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Autorealizzazione 2.0

Autorealizzazione: cosa intendiamo oggi con questa parola? Nell'era dei social, si è passati dall'accettazione di sé al dover rincorrere la perfezione?

Di Giada Alberti

Pubblicato il 08 Mar. 2019

In un mondo in cui la prestazione e il raggiungere i propri obiettivi a tutti i costi e con ogni mezzo, sono diventati due paradigmi fondamentali e costitutivi dell’uomo “moderno”, il concetto di autorealizzazione diventa quanto più ambiguo ma allo stesso tempo fondamentale.

 

Il concetto di autorealizzazione in psicologia fu un termine di rottura con quelle che erano state le teorie prettamente meccanicistiche, come psicanalisi e comportamentismo, che aprì le porte alla così detta psicologia umanistica.

Autorealizzazione 2.0: cosa significa realizzarsi oggi?

Il termine autorealizzazione stava ad indicare il divenire veramente e pienamente Se stessi, che trascende il soddisfare i soli bisogni istintuali (Rogers, 1970; Maslow, 1971). Guardando ora alle proposte della società contemporanea e alla propaganda dell’ autorealizzazione a tutti i costi non si possono non notare delle notevoli differenze nell’evoluzione, o involuzione per meglio dire, del concetto stesso. L’ autorealizzazione dell’uomo moderno nell’epoca della globalizzazione e di quella che Bauman definiva società liquida sembra essere legata a beni di consumo, dunque al possesso di oggetti materiali, al divertimento a tutti i costi o all’estremo opposto al dover essere vittime sacrificali della perfezione a tutti i costi, all’essere sempre in tempo e sempre aggiornati, ad apparire in un determinato modo per essere più appetibili su quello che è diventato il mercato sociale, dove social network come Facebook e Instagram mettono in saldo ogni giorno l’immagine distorta di chiunque, che allo stesso tempo spera di essere gradito a gran parte degli acquirenti.

Autorealizzazione: il significato originario

L’ autorealizzazione 2.0, niente di più lontano dal concetto di cui avevano parlato psicologi come Maslow o Rogers (Rogers, 1970; Maslow, 1974). Se per loro l’ autorealizzazione veniva dall’interno e aveva a che fare con il conoscere, accettare e far crescere ciò che realmente siamo, oggi è un processo estrinseco all’essere umano e proprio per questo più semplice da ottenere. Una volta ottenuta non genera quella gioia e quella pienezza che può dare il sentirsi veramente coerenti a se stessi, sentire che si sta dando il proprio contributo per rendere il mondo un posto migliore, anzi ci si sente spesso vuoti, depressi e senza uno scopo nella propria esistenza. Ciò che rende intimamente felice l’uomo non è il raggiungere facilmente degli obiettivi, ma che questi obiettivi ne valgano la pena, che appartengano realmente a se stessi e non agli altri.

Rogers descriveva una persona funzionante e orientata all’ autorealizzazione come: aperta e non difensiva, consapevole, che accetta se stessa, che riesce ad adattarsi in modo creativo alle novità, sa vivere con gli altri in armonia. Quante persone possono descriversi così?

Ripensare e rendere più umano il concetto di autorealizzazione e aprirlo a prospettive che vadano maggiormente incontro all’altro, con comportamenti pro sociali e di responsabilità civica e ambientale, servirebbe per capire ciò che realmente ci rende esseri umani, alla nostra essenza e come provare ad avvicinarsi alla felicità e alla gioia di vita.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bauman Z., (2011). Modernità liquida, Bari, Laterza.
  • Caprara G. V., Gennaro A., (1994). Psicologia della Personalità, Bologna, Il Mulino.
  • Maslow A. H., (1974). Motivazione e personalità, Roma, Armando
  • Maslow A. H., (1971). Verso una psicologia dell’essere, Roma, Astrolabio.
  • Rogers C. R., (1970). La terapia centrata sul cliente, Firenze, Martinelli.
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