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Gestione delle classi difficili: l’apporto che lo psicologo può offrire alla scuola

Le classi difficili da gestire sono una delle più frequenti realtà con cui gli insegnanti si imbattono. Lo psicologo scolastico può essere di supporto

Di Maria Grazia Flore

Pubblicato il 29 Gen. 2019

Dall’indagine effettuata dal GDL Nazionale di Psicologia Scolastica (2018) che ha coinvolto 440 docenti su tutto il territorio nazionale, è emerso che una delle maggiori difficoltà con cui gli insegnanti si confrontano nel lavoro quotidiano è la gestione delle classi “difficili”

 

Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare.
La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia.
Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo,
è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. (Daniel Pennac)

 

Dall’indagine effettuata dal GDL Nazionale di Psicologia Scolastica (2018) che ha coinvolto 440 docenti su tutto il territorio nazionale, è emerso che una delle maggiori difficoltà con cui gli insegnanti si confrontano nel lavoro quotidiano è la gestione delle classi difficili, segnalato dal 60,5% del campione. Per “classe difficile” si fa riferimento ad una classe con difficoltà relazionali, emotive e comunicative, considerando i rapporti con gli alunni, tra gli alunni e molto spesso, anche con i genitori.

Classi difficili: quali competenze servono per la gestione

Ma cosa significa esattamente gestire una classe? Questa espressione include le strategie che l’insegnante mette in atto per promuovere l’interesse e la partecipazione degli allievi nei confronti delle attività e per stabilire un ambiente di lavoro produttivo. Questo implica possedere delle competenze nella conduzione dei rapporti interpersonali e di gruppo, con l’obiettivo di promuovere negli alunni un atteggiamento positivo verso le relazioni e l’apprendimento; implica la capacità di coinvolgere, motivare e promuovere l’interesse degli alunni, riconoscere lo stile cognitivo e relazionale di ognuno e adottare le strategie più adeguate; significa saper gestire i conflitti, anche quando sfociano nella problematica del bullismo.

Chiunque abbia avuto a che fare con una classe scolastica concorderà nel ritenere questo compito estremamente difficile, sia con le classi funzionali che, a maggior ragione, con quelle che per vari motivi presentano delle disfunzionalità. E’ evidente come siano tante le variabili che intervengono in questo processo. Possiamo evidenziare le principali: le caratteristiche dei singoli alunni, le dinamiche di gruppo che si vanno a creare tra loro e tra alunni e insegnanti; le caratteristiche dei genitori, l’atteggiamento e le rappresentazioni della scuola che essi trasmettono ai loro figli; le modalità relazionali tra insegnanti e genitori, nonché tra gli insegnanti dell’équipe educativa con quella determinata classe; la personalità dell’insegnante, le sue esperienze di vita e la sua motivazione al lavoro.

Classi difficili: qualche indicazione per gestirle

In generale, quali indicazioni potrebbero essere utili ad un insegnante per gestire le classi difficili?

  • Avere uno stile educativo autorevole: è centrato sui bisogni degli allievi e risponde alla domanda: “cosa serve al mio allievo per trovarsi nella migliore condizione per apprendere?” Si fanno rispettare le regole perché servono ai ragazzi e se ne spiegano le motivazioni. I comportamenti scorretti non vengono presi sul personale, ma si chiedono i motivi per cui si sono verificati.
  • Costruire una buona relazione con ogni singolo alunno: ad esempio chiamandolo per nome, usando un linguaggio non verbale positivo, parlando spesso individualmente con i ragazzi, specie nei momenti non strutturati.
  • Utilizzare un linguaggio e una mimica complice, mantenendo il ruolo.
  • Comunicare con fermezza e chiarezza ma mai con rabbia; l’emotività dovrebbe essere il più possibile neutra. Se l’insegnante comunica in modo collerico mostra di aver vissuto la “trasgressione” dell’alunno su un piano personale.
  • Quando si può, cercare di sfruttare ciò che piace per fare lezione, informandosi sugli interessi personali di ogni alunno.
  • Proporre poche regole, espresse sempre in positivo e mai in negativo, formulate in maniera concreta.
  • Spiegare le regole: se non si riesce a spiegare il perché di una regola significa che è stata introiettata dai caregivers o dal contesto sociale e la si sta riproponendo senza capire se serve realmente.
  • Quando si riprende il comportamento scorretto si dovrebbe sempre esplicitare qual è il comportamento desiderato.
  • Comunicare la punizione con tono di tristezza piuttosto che con tono di vendetta e indignazione. Tenere presente che le punizioni incoraggiano l’indisciplina perché il colpito non si dà per vinto.

Classi difficili: lo Psicologo Scolastico come può essere d’aiuto?

Che contributo può offrire lo Psicologo Scolastico agli insegnanti nella gestione delle classi difficili?

La prima cosa da realizzare quando si viene chiamati ad intervenire è effettuare un’analisi della domanda e del contesto. A seconda del caso si deve capire se effettuare un intervento sui singoli alunni “problematici”, sul gruppo classe, sugli insegnanti, sui genitori o su tutti gli attori coinvolti, cosa che nelle situazioni più complesse ha certamente un’efficacia maggiore: è difficile infatti che un problema possa dipendere da una singola variabile; è molto più frequente che ci sia un’interconnessione di fattori che hanno portato all’instaurarsi di una situazione disfunzionale.

Gli interventi che si sono rivelati più utili, facendo riferimento alle prove di efficacia, sono:

  • Interventi di prevenzione e contrasto al bullismo: training per gli studenti centrati sulle Social Skills (empatia, autoconsapevolezza, comunicazione efficace, problem solving), circle time, laboratori sulle emozioni, role playing con focus sull’interazione empatica.
  • Metodo integrato per l’educazione socio-affettiva, che comprende: Metodo Gordon (ascolto attivo, messaggio-io e metodo senza perdenti), circle time ed esercizi psicomotori (Francescato et al., 1986; Francescato, 2004; Gordon, 2013).
  • Colloqui individuali con alunni, genitori e insegnanti, che permettono di lavorare sulle problematiche personali (se presenti); si valuta se dovrebbe essere effettuato un invio ad un altro servizio.
  • Seminari informativi/formativi con genitori su tematiche di psicologia dello sviluppo e sostegno alla genitorialità, scelte a seconda del bisogno emergente e delle specificità della situazione.
  • Formazione degli insegnanti sul riconoscimento precoce delle problematiche e le modalità per affrontarle, sulla gestione proattiva della classe, l’insegnamento interattivo, l’apprendimento cooperativo, l’uso del problem solving, la comunicazione efficace (Gordon, 2013).

E’ fondamentale non giudicare gli insegnanti e non farli sentire soli. Il compito dello Psicologo Scolastico è quello di creare una sinergia, fare rete, empatizzando col vissuto di difficoltà e talvolta di impotenza che si trovano a vivere gli insegnanti di fronte ad una situazione complessa e talvolta radicata nel tempo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cudini S. (2003), Scuola e territorio. Come attivare e promuovere progetti con le comunità locali, Franco Angeli, Roma.
  • Francescato D., Putton A., Cudini S. (1986), Star bene insieme a scuola, NIS, Roma.
  • Francescato D. (2004), Psicologia di comunità per la scuola, l’orientamento e la formazione. Esperienze faccia a faccia e on line, Il Mulino, Bologna.
  • Lo Psicologo a scuola: come viene percepito dai docenti?
  • Gordon T. (2013), Insegnanti Efficaci, Giunti, Firenze.
  • Sunderland M. (1993), Disegnare le emozioni. Espressione grafica e conoscenza di sé, Erickson, Roma.
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