sentimenti sia al partner sia agli amici più intimi che alla famiglia, affrontare cioè la realtà della perdita (Freud, 1931). Inoltre se il lutto non viene elaborato, il momento del confronto con il bambino reale può essere fonte di delusione e frustrazione per la coppia che rischia di incidere negativamente sulla riuscita dell’ adozione.

Nella formazione del legame non si può sottovalutare il ruolo rivestito dal figlio adottivo. Il bambino adottato, a differenza di quello naturale, ha un passato segnato da perdite e traumi. Infatti ogni adozione presuppone un abbandono: la costruzione di nuove relazioni affettive e di una nuova relazione nasce sulle macerie della propria continuità genealogica.

La costruzione dell’identità del nucleo familiare adottivo

Al momento dell’ adozione, il bambino perde ogni sicurezza affettiva costruita a fatica in ambienti dove spesso diverse figure si sono prese cura di lui. In casi come questi la personalità e la resilienza del bambino possono avere un ruolo importante nella formazione del nuovo legame di attaccamento e si può ritenere che questo sia compiuto quando sia i genitori che il bambino sentono che l’altro rappresenta una parte insostituibile di sé e della propria vita.

Costruire un senso di appartenenza significa riconoscere che la genitorialità adottiva è, dal punto di vista affettivo, diversa da quella naturale, ma è anche sentire il bambino come realmente proprio, sviluppando un senso di sicurezza nel ruolo di veri genitori.

Importante in questo contesto è anche il processo di formazione dell’identità nei genitori, nel figlio e nella nuova famiglia appena formata. Uno degli autori che più ci aiutano a comprendere lo sviluppo dell’identità è Erickson (1950) che, attraverso la teoria psicosociale degli stadi di sviluppo, fornisce un’idea dell’importanza della risoluzione dei conflitti a ogni stadio per avanzare verso quello seguente. Il bambino adottato può avere maggiori difficoltà nella costruzione di un proprio senso d’identità perché può sentirsi privo di una propria storia familiare e non ancora pienamente coinvolto nella storia della famiglia adottiva. Dal canto loro i genitori devono essere consapevoli delle difficoltà che il proprio figlio può affrontare. Difficoltà che possono dipendere non solo da caratteristiche temperamentali del bambino ma anche dalle aspettative disattese dei genitori che idealizzano il bambino adottato proiettando su di lui le fantasie che avevano riposto precedentemente sul figlio naturale, mai arrivato.

Altri fattori che bisogna prendere in considerazione riguardano l’incertezza del progetto adottivo a cui si accompagna spesso il tempo indefinito dell’attesa e il riuscire ad affrontare l’integrazione di questo nuovo membro, estraneo, che porta con sé la propria storia che essendo parte della sua realtà va considerata nella sua interezza.

I bambini adottati non hanno bisogno di genitori generici ma di genitori che sappiano tener conto realisticamente dei loro bisogni e dei loro vissuti per poterli superare integrandoli in un’esperienza comunicativa positiva.

Adozione: tra genitorialità e generatività

Una riflessione importante che è opportuno sottolineare prima di concludere è quella proposta da Erickson secondo cui la genitorialità adottiva rientrerebbe nella cosiddetta generatività sociale (Erickson,1982). Con tale termine fa riferimento:

a quella preoccupazione di creare e dirigere una nuova generazione che si esplicita nella capacità di prendersi cura delle persone, dei prodotti e delle idee verso cui si è preso un impegno (Erickson, 1982, pag. 88).

Snarey (1993) riprende il concetto di generatività di Erickson e ne distingue tre tipi:

  • generatività biologica che coincide con il dare la vita;
  • generatività parentale che corrisponde alla cura dei propri figli e alla capacità di saper sviluppare le loro potenzialità e la loro autonomia;
  • generatività sociale ovvero il prendersi cura di una generazione successiva. Corrisponde al contributo creativo dato alla società in generale.

In quest’ottica è facile dedurre che la genitorialità adottiva corrisponde maggiormente ad una generatività sociale in cui il legame genitoriale si fonda sull’assenza di continuità genetica, sul riconoscimento di una differente origine e la genitorialità stessa risulta legittimata come risposta a un bisogno sociale (Rosnati, 1998).

In conclusione, lo sviluppo di una famiglia adottiva, a differenza di quello di una famiglia naturale, segue un percorso diverso e a volte più tortuoso: parte dalla risoluzione dei sentimenti legati all’infertilità e passa attraverso il riconoscimento e l’accettazione delle differenze fino ad affrontare la percezione sociale negativa dell’ adozione. Proprio da un punto di vista sociale è importante che la coppia impari a vivere la propria condizione non come segreta e causa di disagio emotivo e imbarazzo, come se fossero quasi dei genitori di “serie b”, ma come padri e madri che al di là dei pregiudizi hanno un compito affettivo ed educativo identico agli altri genitori.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barletta, G., (1991). Il figlio altrui. Realtà e dinamica dell'adozione. Torino: Società editrice internazionale, 83-87, 96-99, 106-124.
  • Benvenuti, P., Valoriani, V. (2007). Diventare genitori: dinamiche psicologiche e rischio psicopatologico. In P. Benvenuti (a cura di), Psicopatologia dell'arco di vita. Torino: Società editrice internazionale.
  • Bowlby, J. (1969). Attaccamento e perdita, 1: L'attaccamento alla madre. Trad. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1972.
  • Brodzinsky, D.M., (1990). A stress and coping Model of Adoption Adjustment. In D. M. Brodzinsky, M. Schecher (Eds), The Psychology of Adoption. New York: Oxfor Univerity Press, 3-24.
  • Erickson, E.H. (1950). Childhood and Society. New York: Norton.
  • Freud, S. (1931). Sessualità femminile. Trad. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1979.
  • Lebovici, S.,(1989a). I legami intergenerazionali. Le intenzioni fantasmatiche. In S. Lebovici, F. Weil-Halpern (Eds), Psicopatologia della prima infanzia. Trad. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1994.
  • Monaco, M.R. (2013). Dalla ferita della sterilità all'accoglienza di un bambino con bisogni speciali: fragilità e risorse della coppia candidata all'adozione. In G. Macario (a cura di), I percorsi formativi nelle adozioni internazionali. L'evoluzione del percorso e gli apporti internazionali. Attività 2010-2011. Firenze: Istituto degli Innocenti.
  • Rosnati, R. (1998). Il patto adottivo. L'adozione internazionale di fronte alla sfida dell'adolescenza. Milano: Franco Angeli Editore.
  • Rosnati, R., Greco, O., Ferrari, L., Serighelli, E. (2010). Gli adulti adottati di fronte alla transizione alla genitorialità. In M. Chistolini, M. Raymondi, I figli adottivi crescono. Milano: Franco Angeli Editore, 135-151.
  • Snarey, J. (1993). How fathers care for the next generation: a four decade study. Harvard: University Press, Cambridge.
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