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Le punizioni corporali a scuola e a casa influenzerebbero l’incidenza di fenomeni di violenza da parte dei minori? 

Negli stati in cui le punizioni corporali sui bambini sono state abolite sembra che gli episodi di violenza giovanile siano significativamente inferiori.

Di Giovanni Molinari

Pubblicato il 23 Nov. 2018

Aggiornato il 18 Apr. 2019 13:26

Rifacendosi agli assunti di Bandura (Bandura, Ross & Ross, 1961) secondo i quali l’aggressività è appresa, si potrebbe dire che il divieto di usare punizioni corporali sui bambini porti gli stessi a non apprendere comportamenti violenti e pertanto ad agirne un numero inferiore.

 

Un recente studio della McGill University in Canada (Elgar et al., 2018) effettuato su adolescenti provenienti da 88 paesi, diversi per caratteristiche socio-economiche, ha evidenziato come negli stati dove le punizioni corporali sono state abolite in qualsiasi setting (sia scolastico che familiare) gli episodi di violenza giovanile siano significativamente inferiori rispetto ai paesi dove tali punizioni sono ancora permesse.

A livello di percentuali, la ricerca mostra che negli stati con abolizione totale delle punizioni fisiche, la prevalenza degli episodi violenti che riguardando minori di sesso sia maschile che femminile sia inferiore, rispettivamente, del 31% e del 42% rispetto allo stesso parametro misurato negli altri stati studiati.

L’analisi dell’università canadese divide gli 88 paesi studiati in tre gruppi:

  • Paesi con abolizione totale delle punizioni corporali (ad esempio Mongolia e Finlandia)
  • Paesi con abolizione parziale, legale in ambiente familiare ed illegale in ambiente scolastico (ad esempio Italia o Cambogia)
  • Paesi che permetto le punizioni corporali sia in ambito scolastico che familiare (come il Qatar e Myanmar)

La ricerca

Estraendo i dati dal report 2014 della World Health Organization (WHO) sui comportamenti legati alla salute nelle scuole, i ricercatori hanno confrontato la prevalenza di giovani di entrambi i sessi (con un’età compresa tra i 13 e i 17 anni) che sono stati coinvolti in più di 4 scontri fisici durante i 12 mesi precedenti l’intervista.

Per quanto esista una grande variabilità intra-gruppo, a livello di differenze tra i gruppi, la ricerca ha evidenziato come, nei paesi dove le punizioni corporali sono rese illegali dalla legge in ogni ambito, la prevalenza degli episodi di violenza che vedono coinvolti un minore sia significativamente inferiore rispetto a quello dei paesi non o parzialmente abolizionisti.

Inoltre, sebbene per quanto riguarda la prevalenza degli eventi violenti riguardanti minori di sesso maschile non sembrano esserci differenze significative tra le nazioni con abolizione parziale delle punizioni corporali e quelli senza alcun tipo di normative, la prevalenza di fenomeni simili che vedono coinvolte giovani donne risulta essere significativamente inferiore in paesi con abolizione parziale.

Inoltre, sebbene lo studio ipotizzasse anche che gli stati con un PIL pro capite maggiore fossero quelli che presentavano livelli di violenza inferiori, i risultati ottenuti non hanno confermato tale associazione. Al contrario i paesi che mostrano il minor numero in assoluto di episodi violenti sono anche alcuni tra i paesi più poveri del mondo (Malawi, Myanmar, Cambogia).

Sono stati testati anche altri possibili predittori, ad esempio la presenza o meno di programmi per l’educazione dei genitori o il numero di omicidi, ma non sembrano esserci associazioni significative tra queste caratteristiche e il livello di violenza giovanile.

In conclusione

Possiamo riassumere questo lavoro usando le parole di Frank Elgar, a capo dell’equipe di ricerca:

A questo punto, tutto quello che possiamo dire è che le nazioni che proibiscono l’uso di punizioni corporali sono dei contesti meno violenti, in cui i bambini possono crescere, rispetto agli stati che non lo fanno.

Rifacendosi agli assunti di Bandura (Bandura, Ross & Ross, 1961) secondo i quali l’aggressività è appresa, potremmo concludere che il divieto di usare punizioni di tipo fisico sui bambini porti gli stessi a non apprendere comportamenti violenti e pertanto ad agirne un numero inferiore.

Purtroppo, basandosi solamente su questa ricerca non è possibile confermare un’affermazione simile in quanto lo studio in questione presenta il grande limite della mancanza di informazioni sull’utilizzo effettivo di punizioni corporali da parte dei genitori e di altri adulti significativi (dato che nonostante il divieto è comunque possibile che i genitori agiscano comportamenti violenti sui figli). Mancando tale dato, e data la natura non-sperimentale dello studio in questione, è impossibile affermare l’esistenza di una relazione causale tra divieto di punizioni corporali e bassi livelli di violenza.

Certo è che è importante proseguire nello studio di questo tema per investigare se i divieti nazionali riguardanti le punizioni fisiche portino a dei cambiamenti effettivi e positivi nel modo di educare i bambini o se siano semplicemente delle caratteristiche di società meno violente.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bandura, A., Ross, D., Ross, S.A. (1961). Transmission of aggression through imitation of aggressive models. The Journal of Abnormal and Social Psychology, 63(3), 575.
  • Elgar, F.J., Donnelly, P.D., Michaelson, V., Gariépy, G., Riehm, K.E., Walsh, S.D., Pickett, W. (2018). Corporal punishment bans and physical fighting in adolescents: an ecological study of 88 countries. BMJ Open, 8(9), e021616. doi:10.1136/bmjopen-2018-021616.
  • World Health Organization & World Health Organization. Management of Substance Abuse Unit. (2014). Global status report on alcohol and health, 2014. World Health Organization.
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