L’esperienza di craving è considerata una componente cruciale nella transizione da un bere controllato ad un vero e proprio problema di dipendenza (Robinson e Berridge, 1993) e uno dei principali fattori di mantenimento del comportamento di addiction legato all’ abuso di alcol.
Studi scientifici hanno evidenziato la natura eterogenea del craving nelle sue determinanti psicologiche e neurobiologiche, in quanto la sua insorgenza può essere il risultato di disfunzioni neurochimiche, bisogni fisiologici e sintomi psicofisiologici. Il craving infatti è definito come un desiderio/bisogno irrefrenabile di assumere una sostanza il quale, se non viene soddisfatto, può condurre a conseguenze negative sul piano fisico e psicologico (Caretti, La Barbera, 2010).
Abuso di alcol: una spiegazione neurobiologica
L’etanolo, come sostanza di abuso che può indurre dipendenza, agisce sui recettori dopaminergici implicati nei circuiti della gratificazione, rinforzando l’effetto positivo indotto dall’assunzione. L’alcol possiede anche un potente effetto sedativo che riguarda essenzialmente l’aumento dell’attività GABAergica, in quanto il GABA è il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale; in aggiunta, l’azione sedativa coinvolge il glutammato, neurotrasmettitore eccitatorio, la cui funzione viene ostacolata attraverso l’antagonismo dell’alcol sui recettori NMDA. In corso di disintossicazione l’attività GABAergica viene interrotta, mentre si assiste ad un aumento di glutammato; la concomitanza di queste modificazioni neurochimiche è una delle principali cause dei tipici sintomi riscontrabili durante periodi di astinenza, quali ansia e convulsioni (Heinz, 2003).
Il comportamento compulsivo di ricerca della sostanza è dunque psicobiologicamente motivato: l’alcolista sente un bisogno irresistibile di porre rimedio alla sofferenza conseguente la privazione della sostanza la quale, in precedenza, ha generato gratificazione e sollievo.
Diverse tipologie di craving
Alla fine degli anni Novanta dello scorso secolo, Verheul e collaboratori (1999) hanno descritto il craving secondo tre distinte tipologie, sulla base di differenti disregolazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella sua manifestazione, considerando inoltre come discriminanti le componenti psicologiche e la familiarità per l’alcolismo.
Il primo tipo, il reward craving, causato da una disregolazione dopaminergica/oppioidergica, ha un esordio precoce e si riscontra più di frequente in soggetti maschi con storia familiare di abuso di alcol. Questi soggetti sembrano avere un’ipersensibilità ai rinforzi positivi indotti dall’alcol e maggiore presenza di novelty/sensation seeking, per cui si riscontra un’incapacità di astenersi dal consumo della sostanza che possiede forti proprietà stimolanti.
Il secondo tipo, il relief craving, è la conseguenza di una disregolazione dell’attività GABA/glutammatergica, con una ipereccitabilità neuronale indotta dal glutammato e un’ipersensibilità agli effetti sedativi provocati dall’etanolo; esso ha quindi un effetto di “automedicamento” che consiste nella riduzione della tensione e degli affetti negativi attraverso l’assunzione di alcol. Ha un esordio tipicamente tardivo, si riscontra più di frequente nelle donne, e le caratteristiche di personalità peculiari comprendono ansia e/o inibizione.
Infine, l’obsessive craving, è il risultato di una disregolazione serotoninergica che causa perdita di controllo e presenza di compulsioni volte al raggiungimento della sostanza; alcuni studi hanno infatti osservato che durante l’intossicazione da alcol si assiste ad un incremento dei livelli di serotonina a livello del sistema nervoso centrale che però segue, a breve distanza, una drastica riduzione di quest’ultima, provocando un serio deficit serotoninergico. Dal momento che la carenza di serotonina è stata associata a disturbi legati a perdita di controllo dei propri impulsi, umore negativo e disfunzione dei processi cognitivo-attentivi, l’obsessive craving si ritrova spesso in individui con tratti di disinibizione.
Sulla base della distinzione suggerita da Verheul e colleghi, sono state proposte differenti tipologie di trattamento farmacologico che hanno preso in considerazione le caratteristiche individuali di ciascun paziente alcolista in corso di riabilitazione e che si sono focalizzate sulla comprensione dei diversi meccanismi sottostanti il craving (Addolorato, 2005). Da un punto di vista psicoterapeutico si dovrebbe auspicare la stessa meticolosità in quanto individuare i fattori all’origine del craving e del suo mantenimento significa aver chiari i bersagli per un intervento efficace.
Problem drinking: il ruolo delle credenze metacognitive
A questo proposito Spada e Wells (2010) hanno condotto indagini sulle credenze metacognitive maggiormente riscontrabili in soggetti con problemi di abuso di alcol (problem drinking) e con dipendenza conclamata, confrontandoli con un gruppo di controllo costituito da bevitori non problematici. Dopo la somministrazione di test per la valutazione delle credenze metacognitive positive e negative riguardo la regolazione emotiva e cognitiva (self-regulation) quali Positive Alcohol Metacognitions Scale (PAMS) e Negative Alcohol Metacognitions Scale (NAMS), sono stati osservati punteggi più alti nel campione con addiction, così come il campione problem drinking riporta valutazioni maggiori del campione di controllo. La metacognizione sembra dunque essere una determinante lungo il continuum che va da un bere sociale (social drinking) alla dipendenza, ed il craving che ne consegue rappresenta il risultato di processi metacognitivi disfunzionali che si ritrovano negli alcolisti.
Successive ricerche di Spada e colleghi (2012) hanno portato alla formulazione di un modello metacognitivo dell’alcolismo che prevede tre fasi distinte (Triphasic Metacognitive Formulation), ognuna delle quali presenta specifiche caratteristiche. Nella prima fase, Pre-Alcohol Use, i triggers legati all’ abuso di alcol che si presentano sotto forma di immagini, memorie, pensieri o esperienza di craving con le sue componenti psicofisiologiche, innescano credenze metacognitive positive circa l’utilità del pensare in modo continuativo all’utilizzo della sostanza: questa perseveranza si traduce in rimuginio, pensiero desiderante, ruminazione o la concomitanza di tutte e tre i processi. Il soggetto, ad esempio, può ritenere utile analizzare la propria esperienza di craving per capirne le cause, oppure presumere che il riflettere sugli effetti negativi dell’ abuso di alcol lo aiuterà ad evitarne il consumo in futuro. I processi di regolazione cognitiva messi in atto portano all’esacerbazione del craving e all’attivazione di credenze metacognitive circa la necessità di avere controllo sui propri pensieri, aumentando così la possibilità di fare uso di alcol.
La seconda fase, Alcohol Use Phase, in cui il soggetto assume la sostanza, è caratterizzata da credenze metacognitive positive che riguardano l’efficacia dell’alcol nel ridurre il rimuginio/ruminazione e nell’avere il controllo sui relativi pensieri, conducendo in realtà ad una compromissione del monitoraggio metacognitivo dei propri stati interni, deterioramento facilitato inoltre dagli effetti chimici negativi di un consumo persistente. Quando il bere problematico aumenta di frequenza e gravità, emergono le credenze metacognitive negative di incontrollabilità nell’uso di alcol e ciò contribuisce alla continuità nel suo utilizzo.
Nella terza e ultima fase, Post-Alcohol Use, si osserva l’emergere di una ruminazione post evento, in cui il soggetto analizza i motivi che lo hanno indotto a bere, interrogandosi sul perché provi certe sensazioni. L’effetto paradossale indotto dalla ruminazione è quello di accrescere i sentimenti negativi e le credenze metacognitive di incontrollabilità, aumentando nuovamente la possibilità di ricorrere all’utilizzo dell’alcol come tentativo di sopprimere i pensieri considerati dannosi. La circolarità con cui si presenza il problem drinking manifesta chiaramente la necessità di interrompere i processi di pensiero disfunzionali alla base del fenomeno, favorendo negli alcolisti la
consapevolezza e la capacità di autocontrollo.
Le evidenze scientifiche ed i costrutti teorici riguardo il craving, offrono una chiave di lettura indispensabile per comprendere in profondità i meccanismi sottostanti le esperienze psicofisiologiche di ciascun individuo dedito all’alcol. Ogni soggetto che fa abuso di alcol può presentare uno specifico tipo di craving (reward, relief, obsessive) o una combinazione delle varie tipologie proposte, per questo motivo un’attenta indagine clinica che analizzi i processi di pensiero (metacognizione), le componenti neurofisiologiche (rinforzi positivi/negativi), i comportamenti di ricerca della sostanza (compulsioni) l’anamnesi familiare e gli stili di personalità, potrebbe concretamente promuovere terapie farmacologiche e psicologiche ad hoc, favorendo la risoluzione delle problematiche connesse all’utilizzo disregolato di alcol ed evitando il più possibile ricadute.