Se è vero che siamo fatti della stessa natura dei sogni, quali sogni avranno attraversato la mente del temerario che per primo si è avventurato in quei territori sconosciuti e insidiosi?
Sulla scia di questa domanda Federico Tiezzi si spinge per affrontare l’ardua scommessa di portare in scena l’indicibile e l’irrappresentabile, il mondo onirico e il suo esploratore sommo, Sigmund Freud, pioniere di quel “dangerous method” capace di scardinare le porte più segrete e blindate pur di arrivare all’origine della sofferenza dell’anima.
Come raccontare tutto questo a teatro? La sfida congiunta di Tiezzi e del drammaturgo Stefano Massini, artefici al Piccolo Teatro Strehler dell’affascinante “Freud o l’interpretazione dei sogni” (repliche fino all’11 marzo), è duplice. Da un lato dare corporeità e umanità a quei primi grandi sognatori di cui Freud poco ci dice, ma a cui tanto deve in quanto fornitori di quella “materia prima” necessaria a edificare la sua scienza rivoluzionaria. Dall’altro, il tener conto del percorso ardimentoso che lui stesso ha da affrontare per inoltrarsi nei limacciosi meandri della psiche.
Memore dell’intuizione di Jung, “solo chi è ferito può curare“, Tiezzi affianca nello spettacolo il racconto e l’analisi dei sogni dei pazienti a quelli del loro sommo indagatore. Che riflettendosi nello specchio oscuro del transfert conosce e riconosce nevrosi e pulsioni inconfessabili e inconfessate, da codificare e incastrare con perizia sperimentale in un rebus enigmatico.
Nei severi panni di Sigmund Freud, Fabrizio Gifuni restituisce l’animo tormentato di un uomo di scienza alle prese con il dubbio, di un medico che procede per tentativi, dilaniato da conflitti, turbamenti, sensi di colpa. Tanto da arrivare talora, vedi gli incontri con il paziente Ludwing R. (Marco Foschi) o con la signora Elga K. (Sandra Toffolatti, a veri match, degni di un ring. Da cui anche lui, il Grande Mago dell’anima, ne esce con le ossa rotte, uomo in crisi tra uomini in crisi di una Bella Époque ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Il valzer di silhouettes che apre lo spettacolo evoca il fascino crepuscolare di un’Austria Infelix, dove la lieta malinconia degli Strauss cede già il passo alle ambigue luminescenze di “Verklärte Nacht” di Schoenberg, composta nel 1899, stesso anno in cui Freud scrive la sua “Interpretazione dei sogni“.
Quella Notte Trasfigurata pervasa da ossessioni di eros e di morte, diventa sulla scena lo spazio delle visioni, degli incubi, delle allucinazioni. Dalle tante porte che lo scandiscono, entrano lucertoloni verdastri, vagoni ferroviari affollati di ragazzi d’oro, cortei funebri che trascinano bare traballanti, incapaci di trovare una via d’uscita… E Freud stesso si ritrova tra loro, Edipo nudo, angosciato di non riuscire a seppellire suo padre.
Come angosciati e nudi sono gli uomini e le donne che bussano a quello studio affollato di tappeti e preziose statuette antiche, approdo estremo di un patire inconsolato, dove si arriva per interrogare l’oracolo. Talora la risposta salvifica arriva, talora no. L’acume di Freud coglie nel segno, ma non sempre medica le pene. Capire non basta a consolare. A volte chi soffre si sente solo una pedina di un gioco dell’indagine dove a vincere è solo il banco. E allora Tessa W. (Elena Ghiaurov) accusa lo “stregone” di usare il loro dolore per mettere a punto le sue teorie.
Un girotondo di esistenze perdute, talora ritrovate, talora smarrite per sempre. Un lungo viaggio dentro la testa di Freud, nel cuore di tenebra dell’io, del teatro, di un’Europa in disperata ricerca di una nuova identità.
Giuseppina Manin
Freud o l’interpretazione dei sogni – Teaser (VIDEO):