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La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la terapia cognitiva (2018) – Recensione del libro

La mente depressa è un testo che descrive lo stato dell’arte circa la comprensione della depressione e i molteplici possibili interventi clinici.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 26 Feb. 2019

Dopo aver letto La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la terapia cognitiva, noi curanti non potremo più dire “io non sapevo cosa fare”, perché la grande equipe clinica e di ricerca che si raccoglie intorno a Francesco Mancini presenta l’armamentario completo che abbiamo a disposizione per attaccare questo oscuro male chiamato depressione.

 

Dopo “La mente ossessiva”, tradotto in molte lingue, il gruppo di clinici e ricercatori che si raduna intorno a Francesco Mancini e alla scuola di psicoterapia cognitiva, condensa oltre venti anni di esperienza con un volume sulla depressione che descrive lo stato dell’arte circa la comprensione della depressione e i molteplici possibili interventi clinici.

La depressione è la malattia che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità comporta la maggiore sofferenza, una grave disabilità con enormi costi economici e un tributo incredibile di morti per suicidio (al primo posto tra le cause di morte dei giovani).

Dopo il volume La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la terapia cognitiva, noi curanti non potremo più dire “io non sapevo cosa fare”, perché la grande equipe clinica e di ricerca che si raccoglie intorno a Francesco Mancini presenta l’armamentario completo che oggi nel mondo si ha a disposizione per attaccare l’oscuro male che è apparentemente senza motivo e che dunque attira le colpevolizzazioni di parenti e amici, che ricordano al disperato che nulla gli manca non riuscendo a capire che invece tutto gli manca e ha perduto persino se stesso per cui il mondo gli appare grigio, freddo, impolverato e privo di ogni attrattiva e ogni giornata un calvario inaffrontabile.

Il depresso si sente triste e vuoto e si lamenta continuamente. Nulla sembra interessarlo e anche le attività comunemente considerate gradevoli non lo attirano e gli appaiono un inutile peso. Si sente stanco e affaticato ed il più piccolo compito gli sembra insormontabile. Si ritiene un fallito, un essere indegno e colpevole della sua situazione e delle sofferenze che provoca negli altri. Verso gli altri, anche i familiari vicini, non prova affetto e se lo rimprovera. Non riesce a concentrarsi e a decidere alcunché. Spesso desidera la morte come l’unica possibile liberazione. In sintesi si ha l’impressione dello spegnimento dell’energia vitale. Come se un po’ fosse già morto. Tutto è ridotto: interessi, desideri, attività, affetti. Gli scambi con l’esterno vanno verso la sospensione. Quello che è peggio e che diventa il fattore principale di rinforzo e mantenimento è il cosiddetto “problema secondario” ovvero il fatto che il soggetto giudica inadeguata, indegna e colpevole la sua stessa reazione (l’essere appunto depresso) e per questo si svaluta e si colpevolizza.

Il depresso è pesante e viene spesso isolato in una società come la nostra che rinnega la sofferenza e persino la morte. Anche per i terapeuti il depresso è defatigante e l’impotenza che ci fa sperimentare attiva talvolta ostilità nei suoi confronti. Quante volte abbiamo sentito un depresso dire che avrebbe preferito un tumore a quel cancro invisibile dell’anima che finisce per essere vissuto come una colpevole mancanza di volontà.

Modello teorico ed esperienza clinica

Il volume La mente depressa prospetta un elegantissimo modello teorico della trappola depressiva che fa entrare il soggetto colpito da una perdita, e che dunque sperimenta tristezza, un’emozione sana e utile, in un loop per cui per non perdere completamente o ancora di più il bene perduto, concentra tutti i suoi sforzi nel tentativo di trattenerlo e di non allontanarsene ulteriormente, con il doppio disastroso risultato di desertificare tutto il resto della sua esistenza che progressivamente perde di valore (anche le persone più care perdono importanza e il soggetto sperimenta “il doloroso sentimento della perdita dei sentimenti” per cui in aggiunta si colpevolizza), la concentrazione sull’oggetto perduto lo rende progressivamente più importante fino a coinvolgere l’amabilità, il valore e la dignità del Sé, e così il dolore paralizzante tende continuamente ad aumentare prospettando la morte come unica grande consolatrice.

Questo modello argomentato profondamente con dati di ricerca ed esperienze cliniche (anche difficili e non soltanto facilmente di successo come si trova spesso nei libri) è utilizzabile anche da curanti con una formazione diversa da quella cognitivista. Allo stesso modo possono essere utilizzate, anche da altri approcci, il ventaglio di tecniche che vengono presentate teoricamente ed esemplificate praticamente, in particolare quelle della cosiddetta “terza ondata” del cognitivismo oggi tanto di moda. Nel libro La mente depressa si affronta anche il problema dello sviluppo dei fattori protettivi rispetto all’insorgenza della depressione e alla prevenzione delle ricadute.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Rainone, A., Mancini, F. (2018). La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la psicoterapia cognitiva. Franco Angeli Editore
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