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La causalità – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 29

La causalità implica la capacità di procedere attraverso una definizione anticipata degli obiettivi da raggiungere. Studi scientifici recenti dimostrano però che questo modo di procedere non sempre è più vantaggioso rispetto al seguire gli eventi così come accadono, ma genera più stress ed emozioni disturbanti.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 11 Lug. 2018

La causalità sembra essere una modalità intrinseca del nostro modo di pensare, così preziosa per l’essere umano in quanto consente di mantenere un senso di controllo sulla propria esistenza. In realtà si tratta di un fortissimo bias di sopravvalutazione, essendo di fatto praticamente impotenti nel condizionare il corso degli eventi importanti che ci riguardano. 

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – La casualità (Nr. 29)

 

Forse perché mi sono svegliato alle 3,14 e il pi greco mi ha ricordato quando da adolescente mi interrogavo sui segreti del mondo con l’aiuto delle scienze e della filosofia. Forse perché oggi è il primo giorno della maturità ed avere un tema cui pensare mi fa sentire solidale coi ragazzi e soprattutto più giovane. Forse perché da un po’ di giorni mi sento particolarmente stupido e avevo bisogno di verificare lo stato di deterioramento dei neuroni per atrofia da non uso. Forse non so perché.

Ma ecco che ciò di cui volevo parlare si ripresenta come la peperonata già nella premessa dello stesso ragionamento ed è  identificabile in quel ricorrente “perché?”.

Un “perché?” da intendere sempre in senso deterministico e causale, rivolto al passato, nel senso di cosa ha causato…e non rivolto al futuro nel senso di “a quale scopo?”. Sta di fatto che di fronte a qualsiasi evento la sua stessa percezione è contemporanea o di poco seguita dalla domanda automatica sul perché è accaduto, che sia una guerra, un infarto, un’alluvione o la nascita di un amore. Capirne le cause ci dà la rassicurante impressione di poterlo controllare. Senso di controllo sulla nostra esistenza che tutti gli studi scientifici ci dicono essere frutto di un fortissimo bias di sopravvalutazione essendo di fatto praticamente impotenti nel condizionare il corso degli eventi importanti che ci riguardano.

La causalità

Penso che la causalità sia un apriori del nostro modo di pensare certamente divenuta predominante con l’illuminismo ma presente già da prima perlomeno nel pensiero occidentale. Poco importa se le spiegazioni degli eventi sono di carattere scientifico, magico o religioso a seconda dei paradigmi culturali che si sono succeduti nel tempo. Ciò che resta costante è la fede indiscussa nella causalità riassumibile nell’idea che ogni evento sia la conseguenza di qualcosa che lo ha preceduto.

Si potrebbe pensare che, se questo è un modo di funzionare della nostra mente, è possibile rispecchi il funzionamento reale dell’universo. In effetti è assolutamente possibile. Possibile. Ma potrebbe anche essere che gli eventi accadano, che il cambiamento sia la realtà più profonda delle cose e la causalità sia soltanto una lente degli occhiali con cui la osserviamo, essendo l’altra lente ora scientifica, ora religiosa, ora magica.

Come si traduce il concetto di causalità in Psicoterapia

Allontanandosi rapidamente oggi, primo giorno d’estate, i fantasmi delle 3.14 mi sono chiesto le conseguenze di questa tirannia della causalità sul nostro modo di fare in generale e di fare il nostro specifico lavoro di psicoterapeuti.

Mi sembra che la prima conseguenza della tirannia della causalità sia il metodo del progetto o, come si dice oggi, la necessità di procedere secondo un goal-setting ben definito, ovvero fissando anticipatamente gli obiettivi da raggiungere per poi cercare di creare quelle condizioni che hanno come conseguenza gli obiettivi stessi. È quello che ci insegnano fin da bambini e poi nelle aziende: “fissa degli obiettivi e poi il percorso per raggiungerli”.

Studi scientifici recenti dimostrano che  questo modo di procedere non produce affatto successi maggiori del “seguire gli eventi, sfruttare le circostanze, cogliere le opportunità”, ma in compenso genera molto più stress ed emozioni disturbanti come ansia di prestazione, delusione e autosvalutazione. I due diversi modi sono ben illustrati agli estremi dalla differenza tra uno chef più o meno stellato e un cuoco. Il primo ha stabilizzato una ricetta con ingredienti precisi e irrinunciabili, tempi e procedure studiate alla perfezione e ottiene sempre un ottimo risultato. Il cuoco e ancor di più la madre di famiglia procede in modo inverso: apre il frigo e a partire da quello che c’è organizza un ottimo pranzetto che non sarà mai identico a se stesso ma sempre gustoso.

Nel nostro campo gli aspiranti chef sono i fans dei protocolli, dei setting rigorosi e degli studi clinici controllati, le casalinghe gli affezionati al ragionamento clinico, alle situazioni disperate, che iniziano ogni giornata dicendosi “io speriamo che me la cavo”.

 

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

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