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Autoregolazione del comportamento: scopi e processi di controllo reattivo (2004) – Recensione

Secondo gli autori ognuno persegue degli scopi e si tiene lontano da antiscopi che non riesce a perseguire autoregolando il suo comportamento - Psicologia

Di Redazione

Pubblicato il 08 Lug. 2015

Aggiornato il 02 Mag. 2017 12:26

Secondo gli autori, le persone vivono identificando scopi e antiscopi, perseguendo i primi e tenendosi lontani dai secondi. Alcuni scopi sono l’espressione di un programma biologico, altri il frutto di una ponderazione cosciente di possibili alternative, altri ancora derivano da sogni e fantasie, ma i più importanti sono quelli fondamentali per il sé.

Rosario Esposito

Il libro di Carver e Scheier sull’autoregolazione del comportamento è al tempo stesso molto interessante e molto complesso, un vero manuale di 400 pagine sul funzionamento della mente umana con tantissime conclusioni contro-intuitive e altrettante possibili applicazioni cliniche.

Il discorso parte da lontano e necessita di una piccola premessa che non si trova nel libro, ma che risulta fondamentale per capirne la portata. Nel 1943 il Consiglio Nazionale delle Ricerche della Difesa degli Stati Uniti d’America portò a lavorare insieme tre scienziati con lo scopo di trovare una soluzione alla imprecisione dei cannoni nel colpire gli aerei in movimento: Norbert Wiener, matematico, Arturo Rosenblueth, fisiologo e Julian Bigelow, ingegnere elettronico (Rosenblueth era collega di Walter Cannon e Bigelow andrà poi a costruire la macchina IAS con von Neuman). I tre scienziati conclusero che la soluzione consisteva nella capacità del cannone di correggere continuamente se stesso, colpo dopo colpo, e per fare questo inventarono un sistema che tenesse continuamente conto del feedback (retroazione) dell’esito dei proiettili. Il sistema si basava su un radar che forniva informazioni a un calcolatore sulla rotta dell’aereo nemico da abbattere, della velocità e del tempo impiegato dal proiettile a raggiungerlo. Dopo ogni colpo, il radar comunicava al sistema l’entità dell’errore di tiro, in modo che il calcolatore potesse effettuare le necessarie correzioni, il ciclo continuava finché l’obiettivo non veniva colpito. Con la conclusione di questo progetto si introdusse il concetto di causalità circolare e si gettarono le basi per quella che poi venne chiamata la teoria cibernetica.

Norbert Wiener utilizzando questa teoria cercò di fondare una scienza generale del funzionamento della mente umana (Wiemer, 1948) e tra il 1943 ed il 1956 vennero organizzate a New York, su iniziativa dello psichiatra Warren McCulloch e della Josiah Macy Jr. Foundation, dieci incontri, chiamati poi Macy Conference, proprio per poter condividere questa possibilità tra i diversi scienziati dell’epoca. Il concetto di feedback era già stato usato in precedenza (vedi il meccanismo di feedback per regolare i motori a vapore di Clerk Maxwell oppure il concetto di omeastosi di Walter Cannon), ma ora, per la prima volta, si cerca di applicare il concetto direttamente alla comprensione della mente umana.

 

Rosario Esposito Recensione Carver

 

C’erano proprio tutti a quegli incontri: Gregory Bateson, Margaret Mead, John von Neuman, Heinz von Foerster, Ralph Gerard, Kurt Lewin tra gli altri. Tra loro, ovviamente, c’erano anche Norbert Wiener e Arturo Rosenblueth che si soffermarono proprio ad illustrare il concetto di controllo a retroazione. Tra i partecipanti Gregory Bateson, antropologo e sociologo, intuì subito la possibile applicazione della causalità circolare per sottolineare l’importanza del contesto nella comprensione del comportamento umano; nacque così la teoria sistemica (Bateson, 1977). Il libro di Carver e Scheier, frutto di 35 anni di lavoro sull’argomento, vuole sottolineare l’altra faccia della medaglia, l’applicazione degli stessi concetti di causalità circolare direttamente alla comprensione dei processi mentali.

Secondo Carver e Scheier il modello cibernetico non è una metafora di come funziona la mente umana, è proprio il modo di funzionare degli esseri viventi autoregolati, compresa la mente umana. Secondo gli autori attraverso la descrizione di questi processi si descrive come l’individuo realmente si comporta e si autoregola, si colgono cioè le reali relazioni logiche fra le funzioni svolte dagli elementi.

Infatti il processo comune a tutti gli esseri viventi consiste proprio nella loro capacità autoregolatoria e questo è consentito da un costante confronto tra uno scopo (il valore di riferimento) ed i risultati del comportamento (target). Il meccanismo è chiamato controllo a retroazione ed, in questo modo, gli autori recuperano un concetto spesso trascurato dalla psicologia cognitivista, quello di motivazione. L’approccio e gli autori non si soffermano nel descrivere quali sono le peculiari motivazioni degli esseri umani (fame, sonno, riproduzione, esplorazione, attaccamento, rango, etc.), ma provano a descrivere il meccanicismo astratto che li caratterizza; più che rispondere alla domanda perché l’uomo si comporta, vogliono rispendere alla domanda quali sono le regole che segue nel comportarsi.

Provate ad immaginare il comportamento di un paziente e provate a considerare quali scopi importanti ha, provate ad ipotizzare se con il suo comportamento si sta avvicinando ad essi oppure no. Il comportamento che osservate è un continuo tentativo di riduzione (o ampliamento) di una discrepanza tra gli scopi e il risultato ottenuto. Interessante vero? Interessante perché più si descrivono i dettagli della teoria più ci sono margini di intervento. Secondo gli autori gli scopi sono organizzati gerarchicamente dove l’esito di processo può essere il valore di riferimento (un altro scopo) di un altro processo gerarchicamente inferiore (si evita così il famigerato homunculus). I feedback, d’altra parte, possono essere veritieri, ma anche distorti, veloci, ma anche ritardati o intermittenti, sensibili o poco sensibili. Le cose si complicano perché a rendere più complessa la cosa si consideri che l’insieme di scopi, feedback ed i loro parametri (sensibilità, latenza, intermittenza, velocità) possono modificarsi nel corso del tempo. La teoria più che un fotogramma che cristallizza gli elementi, appare come un video di danzatori che regolano la loro danza l’uno sui movimenti dell’altro. Se il comportamento è visto come un avvicinamento (oppure ad un allontanamento) ai valori di riferimento (gli scopi o antiscopi) tenendo conto dei feedback, gli “affetti” compaiono quando c’è una accelerazione (o decelerazione) verso il raggiungimento dello scopo. Riguardano la velocità di raggiungimento più che il raggiungimento in sè (vi dice qualcosa sui rapporti d’amore?).

Ma cosa succede se il raggiungimento di uno scopo è ostacolato? É molto importante per la salute mentale essere capaci di capire quando disimpegnarsi lì dove è necessario e impegnarsi, invece, lì dove si possono ottenere risultati, rimanere a metà strada, nella terra di nessuno, è fonte di problemi. Da quanti anni avete uno scopo che non riuscite a raggiungere? Che vogliamo fare? Nel caso lo scopo è ostacolato gli autori elencano diverse strategie: ridurre i tentativi, abbandonare il contesto comportamentale, disimpegnarsi mentalmente oppure disimpegnarsi in modo limitato. Rimandando al libro la descrizione di queste possibilità, basti qui dire che è molto importante avere delle alternative (un piano B) per gli scopi costitutivi del sé.

E la clinica? L’ansia da esame, ad esempio, può essere vista come un tentativo infruttuoso di disimpegnarsi dal compito; la depressione, invece, è connessa a una mancanza generale di disimpegno mentale dagli scopi; il comportamento disorganizzato può dipendere da diversi fattori che agiscono sulla autoconsapevolezza: la persona smette di monitore i suoi valori e le sue intenzioni (i suoi scopi) riducendo la concentrazione su di sé e causando così una cattiva regolazione del comportamento. A pagina 335 gli autori descrivono anche le regole per la costruzione e la rottura delle relazioni intime. Gli interventi clinici possono essere innumerevoli e riguardare direttamente i processi mentali (chiarire gli scopi, la loro gerarchia, la rinuncia, chiarire la qualità dei feedback, spostare l’attenzione su sé o da sé, etc.), oltre che i contenuti (rappresentazioni mentali).

In conclusione, secondo gli autori, le persone vivono identificando scopi e antiscopi, perseguendo i primi e tenendosi lontani dai secondi. Alcuni scopi sono l’espressione di un programma biologico, altri il frutto di una ponderazione cosciente di possibili alternative, altri ancora derivano da sogni e fantasie, ma i più importanti sono quelli fondamentali per il sé. Proprio gli scopi del sé (che può essere desiderato, dovuto, temuto o reale) potrebbero dare vita ad un progetto di ricerca per una teoria della personalità normale e patologica (si veda lo spunto per il narcisista a pagina 118). Proficuo in tal senso sarebbe, come già tentato da Bowlby (1980), l’integrazione tra principi della cibernetica e teoria cognitivo-evoluzionista (Liotti, 1994): nell’un caso si descrive il meccanismo generale, nell’altro si sottolineano le singole motivazioni interpersonali. Questo consentirebbe di integrare scopi psico-biologici descritti dalla teoria evoluzionista, con altrettanti importanti scopi più astratti come identità, libertà, incertezza, tra gli altri.

Il libro è molto bello e molto complesso, spesso è appesantito dal continuo soffermarsi degli autori dal confronto con le altre teorizzazioni, meglio sarebbe stato sottolineare di più le conseguenze pratiche e l’utilità della teoria. Sicuramente non è da tenere sul comodino.

 

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