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Feeding disorders o Eating disorders? I disturbi alimentari durante l’infanzia

I disturbi della nutrizione infantili si inseriscono in una cornice relazionale, mentre i disturbi dell'alimentazione denotano una dimensione individuale

Di Martina Tramontano, Veronica Aggio

Pubblicato il 20 Dic. 2018

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:04

I disturbi alimentari sono una classe diagnostica che, forse più di ogni altra classe presente nei manuali diagnostici (DSM e ICD), comprende una serie di disordini caratterizzati da un’eziologia multifattoriale. 

Martina Tramontano e Veronica Aggio – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

 

In tali disturbi, i comportamenti alimentari sono caratterizzati da un alterato consumo od assorbimento di cibo, tale da compromettere la salute fisica e/o il funzionamento psicosociale della persona.

Tra i più noti e documentati, l’anoressia nervosa e la bulimia riguardano rispettivamente lo 0.2-0.8% e l’1-5% della popolazione italiana.

I disturbi alimentari hanno un forte impatto non solo sulla persona che ne soffre, ma anche sula famiglia nella quale la persona vive. Inoltre, difficilmente si arriva ad un completo recupero della persona (generalmente, permane una sintomatologia di stampo ansioso-ossessivo) ed i tempi di recupero sono comunque molto lunghi, attestati fra i 57 e i 79 mesi.

I disturbi alimentari durante l’infanzia

I disturbi alimentari hanno generalmente un esordio in età adolescenziale, ma negli ultimi anni si è data sempre più importanza agli esordi precoci, durante l’infanzia e la prima adolescenza, sia rispetto ai disturbi alimentari poi diagnosticati in età adulta, sia rispetto ai disturbi della nutrizione specifici di quell’età.

L’attenzione per i disturbi alimentari infantili come sottogruppo specifico d’interesse si è concretamente affermata solo negli ultimi due decenni, quando le manifestazioni infantili dei disturbi dell’alimentazione cominciarono ad essere considerate come categoria a sé stante rispetto a quelle adulte.

La diagnosi di disturbi alimentari infantili, i cui sintomi possono manifestarsi in diversi stadi dell’infanzia e della prima infanzia, dovrebbe essere presa in considerazione quando un bambino mostra difficoltà significative a seguire regimi di alimentazione regolari, cioè quando la sua alimentazione non è regolata in accordo con le sensazioni fisiologiche di fame o sazietà. Poiché un infante non è in grado da solo di provvedere al suo fabbisogno alimentare, ma un normale consumo nutrizionale dipende dall’integrazione riuscita tra una serie di funzioni fisiche e relazioni interpersonali con il caregiver durante lo sviluppo iniziale, l’interruzione in una o più di queste aree può portare ad un problema di alimentazione.

Feeding disorders oppure Eating disorders?

A questo proposito Bryant-Waugh e Piepenstock (2008) propongono di riferirsi ai disturbi alimentari nell’infanzia come a “feeding disorders”, ossia disturbi della nutrizione, piuttosto che “eating disorders”, cioè disordini dell’alimentazione, laddove la prima definizione inserisce i termini del disturbo in una cornice relazionale, mentre la seconda denoterebbe una dimensione individuale.

Secondo gli autori, infatti, la denominazione di “eating disorders” andrebbe riservata unicamente a soggetti che, per il loro livello evolutivo, dovrebbero essere in grado di autoregolare le proprie scelte alimentari.

Disturbi dell’alimentazione durante l’infanzia e successive problematiche

Studi epidemiologici registrano un’incidenza piuttosto elevata di questa tipologia di problematiche durante l’infanzia: approssimativamente il 25-45% dei bambini adeguatamente sviluppati e fino all’80% dei bambini con ritardo mentale o psicomotorio riportano difficoltà nella sfera alimentare.

Molti autori hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgenza infantile dei disturbi dell’alimentazione e successive difficoltà in età più avanzata. A tale proposito, Marchi e Cohen (1990) sottolineano la correlazione tra alimentazione selettiva nella prima infanzia e anoressia nervosa in adolescenza, mentre pica e difficoltà connesse ai pasti costituirebbero significativi fattori di rischio per lo sviluppo della bulimia nervosa. Sulla stessa linea Kloter et al. (2001) associano comportamenti di rifiuto o avversione verso il cibo con lo sviluppo di disordini alimentari in età adulta. Inoltre, secondo Chatoor (2009) i disturbi alimentari con insorgenza infantile sono connessi anche a deficit nello sviluppo cognitivo, a problemi comportamentali e di ansia, oltre che a disturbi alimentari di varia natura in età più avanzate. Infine Whelan e Coopers, hanno dimostrato che le madri di bambini con problemi di alimentazione avevano un tasso marcatamente aumentato di disturbi alimentari attuali e pregressi.

Sulla base di tali evidenze risulta fondamentale, per prevenire i disturbi dell’alimentazione nelle prime fasi della vita, che operatori pediatrici e medici in generale divengano consapevoli dei bambini a rischio e prestino attenzione non solo a quei bambini che “cadono dalla curva di crescita” ma anche a quelli con genitori affetti da disturbi alimentari o quelli i cui genitori mostrano una persistente difficoltà a dar loro da mangiare.

Problemi diagnostici e di classificazione

Attualmente il panorama relativo alla classificazione dei disturbi alimentari nell’infanzia appare piuttosto confuso e in uno stato di continua ridefinizione. L’affidabilità dell’incidenza e dei tassi di prevalenza risulta compromessa dalla variabilità delle definizioni utilizzate per configurare tale disturbo; infatti vi sono poche indicazioni basate sull’evidenza che consentono di definire ciò che costituisce una difficoltà alimentare clinicamente significativa e che permettono di distinguerla dai problemi di alimentazione transitori che si risolvono senza nessun aiuto clinico e psicologico.

Ad oggi, esiste un corpus molto limitato di ricerche basate sui dati che tenta di esaminare la prognosi, il decorso, l’esito e la risposta al trattamento nei disturbi dell’alimentazione usando un sistema diagnostico o di classificazione formale e ampiamente accettato. Le origini di tale assetto possono essere rintracciate in una serie di fattori. Innanzitutto, siccome il bambino è un soggetto in continua evoluzione è difficile distinguere tra una difficoltà evolutiva transitoria ed un vero e proprio disturbo che richieda un intervento specifico. In secondo luogo, la varietà e la complessità dei problemi alimentari nei bambini ha indubbiamente contribuito alla continua mancanza di un sistema di classificazione ampiamente accettato e utilizzato da medici di diverse discipline che lavorano in questo campo.

Infine mancano strumenti standardizzati adeguati per la valutazione dei disordini alimentari nell’infanzia, nonché la descrizione dettagliata e la valutazione di interventi specifici per tipologie chiaramente identificate.

I principali disturbi alimentari nell’infanzia

Fra i disturbi maggiormente diagnosticati durante l’infanzia, troviamo la pica, inerente l’ingestione continuativa di sostanze non nutritive, e il disturbo da ruminazione, caratterizzato dal rigurgito del cibo.

Per quanto riguarda invece gli altri disturbi alimentari, caratteristici dell’età adolescenziale e adulta, vediamo che l’anoressia nervosa è riscontrabile fin dai 7 anni di età. Le caratteristiche cliniche e diagnostiche sono simili a quelle mostrate dai pazienti adulti, ma con delle differenze sostanziali relative all’impatto che hanno sullo sviluppo della persona. Infatti, le complicanze a livello organico possono essere disastrose, con degli effetti irreversibili sullo sviluppo fisico. A livello psicologico, invece, le differenze possono riguardare la difficoltà proprio dei bambini di esprimere, in parole, i propri pensieri e le proprie emozioni: un bambino che mostra dei comportamenti alimentari propri di una persona anoressica, come l’esercizio fisico dopo i pasti, l’evitamento di determinati cibi ad alto contenuto calorico, ma anche condotte espulsive come il vomito auto-indotto.

È difficile stimare la prevalenza di tali disturbi nella popolazione generale perché la maggior parte degli studi e delle osservazioni cliniche si è concentrata nel periodo di esordio maggiormente frequente (circa 15 anni), ma dai dati rilevati dai medici di base, è possibile stimare un’incidenza dell’anoressia nervosa fra i bambini di 0.3 ogni 100.000 casi in bambini fra 0 e 9 anni, e di 17.5 su 100.000 in bambini fra i 10 e i 19 anni. La proporzione fra maschi con esordio di anoressia nervosa durante l’infanzia è maggiore rispetto a quella negli adolescenti, probabilmente per via degli effetti genere-specifici caratteristici della pubertà.

La classificazione proposta dal DSM 5

All’interno del marasma appena descritto, per orientarci nell’universo nosografico, ai fini di questo articolo facciamo riferimento alla classificazione presente nel DSM 5.

A causa dell’eliminazione del capitolo “Disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza e nell’adolescenza” le categorie diagnostiche che riguardano soprattutto i disturbi della nutrizione dell’infanzia vengono inserite all’interno del capitolo generale sui disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Esse sono: pica, disturbo da ruminazione e disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo. Di seguito li descriviamo sinteticamente:

  • La caratteristica essenziale della pica è l’ingestione di una o più sostanze non nutritive e non alimentari per un periodo di almeno un mese. Le sostanze tipicamente ingerite variano in base all’età e alla disponibilità e possono includere carta, sapone, capelli. Tipicamente non c’è avversione nei confronti del cibo in generale.
  • Il disturbo di ruminazione richiede il rigurgito di cibo, che può essere rimasticato, deglutito nuovamente o sputato, per almeno un mese; il rigurgito non deve essere attribuibile a una condizione gastrointestinale associata o ad altra condizione medica, e non deve manifestarsi durante il decorso di altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
  • Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo sostituisce ed estende la diagnosi DSM-IV di disturbo della nutrizione dell’infanzia. La maggiore categoria diagnostica di questo disturbo è l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo per tre motivi principali: 1) apparente mancanza d’interesse per il mangiare o il cibo; 2) evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo; 3) preoccupazioni per le conseguenze avversive del mangiare. Non è presente la preoccupazione per il peso e la forma del corpo e non deve manifestarsi durante il decorso dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa. Infine, il disturbo non deve dipendere da una mancanza nella disponibilità di cibo o a un’altra malattia medica o mentale.

Molti autori hanno criticato tale sistema di classificazione perchè non riesce a comprendere l’intera gamma delle difficoltà di alimentazione e pone un’enfasi eccessiva sul fatto che il problema sia solo del bambino, non riuscendo a cogliere gli importanti elementi contestuali in cui egli vive.

Secondo Davies e colleghi, infatti, anche se fattori infantili come il temperamento, le condizioni organiche, le anomalie strutturali e i problemi e le sindromi dello sviluppo sono stati collegati alla patogenesi dei disturbi alimentari infantili, l’ambiente e i fattori genitoriali possono anche interagire per influenzare e mantenere tali problematiche. La ricerca che si è concentrata sulle influenze materne e del caregiver ha riscontrato che le madri di bambini con disturbi alimentari tendono ad essere più imprevedibili, coercitive, controllanti, insensibili, intrusive e eccessivamente stimolanti; tendono ad essere meno flessibili e affettuose; hanno maggiori probabilità di usare punizioni fisiche o l’alimentazione forzata; presentano difficoltà nel cogliere i segnali del bambino; infine mostrano più rabbia e ostilità durante l’interazione con i loro figli. Gli studi clinici condotti su bambini con disturbi alimentari hanno mostrato alti livelli di depressione materna, ansia, disturbi alimentari, umore e disturbi della personalità. Quindi, piuttosto che concentrarsi sul bambino o sulla figura genitoriale, Davies e colleghi suggeriscono di definire il disturbo alimentare come un disturbo relazionale.

A sostegno di questo concetto, è stato dimostrato che le caratteristiche del bambino e del suo caregiver interagiscono in molti modi sullo sviluppo e sul mantenimento del disturbo: il comportamento eccessivamente rigido dei genitori in relazione alla crescita e al tipo di alimentazione del bambino, il mancato riconoscimento degli indizi di fame e sazietà, il comportamento caotico dei genitori, l’incapacità di esporre il bambino a una gamma di alimenti, l’incapacità di fornirgli un contesto alimentare appropriato, sono tutti fattori che influenzano lo sviluppo di non adeguati modelli di alimentazione.

Per concludere

In sintesi, i disturbi alimentari infantili dovrebbero essere compresi all’interno di un contesto più ampio che tiene conto delle caratteristiche sia dei bambini che dei genitori, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sui fattori caratteristici dell’infante. Questo perché lo sviluppo e il mantenimento delle difficoltà sono associati all’interazione complessa di fattori che si innescano nella relazione tra bambino e caregiver.

Tali considerazioni hanno ovvie implicazioni circa la valutazione e il trattamento: essi per avere migliori risultati, oltre alla messa in campo di un team multidisciplinare di professionisti, devono riguardare il contesto familiare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bryant-Waugh, R. (2010). Feeding and eating disorder in childhood. Int J Eat Disord 2010;43:98-111.
  • Chatoor, I. (2003). Food refusal by infants and young children: diagnosis and treatment. Cognitive and behavioral practice 10(2):138-146.
  • De Abreu Goncalves, J. (2013). Eating disorders in childhood and adolescence. Rev Paul Pediatr, 31(1):96-103.
  • Kotler, L.A. (2001). Longitudinal Relationships between childhood, adolescent, and adult eating disorders. Child and Adolescent Psychiatry, 40(12):1434-1440.
  • Steinberg, C. (2007). Feeding disorders of infants, toddlers, and preschoolers. BC Medical Journal, 49(4).
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