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La noia lavorativa come difesa delle nostre risorse cognitive

Noia al lavoro: recenti studi affermano che ci annoiamo anche quando quello che facciamo, magari in parallelo (multitasking), ci risulta molto difficile

Di Guest

Pubblicato il 05 Feb. 2019

Lavori sempre più social e stimolanti ma la noia lavorativa continua ad essere presente: paradosso o evoluzione delle specie?

Salvatore Caligiuri

 

In un’ottica evolutiva del comportamento, la crescita della noia percepita sembra poter essere coerente con una sua funzionalità intrinseca. Infatti, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, visto il progressivo cambiamento che negli ultimi anni ha portato il mondo del lavoro a far scomparire i compiti manuali e ripetitivi (es. la catena di montaggio) per dare posto ad occupazioni più dinamiche, flessibili e variabili (vedi ad esempio le nuove professioni nate con il cloud), alcune ricerche dimostrano come sempre un maggior numero di persone dicano di non sentirsi ingaggiate con il proprio lavoro (“Boredom Numbs the Work World,” 2005;  Van Hooff, Van Hoff, 2014), o di essere annoiate per la maggior parte del tempo trascorso a lavoro (Crabtree, 2013).

Una delle massime studiose di questo tema, Cynthia Fisher (1991), nel suo lavoro sulla noia, sostiene che l’esperienza della noia al lavoro non è solo comune ai colletti blu ma è presente anche a livello manageriale. In questa prospettiva la semplice associazione tra noia e compito ripetitivo appare limitante, evidenziando la necessità di considerare il fenomeno della noia a lavoro a trecentosessanta gradi.

Noia e information overload

Una prima considerazione riguarda l’information overload. Infatti, la possibilità di accedere ad internet e di poter essere contattati in ogni momento grazie all’uso degli smartphone, diffusione di computer e di altri dispositivi con connessione mobile, rende le persone continuamente soggette a un bombardamento di stimoli. Il sovraccarico di input, il multitasking activity a cui il nostro cervello è quotidianamente sottoposto sembra, da alcune ricerche (Kep Kee Loh, Ryota Kanai, 2014), essere correlato con effetti negativi a livello cognitivo (mancanza di controllo cognitivo) e psicosociale (aumento di ansia e depressione e diminuzione del benessere individuale).

Wickens (2002), con la Teoria delle risorse multiple, sostiene che quando siamo impegnati in compiti differenti che richiedono però l’impiego dello stesso canale sensoriale e lo stesso tipo di elaborazione, andiamo in difficoltà. L’esposizione cronica a questa sovrastimolazione cognitiva, così come l’esperienza e l’allenamento, può portare a un’alterazione delle strutture cerebrali (Kep Kee Loh, Ryota Kanai, 2014).

Le persone tenderebbero ad abituarsi a un livello di stimolazione elevato, diventando nello stesso tempo più sensibili alle situazioni potenzialmente noiose o poco stimolanti. Questa potrebbe essere una delle ragioni dell’aumento della noia lavorativa (Fred Mael, Steve Jex, 2015). A sostegno di ciò, ricerche riguardo le risposte fisiologiche associate ad alcuni stati psicologici (Saunders, 1996) hanno dimostrato come le sensazioni di noia possano provenire da una mancanza di stimolazione neuronale. Tale mancanza di stimolazione neuronale sarebbe dovuta alla continua esposizione a un sovraccarico cognitivo, ad alti livelli di stimolazione mentale che provocherebbero una diminuzione delle soglie della noia e della frustrazione.

Ciò comporterebbe una riduzione della sensibilità mentale attraverso un esaurimento della presenza di recettori. Se l’esposizione è prolungata per mesi e anni, la soglia dell’eccitazione elettroencefalografica (EGG) diventerà più alta, facendo sì che le persone non riescano ad ottenere il necessario piacere dalla quotidiana stimolazione mentale, per esempio attraverso semplici azioni come il camminare o il parlare e quindi aumentando la probabilità che la persona si faccia coinvolgere in sensazioni di noia (Saunders, 1996). In linea con questa prospettiva, Klapp (1986) sostiene che lo stato dalla noia emerge quando la persona non è a lungo in grado di bilanciare la quantità d’informazione ricevuta e quella che riesce a elaborare. Questo sovraccarico cognitivo potrebbe essere ricondotto al concetto di carico di lavoro mentale, inteso come interazione tra richieste del compito o dell’ambiente, con le capacità di elaborazione e le abilità cognitive della persona (Hart et al 1988).

Noia: si può combattere.. con le pause

La noia potrebbe essere funzionale al benessere cognitivo, sollecitando un momento di pausa nel processo di elaborazione quando si è sottoposti a un eccessivo carico di input, di cui la maggior parte irrilevante per quello che si sta facendo. La maggior parte delle persone ha ormai appreso a gestire questo sovraccarico cognitivo dovuto all’abitudine di utilizzare continuamente smartphone e siti palliativi, come Facebook, Instagram e Twitter. Sul luogo di lavoro queste opportunità sono spesso inaccessibili e ciò comporta una profonda discrepanza in termini di stimoli da gestire, che potrebbe esasperare la distanza tra le aspettative riguardanti un ambiente stimolante e la valutazione del proprio setting lavorativo. Infatti, lavoratori con alti punteggi nella propensione alla noia e alte aspettative riguardo il contenuto del loro lavoro, tendono ad esperire una maggiore noia legata al posto di lavoro (Fred Mael, Steve Jex, 2015). L’occupazione cronica potrebbe diventare una difesa maniacale per le persone che spenderebbero tutto il loro tempo passando da un compito all’altro.

Distrarsi continuamente attraverso, per esempio, un controllo continuo dell’email o della propria pagina Facebook, stimola il cervello a sparare continuamente dopamina nel flusso sanguigno, rendendo difficile per la persona stoppare questo meccanismo. Lo sostiene Manfred F.R. Kets de Vries (2015), il quale difende l’importanza del prendersi delle pause, dei periodi di interruzione per stimolare la ricerca di soluzioni innovative, pensieri associativi e creatività. L’autore parla d’incubazione, ovvero la ri-associazione inconscia di elementi di pensiero collegata al non far nulla e alla noia. In questa prospettiva la noia è concepita come una risorsa critica che aiuta le persone a prendersi delle pause, concepite come placenta dell’ideazione di soluzioni innovative e inusuali. Il cambiamento del mondo del lavoro potrebbe avere perciò cambiato lo stesso fenomeno dalla noia e la funzionalità che tale stato svolge per l’organismo. Infatti, sebbene la noia possa essere associata alla mancanza di stimolazione e di variabilità del proprio lavoro (e quindi a un basso carico di lavoro), soprattutto in una prospettiva odierna, può essere corretto concepire la noia anche come possibile risposta a un’eccessiva stimolazione e quantità d’informazione a cui le persone sono quotidianamente sottoposte (alto carico di lavoro).

Compiti difficili: noiosi o stimolanti?

Anche un qualitativo carico di lavoro, dove per qualitativo intendiamo un compito troppo difficile, sfidante o incomprensibile, può indurre noia (Balzer, Smith,  Burnfield, 2004). In un lavoro qualitativo sulla noia accademica, la Fisher (1987) trovò che gli studenti riportavano di essere maggiormente annoiati quando le materie erano troppo difficili o incomprensibili. L’alto carico di lavoro mentale tuttavia, potrebbe non essere dovuto solamente a un’eccessiva stimolazione o difficoltà del compito, ma potrebbe essere esperito anche in relazione ad attività che richiedono una bassa stimolazione. Infatti, in questa seconda prospettiva (Greenwald, Scerbo, Sawin, 1992), l’alto carico di lavoro mentale potrebbe essere ricondotto allo sforzo che la persona compie per fronteggiare lo stimolo aversivo della noia. Greenwald, Scerbo, Sawin (1992) hanno fatto svolgere ai soggetti un compito di vigilanza per 40 minuti, in cui venivano monitorati i movimenti del mouse. Gli autori trovarono un maggiore carico di lavoro mentale e noia esperita nei soggetti che hanno eseguito più movimenti. Inoltre, è emersa una correlazione significativa positiva tra carico di lavoro mentale e noia, dimostrando come la noia possa essere una componente centrale nel carico di lavoro mentale.

Tale conclusione viene però messa in discussione da un altro studio (Hitchcock et al, 1999), in cui vennero create tre condizioni riguardo a un compito di vigilanza (monitoraggio di un radar che simulava un pannello di controllo del traffico aereo): una condizione in cui i soggetti venivano avvertiti quando la probabilità di comparsa dell’evento target era elevata (cueing), una condizione in cui i soggetti avevano un feedback riguardo la corretta o errata detezione del segnale (knowledge results) e un gruppo di controllo che svolgeva il compito senza manipolazioni. Subito dopo lo svolgimento del compito, i partecipanti rispondevano al NASA-TLX e alla Task-related Boredom Scale (Scerbo et al 1994). Gli autori hanno ipotizzato che la condizione in cui i soggetti erano avvertiti dell’imminenza del segnale target (cueing), avrebbe provocato un minore carico di lavoro mentale poiché la presenza di un avvertimento sonoro riduceva lo sforzo, da parte dei partecipanti, nel mantenere l’attenzione focalizzata sull’osservazione e nel prendere delle decisioni, riducendo il carico di lavoro mentale. Tuttavia il segnale di avvicinamento dello stimolo target, non aumentava la stimolazione e la variabilità del compito, che rimaneva quindi estremamente monotono e ripetitivo. Così, secondo gli autori in questa condizione i soggetti avrebbero comunque esperito un elevato carico di lavoro mentale, scollegato dal compito in sé ma dato dallo sforzo, da parte del soggetto, di fronteggiare lo stimolo aversivo della noia. I risultati però hanno mostrato un basso carico di lavoro mentale in questa condizione, non confermando l’associazione tra la noia e il carico di lavoro mentale. Questo però potrebbe essere dovuto al fatto che, nella condizione cueing, i soggetti percepiscono anche un minore livello di noia. Tale minore livello, potrebbe avere inibito lo sforzo, collegato all’alto carico di lavoro mentale, che il soggetto compie per fronteggiare lo stimolo aversivo della noia.

È quindi possibile pensare agli stati di noia come strumenti difensivi in situazioni di sovraccarico o di mancanza di stimolazione?

Forse, ogni tanto, annoiarsi potrebbe rivelarsi una risorsa preziosa.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balzer W.K., Smith, P.C.,  Burnfield J.L., (2004). Boredom. (pp. 290- 294).  Encyclopedia of Applied Psychology. San Diego, CA: Elsevier, Inc.
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  • Hart S. G., Staveland L. E., (1988) Development of NASA-TLX (Task Load Index): Results of empirical and theoretical research. In P. A. Hancock and N. Meshkati (Eds.) Human Mental Workload. Amsterdam: North Holland Press.
  • Hitchcock E. M. DemberW. N., Warm J. S, Moroney B.W, See J. E, (1999). Effects of cueing and knowledge of results on workload and boredom in sustained attention. Human Factors; Sep 1999; 41, 3; ProQuest pg. 365
  • Klapp O. E., (1986). Overload and boredom. Essays on the quality of life in the information society. Westport, CT: Greenwood Press.
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  • Scerbo M. W., Rettig K. M.,  Bubb-LewisC . L., (1994). A validation study of a task-relatedboredom scale. In Proceedings of the 2ndMid-Atlantic Human Factors Conference, (pp. 135-136).Washington, D. C.
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  • Wickens C. D., (2002). Multiple resources and performance prediction. THEOR. ISSUES IN ERGON. SCI., 2002, VOL. 3, NO. 2, 159±177.
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