Fin da piccoli veniamo istruiti ad avere obiettivi precisi, a pianificare il nostro futuro e ad agire di conseguenza.. ma l’idea di avere un controllo sulle nostre vite non è forse una mera illusione?
Preso dalla vanità di mostrare ai giovani di oggi (i giovani sono sempre d’oggi del resto) che anche noi siamo stati giovani quantunque non sembri, e abbiamo vissuto in quel tempo difficile da credere in cui non esistevano i computer, i cellulari, i telefoni erano a gettoni e la televisione faceva i primi passi, stavo per decidermi a recuperare dal palchettone, appena tornato a casa, i vecchi album di fotografie, se non fosse che un angelo evidentemente ben disposto nei miei confronti ha fatto tardare la mia terapista e mi ha messo in mano, complice la ragazza in copertina, un numero di Vanity Fair del febbraio 2014.
Salta subito all’occhio quanto sostengono gli studiosi della mente che sia molto più facile fare gli storici piuttosto che i profeti. E’ divertente leggere previsioni, a volte preoccupate e allarmate, altre speranzose ed entusiastiche su come andranno le cose, quando si sa come effettivamente siano andate. Il livello di accuratezza delle previsioni elaborate dai cosiddetti esperti, che si tratti di politica, economia e andamento delle borse o della vita affettiva dei vip è di poco inferiore a quello dell’oroscopo che si trova a fine della rivista avvantaggiato dal fatto di essere talmente generico da risultare confermato sia dallo scoppio della terza guerra mondiale che dallo sbarco su marte, dall’estinzione della specie umana o da una seconda venuta di Cristo unitosi civilmente con Maometto.
Se può sgomentare rendersi conto quanto poco riusciamo a prevedere il futuro e di conseguenza a gestirlo nonostante sin da piccoli ci insegnino a darci degli obiettivi e programmare la nostra vita, quello che mi colpisce di più è il vissuto psicologico del tutto fallace di poterlo invece prevedere e indirizzare, mentre abbiamo lo stesso potere sulla nostra vita di uno spettatore seduto in terza fila circa l’andamento della rappresentazione che avviene sul palcoscenico, ovvero pari a zero; sia che ci sia un rigido copione dal quale non si può divergere (destino), sia che gli attori recitino a soggetto cogliendo le impreviste contingenze (il caso). Questa illusione di controllo se ci rassicura ci carica di responsabilità e di colpe quando le cose non vanno come vorremmo facendoci così cornuti e mazziati.
L’altro aspetto che mi colpisce è l’arroganza dei soliti esperti (ma ognuno di noi fa lo stesso per le cose proprie) quando riguardando a posteriori gli eventi sui quali avevano sbagliato tutto li ricostruiscono in sequenza dimostrando come le cose non potessero che andare che in quel modo. Non poteva che essere così, sembra quasi una necessità logica. Se mentre li ascoltate avete in mente le loro precedenti previsioni opposte e i vostri occhi tradiscono perplessità, rincarano la dose con intercalari del tipo “è ovvio”, “è evidente”, “certamente”, “per forza” che in genere mi fanno immediatamente rizzare le orecchie perché quando è troppo sventolata l’ovvietà è segno al contrario che scarseggia.
Non è una lagnanza all’URP del paradiso terrestre per averci impedito l’accesso all’unico frutto davvero interessante condannandoci ad una esistenza bendata, anzi è un invito a prendersi un secchiello di pop corn e una Coca-Cola e godersi lo spettacolo liberi dalle responsabilità del regista con distaccata empatia verso il protagonista e soprattutto tanta curiosità per le impreviste vicende e gli inaspettati cambi di scena.
Torniamo ora alle sviste del morituro per propria mano, candidato alla terra sconsacrata a perenne monito dei bramosi di evasione.
Un eccesso di coinvolgimento con il protagonista da un lato (prendersi esageratamente sul serio) e non tener conto del caso che sboccia fragorosamente e imprevedibilmente lo status quo sono gli errori tipici e difficilmente rimediabili del suicida.
Certo il caso il più delle volte non si riconosce subito e magari si presenta con gli occhi arrossati dal sonno di un camionista bulgaro che ha preso la curva troppo larga o con una macchia in alto a destra nella radiografia del polmone. Talvolta ha l’aspetto elegante del tabaccaio sottocasa che stanco delle rapine e le estorsioni ha nel cassetto una beretta calibro 9 ma non il tempo di esercitarsi come si deve al poligono, ha visto troppi film di John Wayne e soprattutto non ha mai capito gli scherzi. Talaltra ha il volto tumefatto dal sonno e dall’alcol di una serata indimenticabile con le ragazze del coro di Klagenfurt del bagnino di “Romagna in fiore”, che si difenderà dicendo che proprio a motivo di quelle onde che trascinavano fuori aveva da poco messo la bandiera rossa prima di addormentarsi solo un momento, subito richiamato dallo starnazzare delle austriache ochette quanto quei monelli imprudenti e peggio i nonni inesperti…… Lui li aveva recuperati quasi subito e allineati sul bagnasciuga. Cos’altro poteva fare?
Oppure in perfetto benessere, il caso fa capolino da quei globuli bianchi inopinatamente alti dopo quella febbricola serale certamente da autosuggestione che non avrebbe dovuto necessitare in soli tre mesi della professionalità dei signori col saldatore e le viti, che poi tanto nessuno è mai scappato.
Ma il caso può avere anche il musetto impertinente e dolcissimo della ragazza tamponata al semaforo al centro che tre mesi dopo, nonostante la sua giovanissima età, cucina con la maestria di una nonna canederli polenta e funghi nello chalet che avete affittato per la prima settimana di vacanza insieme. Il caso può essere il cassiere dell’autogrill che non ha il resto e insiste che prendiate un biglietto del gratta e vinci nonostante disprezziate l’azzardo o può essere il regista che sta cercando un volto comune per una particella secondaria e col quale un anno dopo sarete fermati dalla gendarmeria perché sorpresi a pisciare sul lungomare di Cannes dopo una sbronza colossale di festeggiamenti per la vittoria. Ancora, molto più avanti il caso può avere il cuore in cerca di affetto, le gambe lunghe, le mani esperte e le labbra morbide dell’infermiera rumena fuggita dal marito alcolista e poi dalla multinazionale della prostituzione, senza tuttavia perdere la professionalità acquisita che vuole almeno una volta vedere il suo ventre lievitare per un figlio e ha capito che ancora a sett’antanni non avete imparato a dire di no.
Improvvisamente bussano alla porta. Veramente non aspetto nessuno. Non amo essere interrotto nei miei ordinati programmi. Ma quanta foga e che fretta! Diamine! Vado un attimo a dare un’occhiata.