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L’itinerario criminologico di Melanie Klein: crimine e riparazione

Riaffiora anche in Melanie Klein il criminale vittima del senso di colpa, evidente richiamo alla tipologia del delinquente per senso di colpa teorizzata da Freud nel 1916, reviviscenza a sua volta del nietzschiano “pallido delinquente”

Di Guest

Pubblicato il 25 Giu. 2018

Il presente contributo offre una disamina dell’itinerario criminologico della psicoanalista Melanie Klein e dell’attualità delle sue riflessioni sulle tendenze criminali e sulle tendenze alla riparazione nei bambini.

Gaetano Esposito

Agli inizi degli anni venti del Novecento anche la Germania conobbe il fenomeno dei serial killer e dei loro crimini efferati. Karl Denke era solito rapire e mangiare vagabondi per poi venderne la carne al mercato nero spacciandola per maiale; il più famoso Fritz Haarmann, “il lupo mannaro di Hannover”, tra il 1919 e il 1924 commise almeno 24 omicidi; abbordava ragazzi di strada, li violentava, li uccideva con un morso alla gola e terminava il suo macabro rito vendendo i loro indumenti.

In quegli stessi anni Melanie Klein compiva i suoi pioneristici studi sul mondo dei bambini sfatando il mito dell’infanzia come oasi di serenità e innocenza. Utilizzando la tecnica del gioco entrava in quel mondo e rinveniva conflitti, angoscia, sensi di colpa e tendenze distruttive.

Uno dei suoi piccoli pazienti immaginava di decapitare un bambolotto e di venderne il corpo a un immaginario macellaio affinché ne rivendesse i pezzi come carne da mangiare. Un altro dei suoi pazienti, Peter, giocando con due pupazzi, costruiva una storia in cui entrambi uccidevano padre e madre e ne mangiavano i corpi.

Le evidenti analogie tra le fantasie dei bambini e gli orrendi delitti commessi dai serial killer non potevano sfuggire alla grande psicoanalista che ne fece oggetto di studio ed espose i risultati della sua ricerca nel simposio tenutosi al British Psycoanalytical Society del 1927, con una relazione dal titolo significativo: Tendenze criminali nei bambini normali. Lo scopo dello scritto non era soltanto quello di dimostrare l’esistenza di tendenze criminali nei bambini normali ma anche quello di risalire all’origine dei conflitti che generano siffatte tendenze.

Il caso del piccolo Peter offrì alla Klein spunti di grande interesse. Il bambino immaginava che i due pupazzetti, rappresentanti egli stesso e il fratellino, erano in attesa della punizione da parte della madre per essersi comportati male ma la paura della punizione diventava così insopportabile da condurre i pupazzi a uccidere barbaramente padre e madre, i quali, resuscitati nella mente del bambino, tornavano e trucidavano, altrettanto barbaramente, i due figlioletti.

Il gioco, che si ripeteva sempre secondo le stessa modalità, evidenziava un nesso di circolarità tra gesti riprovevoli e punizioni, il che portava la Klein alla conclusione che “il desiderio di punizione”, che nel bambino è una causa determinante del suo continuo ripetere azioni riprovevoli, “si ritrova più o meno uguale nel criminale che continua a delinquere” (Klein, 2012, p. 30). Il bambino dunque sviluppa tendenze criminali quanto più teme di essere punito con altrettanta atrocità da parte dell’immaginario genitore che è l’oggetto delle sue fantasie aggressive.

Il senso di colpa del bambino, ingenerato da un Super – io altrettanto sadico, gioca un ruolo importante nella “coazione a ripetere continuamente azioni proibite”.

Riaffiora anche qui il criminale vittima del senso di colpa, evidente richiamo alla tipologia del delinquente per senso di colpa teorizzata da Freud nel 1916, reviviscenza a sua volta del nietzschiano “pallido delinquente”.

Ma Melanie Klein non si fermò alla generica, intuitiva definizione freudiana, spingendosi ben oltre nell’analisi delle tendenze distruttive nei bambini studiò il funzionamento del Super – io e il ruolo che rivestiva nella genesi dell’atto criminale. In particolare fu il caso di un piccolo paziente destinato a finire in riformatorio che offrì alla psicoanalista ulteriori elementi su cui riflettere.

Questo ragazzino di dodici anni, la cui madre era morta precocemente, era stato per lungo tempo sottoposto a continue violenze sessuali da parte della sorella e non riusciva ad avere rapporti con gli altri se non in maniera conflittuale. Le sue azioni criminose consistevano nello scassinare gli armadietti della scuola, nel rubare e nell’aggredire sessualmente le ragazzine della sua età. Secondo Melanie Klein la differenza tra questo piccolo delinquente e Peter, il ragazzino nevrotico, si radicava nel mancato sviluppo del Super – io che, nel primo ragazzo, era rimasto fissato al momento dell’esperienza dolorosa. Un Super – io primitivo e crudele produceva maggiore angoscia e dunque una forte rimozione che “bloccava ogni sbocco alla fantasia e alla sublimazione sicché non rimaneva altro che ripetere continuamente il desiderio e la paura in azioni dello stesso tipo di quelle subite” (Klein, 2012, p. 36).

Klein: l’atto criminoso conseguenza di un Super-io bloccato a uno stadio precoce

Melanie Klein si spingeva un gradino più avanti di Freud ipotizzando che l’atto criminoso trova la sua scaturigine nel senso di colpa e nell’angoscia azionate da un Super – io severo che operava in maniera diversa, essendo rimasto fissato a uno stadio precoce. Il crimine è dovuto dunque a un arresto dello sviluppo del Super – io e non alla sua carenza, come comunemente si crede. Naturalmente anche in questo itinerario criminologico, come in quello di Freud, i fattori sociali vengono sottovalutati e la loro importanza giudicata non rilevante.

Se le cause dello sviluppo criminale nel bambino si annidano nella evoluzione del Super – io, sull’analisi grava il compito, arduo e ambizioso, di modificare tale sviluppo e deviare le tendenze criminali allo stesso modo in cui si trattano le nevrosi. Il trattamento del delinquente si modella su quello delle altre patologie dell’anima, secondo il modello scientista di matrice positivista. L’analisi può guarire il ragazzo delinquente perché la delinquenza trova la sua origine in cause interne ai moti dell’anima e può riuscire nell’impresa perché non esistono bambini irrimediabilmente cattivi nei quali non si possa mobilitare la capacità di amare.

Ma che cos’è questa capacità di amare che l’analisi dovrebbe mobilitare e come si manifesta?

Nel Simposio tenutosi nel 1934 alla Medical Section della British Pasycoanalytical Society l’insigne psicoanalista tornò sull’argomento con una breve relazione dal titolo: Sulla criminalità. In questo breve scritto Melanie Klein ribadiva le conclusioni precedenti e avvertiva che anche nelle profondità della psiche del bambino delinquente si ritrova la capacità di amare. L’analisi del gioco aveva messo in evidenza che i bambini tormentati dall’angoscia distruggevano i giocattoli e ogni sorta di oggetti che si trovavano tra le mani ma poi, quando grazie all’analisi l’angoscia diminuiva, le tendenze sadiche ai attenuavano e il senso di colpa generava tendenze costruttive. Il bambino infatti si adoperava a ricostruire i giocattoli e gli oggetti che aveva distrutto (Klein, 2012, p. 75).

Klein: la tendenza a riparare che segue alla fase depressiva

Questa tendenza costruttiva, che la Klein chiamò tendenza a riparare, costituisce il sostrato della capacità di amare che nel delinquente è solo nascosta e rappresenta la sensazionale scoperta per la psicoanalisi infantile e non solo infantile. Ma da dove trae la sua origine questa tendenza a riparare?

Nello scritto “Sulla teoria dell’angoscia e del senso di colpa” del 1948 Melanie Klein fece risalire il senso di colpa e la tendenza a riparare a una particolare forma di angoscia, che definì depressiva, la quale nasce dal male inferto agli oggetti d’amore. Nella fase depressiva il bambino avverte che “l’oggetto leso dai suoi impulsi distruttivi è una persona amata”, da qui la tendenza a riparare, a “ridar vita agli oggetti d’amore”. Questa spinta a riparare ha inoltre una funzione strutturante e benefica per l’Io in quanto “rendendo all’oggetto d’amore la sua integrità ed eliminando tutto il male che gli è stato fatto, il bambino si garantirebbe il possesso di un oggetto pienamente buono e stabile la cui introiezione rafforza il suo Io” (Klein, 2012, p. 96).

In sintesi il senso di colpa nasce dal male cagionato agli oggetti d’amore e attiva le tendenze riparatorie. L’angoscia depressiva, il senso di colpa e la spinta a riparare, secondo la Klein, emergono “solo quando i sentimenti d’amore per l’oggetto predominano sugli impulsi distruttivi”, cioè quando, potremmo dire in termini freudiani, le pulsioni di vita prevalgono su quelle di morte.

Il senso di colpa dunque genera due tendenze: quella distruttiva e quella riparatoria, due forze contrapposte la seconda delle quali si aziona quando prevalgono i sentimenti di amore; da qui l’arduo compito dell’analisi di attivare quella capacità di amare di cui Melanie Klein parlava nell’articolo del 1927 e che si traduce nel riparare l’oggetto – persona danneggiato.

Le scoperte di Melanie Klein offrono notevoli spunti di riflessione in un momento come quello attuale segnato dalla recrudescenza della criminalità infantile soprattutto in relazione a reati particolarmente violenti. L’insegnamento della Klein costituisce un monito per tutti coloro che operano nella giustizia minorile, pedagoghi, educatori, psicologi, giudici, i quali dovrebbero adoperarsi per stimolare forme di riparazione a favore della persona offesa dal reato, risvegliando così, quella capacità di amare che giace nascosta nel cuore di ogni criminale.

Le scoperte di Melanie Klein offrono un contributo di non poco rilievo anche all’odierno dibattito sulla giustizia ripartiva. Nella visione più moderna del reato questo costituisce un fatto sociale o meglio fatto relazionale, cioè un evento che incrina una relazione tra due individui, relazione che va ricostruita per quanto possibile.

In questa ottica di idee la riparazione crea un contatto tra reo e persona offesa al fine di eliminare o quantomeno di attenuare le conseguenze derivanti dal reato. Riparare significa riflettere sulla propria condotta, sui propri errori e adoperarsi per ricostruire la situazione antefatta al reato, fin dove possibile.

Riparare è dunque un gesto consapevole ed è molto più che risarcire il danno, gesto il più delle volte rispondente a un disegno calcolante dell’imputato.

Infine, nell’ottica del recupero del delinquente e della sua risocializzazione, la riparazione rappresenta forse la forma più alta e più concreta di rieducazione.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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