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Una storia di ristrutturazione di schemi interpersonali attraverso la musica

Ristrutturare schemi interpersonali maladattivi con la musica è una delle cose che si può fare in seduta per aiutare il paziente a vederli in modo diverso

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 14 Gen. 2019

Ebbene sì, nei nostri studi, accade anche questo. Un paziente con uno schema il cui tema dominante è il senso di esclusione dal gruppo, da sempre.

 

Secondo quello che emerge dalle memorie associate, tra tanti, lui era quello messo da parte. Tra tanti, lui era quello umiliato, non considerato, beffeggiato. A casa, a scuola, da amici, da conoscenti.

Ad oggi, l’incontro con l’altro, è estremamente doloroso e, anche se nella realtà non c’è necessariamente un altro ostile che vada a confermare l’immagine del Sé, nella mente si attiva ugualmente.

Ristrutturare schemi interpersonali: si parte da un episodio

Non occorre che l’altro di turno dica o faccia qualcosa, anche se ovviamente questo può accadere per davvero, perché, nel momento esatto in cui si attiva il wish, si attiva, nella mente, la rappresentazione dell’altro negativa. In questo caso, secondo la procedura “se…allora” l’altro isola ed il Sé è meritevole: “non sono degno di fare parte del gruppo, non posso desiderare questo, non posso mostrare i miei interessi altrimenti l’altro mi criticherà”. Questo è il compito dello schema: attivarsi, far leggere la realtà in un certo modo, far soffrire. Spesso, fa soffrire davvero tanto. Soprattutto se non ne siamo consapevoli. Uno schema interpersonale maladattivo è una struttura cognitivo-affettiva attraverso cui attribuiamo il significato alle esperienze, su come gli altri risponderanno ai nostri desideri e su quali reazioni avremo di fronte alla risposta dell’altro. Queste strutture sono abbastanza stabili e guidano le nostre azioni all’interno delle relazioni interpersonali (Dimaggio et al., 2013).

Nella situazione del mio paziente, come in molti altri, il coping di evitamento è frequente. E, come sappiamo, esso è solo un tentativo per gestire l’attivazione emotiva negativa ma è disfunzionale in quanto rafforza l’immagine vulnerabile del Sé. Insieme all’evitamento c’è la ruminazione che sembra essere onnipresente. Per essere precisi, spesso è proprio la ruminazione che anticipa l’evitamento, in quanto coping cognitivo che precede quello comportamentale (Ottavi et al., 2017).

Durante una seduta, nel bel mezzo dell’analisi di un episodio, emerge che il motivo per cui il paziente era stato preso in giro era il tipo di musica che ascolta in macchina. Come necessario in TMI, i dettagli sono fondamentali; allora chiedo di descrivermi la scena e, alla domanda relativa a cosa stesse ascoltando, mi risponde: “gli Afterhours!”, con lo sguardo e la voce bassa, pronto a captare un minimo mio segnale che potesse farlo sentire come il sabato precedente nella sua macchina, mentre si stavano dirigendo in pizzeria con i suoi amici. Io mi raddrizzo sulla poltrona, non so se più soddisfatta perché stavo lavorando bene sull’episodio ed il paziente sembrava essere diventato bravo nel farlo, segno di un buon lavoro metacognitivo, oppure perché mi catapulto immediatamente in una scena in cui io canto a squarciagola un brano dello stesso gruppo con un’amica in macchina, ai tempi dell’università.

Ristrutturare schemi interpersonali.. con la musica

Beh, una validazione e una self disclosure ci stava tutta…e la seduta termina con un bel play su ” Ci sono molti modi”, degli Afterhours, ovviamente.

Il resto è storia TMI: lo schema è stato corretto, almeno per un pò.

Almeno per una volta l’altro è benevolo. Anzi, curioso, visto che il paziente mi lascia una lista di canzoni da ascoltare e lo farò sicuramente. Dopo un’ora dalla nostra seduta mi arriva un sms tramite il quale egli mi spiega il motivo del suo sguardo sorpreso. A quanto pare mai nessuno si è interessato ai suoi gusti, ai suoi interessi, lo prendevano in giro e basta. Io gli sono sembrata curiosa e nella prossima seduta, ci saremmo confrontati su altri brani. Questo avverrà certamente, ma prima sarà importante analizzare quello che è accaduto nella seduta precedente. Dare un nome alle emozioni vissute. Vedere come si sta in uno schema che, almeno per una volta, è diverso.

Ed io terapeuta? Beh, ero sinceramente incuriosita dalle sue preferenze musicali, da quello che lui sentiva dall’ascolto di un determinato genere di musica. Non mi sono dovuta sforzare. Probabilmente l’avrei fatto ugualmente ma la spontaneità è stata diversa.

Questo è solo un esempio di quello che può accadere durante il lavoro con i pazienti, il cui schema muove da desideri, quelli che Liotti e Monticelli (2008) chiamano Sistemi motivazionali interpersonali. Tra di essi vi è quello di affiliazione, senso di appartenenza al gruppo, inclusione sociale.

Intanto, vado ad ascoltare “Adesso è facile” e forse per un attimo, mi torna in mente il momento in cui, qualche amico dell’epoca, non gradiva quel genere di musica della mia macchina.

Chissà se anche questo ha contribuito a rispecchiarmi un po’ nel paziente!

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio, G. Montano A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale. Raffaello Cortina Editore.
  • Liotti, G., Monticelli, F. (2008). I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Raffaello Cortina, Milano.
  • Ottavi, P., Passarella, T., Pasinetti, M., Salvatore, G., Dimaggio, G. (2017). Adattare la mindfulness al trattamento dei disturbi di personalità. In Livesley, J. W., Dimaggio, G., Clarkin, J.F. (a cura di) Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare. Raffaello Cortina Editore.
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