Uno studio di Johnson e Foster dell’Università di Oxford, pubblicato su Nature Reviews Microbiology, offre una nuova prospettiva sulla relazione mente-corpo investigando i legami tra cervello, flora batterica e intestino.
Una crescente mole di studi sta documentando gli effetti dei microrganismi intestinali, il cosiddetto microbiota, sul cervello e sul comportamento, tanto da coniare un termine per descrivere questa relazione: asse microbiota-intestino-cervello (Rhee, Pothoulakis & Mayer, 2009).
Per esempio, studi animali hanno mostrato come il trapianto del microbiota fecale, da un ratto ad un altro, possa far sì che i tratti comportamentali del ricevente si accomunino con quelli del donatore (Bercik et al., 2011) o come i Lactobaccilli e Bifidobatteri possano ridurre sintomi ansiosi e depressivi sia negli animali che negli umani (Pinto-Sanchez, Hall et al., 2017).
In particolare è stato evidenziato come la specie dei Lactobacilli possa favorire le interazioni sociali in un gruppo di ratti sottoposto a condizioni stressanti ristabilendo la produzione compromessa di ossitocina (Bharwani, Mian, Surette et al., 2017).
È stato inoltre osservato come la specie dei Bacteroides sembrerebbe in grado di migliorare i comportamenti ripetitivi e ansiosi facilitando la produzione di uno specifico metabolita batterico (Hsiao, McBride, Hsien et al., 2013).
Sulla base di queste evidenze è lecito chiedersi quali siano i meccanismi che consentono al microbiota intestinale di influenzare il sistema nervoso e di conseguenza il comportamento e comprendere le ragioni per cui il microbiota influenza il comportamento dell’organismo ospite.
Manipolazione della flora batterica: uno studio sperimentale
A tal proposito Johnson e Foster, appartenenti la prima al dipartimento di psicologia sperimentale e l’altro a quello di zoologia di Oxford, hanno recentemente affrontato l’argomento suggerendo un’ipotesi evoluzionistica circa la manipolazione del comportamento da parte dei microorganismi batterici sull’organismo ospitante (Johnson & Foster, 2018).
Per spiegare gli effetti sul comportamento, l’ipotesi dei ricercatori prevede che essi si determinino come effetto secondario della manipolazione del microbiota sull’organismo ospitante.
Ogni tipo di manipolazione locale sull’ambiente intestinale da parte dei microorganismi produce degli effetti nel sistema neuro-enterico attraverso la comunicazione tra il sistema enterico e nervoso (Rao & Gershon, 2016). In particolare la flora intestinale sembra essere in grado di modulare la motilità intestinale tramite specifici metaboliti che, a loro volta, influenzano la produzione di serotonina nell’organismo ospitante tramite il nervo vago e i suoi neuroni afferenti (Forsythe & Kunze, 2013).
Alcuni sostengono anche che il microbiota possa influenzare il metabolismo e la disponibilità del precursore della serotonina, il triptofano che passando la barriera ematoencefalica aumenta i segnali serotoninergici nel sistema nervoso centrale (O’Mahony, Clarke, Borre et al., 2015).
Pare che la flora batterica abbia anche un ruolo cruciale nell’attivazione dei precursori della dopamina e della noradrenalina nell’intestino (Asano, Hiramoto et al., 2012).
Il microbiota può determinare degli effetti sull’umore e sul comportamento dell’organismo ospitante non solo tramite le connessioni dell’asse microbiota-intestino-cervello ma anche agendo sul sistema infiammatorio riducendo le risposte infiammatorie. Uno studio animale condotto da De Palma e colleghi (2017) ha evidenziato come un gruppo di topi, a seguito del trapianto di microorganismi fecali provenienti da animali con sindrome dell’intestino irritabile, mostrassero un comportamento ansioso solo quando in loro si attivava una risposta immunitaria.
Conclusioni
La raccolta di questi studi ha messo in luce i meccanismi, tramite i neurotrasmettitori e i collegamenti con il sistema immunitario, che consentono al microbiota di influenzare il comportamento dell’organismo ospitante.
Tuttavia Johnson & Foster (2018) hanno suggerito che queste influenze del microbiota possano essere dovute a quella che loro definiscono la “dipendenza dell’organismo ospitante”, per cui quest’ultimo sviluppa una dipendenza nei confronti del microbiota, dipendenza che occorre all’organismo per rispondere agli stati di malattia e relativi alla nutrizione.
Seguendo questa idea, per i ricercatori (2018) il normale funzionamento fisiologico dell’organismo ospitante dipenderebbe dal microbiota che fornisce all’organismo stesso informazioni circa lo stato relativo alla sua nutrizione, al senso di sazietà e al cibo.
L’organismo necessita di alcune informazioni basilari per poter sopravvivere e molte di queste provengono dall’asse microbioma-intestino-cervello; pertanto qualsiasi alterazione della composizione del microbioma intestinale, come nel caso dell’assunzione di antibiotici o una contaminazione batterica patogena, è associata a dei cambiamenti a livello delle funzioni cerebrali e del comportamento (Johnson & Foster, 2018). Da qui l’idea che alcuni ceppi di probiotici possano essere usati per migliorare e favorire la salute mentale (Wallace & Milev, 2017).