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La “macchina della memoria” ideata in Italia. Qual è la sua validità? La risposta attraverso l’analisi di alcuni casi di cronaca in cui è stato utilizzato questo nuovo strumento

L' Autobiographical Implicit Association Test, detto "macchina della memoria", è usato in tribunale per verificare la veridicità di un evento autobiografico

Di Guest

Pubblicato il 27 Feb. 2018

Si parla dell’ Autobiographical Implicit Association Test (a-IAT) e del suo utilizzo di certo innovativo: esso è stato il protagonista di alcuni casi di cronaca che gli hanno valso la nomina di “macchina della memoria”. L’obiettivo di questo strumento consiste nel verificare la veridicità di un evento autobiografico.

Chiara Proto

 

Il poligrafo, meglio noto a tutti come la macchina della verità, è uno strumento che misura e registra diverse caratteristiche fisiologiche di un individuo, come ad esempio la pressione del sangue o la respirazione, mentre il soggetto è chiamato a rispondere ad una serie di domande. Sulla base di queste premesse si va a valutare o meno la veridicità delle risposte date. Ma è veramente attendibile? L’idea di base è che mentire provochi effetti secondari fisiologici che dunque possono essere individuati e utilizzati come indicatori di menzogna. Ma simulare le reazioni fisiologiche non era impresa tanto difficile per i bugiardi professionisti.

La macchina della memoria

Se dunque la macchina della verità, ormai in disuso, sembra presentare non poche lacune, ecco che un nuovo strumento fa la sua apparizione proprio in Italia. Si parla dell’ Autobiographical Implicit Association Test (a-IAT), ideato da Sartori nel 2008 presso l’Università di Padova. La sua “creazione” non è recente ma il suo utilizzo è di certo innovativo, è stato il protagonista di alcuni casi di cronaca che gli hanno valso la nomina di “macchina della memoria”. L’obiettivo di questo strumento non consiste nel valutare se il soggetto sta dicendo la verità o meno quanto verificare la veridicità di un evento autobiografico, quello che è possibile indagare grazie allo strumento è solo quello che il cervello del soggetto ricorda come veritiero, ma non è la verità assoluta (Sartori, 2015).

L’ Autobiographical Implicit Association Test è una ‘modifica’ dell’Implicit Association Test (IAT) (Greenwald, et al. 1998), uno strumento molto utilizzato e molto conosciuto tra gli psicologi sviluppato per studiare gli atteggiamenti e le opinioni spontanee delle persone. Lo IAT è un compito che viene svolto al computer, consiste in una serie di prove di categorizzazione e in ognuna di queste prove al centro del monitor compare uno stimolo che deve essere classificato il più velocemente ed accuratamente possibile. Nello specifico, per quanto riguarda il contesto giuridico, il procedimento della macchina della memoria consiste nel sottoporre il soggetto a questo test computerizzato durante il quale deve rispondere a delle frasi che descrivono il ricordo da “validare”. Solitamente queste frasi rappresentano una ricostruzione secondo l’ipotesi accusatoria e una ricostruzione secondo l’ipotesi difensiva, solo una delle due frasi può essere vera. La memoria vera viene riconosciuta in quanto può essere “raggiunta” più velocemente mentre quella falsa ha un percorso cerebrale più “tortuoso” che si riflette in un allungamento abnorme dei tempi di reazione (Sartori, 2008).

Dunque l’ a-IAT, usato come tecnica di rilevamento di una bugia, ha una serie di caratteristiche uniche rispetto alle tecniche tradizionali psicofisiologiche di rilevamento o più recenti come la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Ad esempio, può essere somministrata rapidamente (10-15 minuti), si basa su un’analisi senza equipaggio (non è necessaria la formazione per l’utente) e richiede attrezzature di bassa tecnologia (un computer standard è sufficiente).

È chiaro che, come tutti gli strumenti utilizzati dagli esperti nel processo forense e investigativo, bisogna sempre prestare cautela alle tecniche cui si fa ricorso, le quali, oltre che scientificamente approvate, devono essere accuratamente scelte in base a ciò che si vuole indagare, al soggetto con cui si ha a che fare e devono essere inserite all’interno di un’ampia batteria di test.

L’ Autobiographical Implicit Association Test nella pratica

Questa “macchina della memoria” ha da subito riscosso successo all’interno della comunità scientifica, è stata anche ben accolta dall’opinione pubblica in quanto è entrata in scena in casi di cronaca molto conosciuti nel nostro paese: il delitto di Cogne e il caso di Como.

Il delitto di Cogne

Il delitto di Cogne, avvenuto nel 2002, è divenuto sin dall’inizio un caso mediatico di forte impatto. In questo processo la perizia psichiatrica fatta da esperti ha svolto un ruolo determinante. Ripercorriamo brevemente la vicenda. Nel gennaio del 2002 in una cittadina valdostana, Cogne, viene rinvenuto il cadavere di un bimbo di appena tre anni. A trovare il bambino e a chiamare i soccorsi è la madre, Annamaria Franzoni. Già pochi mesi dopo il delitto la madre viene considerata colpevole e, dopo una serie di vicissitudini giudiziarie, nel 2008 verrà condannata in via definitiva dalla Corte di Cassazione, a 16 anni di carcere. Giungere alla definizione di colpevolezza non è stato semplice, molti sono stati i processi e i ricorsi nonché le perizie effettuate. La donna fu individuata fin dall’inizio come unica responsabile dell’omicidio e la sua personalità, già nel primo processo, fu oggetto di rilievi psicologici e psichiatrici da parte degli esperti. Le perizie psichiatriche, effettuate dal professor Fornari, delinearono il profilo di una donna con una personalità affetta da “nevrosi isterica”, cioè portata alla teatralità e alla simulazione perché incapace di elaborare in modo maturo le problematiche della quotidianità. Dalle indagini effettuate inoltre emerse che la donna aveva spesso lamentato un malessere dopo la nascita del figlio, malessere che era stato blandamente curato con un leggero antidepressivo, non è mai stato accertato però se soffrisse di depressione post-partum o se fossero solo dei sintomi transitori, in seguito verrà anche ipotizzato che la Franzoni soffrisse di attacchi di panico.

Tra i vari strumenti utilizzati durante le perizie, troviamo l’ Autobiographical Implicit Association Test. Il quesito posto dal giudice ai periti era di accertare se la donna avesse “in memoria l’omicidio del figlio Samuele come fatto riconducibile ad una sua azione”, facendo ricorso all’ Autobiographical Implicit Association Test è emerso che Annamaria Franzoni <<ha un “ricordo autobiografico chiaro dei fatti relativi all’omicidio” e che esso “corrisponde alla verbalizzazione ripetutamente fornita nel corso del processo”: in altri termini nel 2009, e cioè nel momento in cui sono stati somministrati i test sopraindicati, la ricostruzione dei fatti dell’omicidio fissata nella memoria di Annamaria Franzoni, in base alle risultanze di tali test, è effettivamente quella che ha raccontato nel corso del processo>> (Trib. Torino, ud. 19 aprile 2011, Franzoni e altro, Est. Arata). Ciò vuol dire che il test usato dai consulenti dimostrerebbe che l’imputata, quando racconta ciò che accadde la mattina dell’omicidio, non mente ma espone quello che ricorda come essere accaduto realmente. Nella mente della donna non c’è memoria del delitto, essa ha un ricordo di sé come innocente. Affermare ciò non vuol dire che lei sia realmente innocente ma è probabile che abbia semplicemente cancellato quel ricordo, attraverso un tipo di rimozione definita “amnesia lacunare psicogena” (Sartori, 2015).

Il caso di Como

Nel 2009, in un paese nella provincia di Como, Stefania Albertani viene arrestata in quanto colta in fragranza di reato mentre tenta di dar fuoco alla madre. L’intervento tempestivo delle forze dell’ordine è dovuto alle intercettazioni ambientali cui la donna era soggetta in quanto sospettata della sparizione della sorella. Si scoprirà infatti che Stefania Albertani aveva ucciso la sorella maggiore segregandola in casa e costringendola ad assumere psicofarmaci in dosi letali che ne avevano causato il decesso. Il Gip condannerà l’imputata a venti anni di reclusione riconoscendole un vizio parziale di mente per la presenza di «alterazioni» in «un’area del cervello che ha la funzione» di regolare «le azioni aggressive» e, dal punto di vista genetico, di fattori «significativamente associati ad un maggior rischio di comportamento impulsivo, aggressivo e violento» (Gip Como, 2011). L’imputata viene sottoposta a diverse perizie. I periti concludono che la donna è affetta da psicosi dissociativa per cui le viene riconosciuto un vizio parziale di mente. Inoltre, dato che l’imputata afferma di non ricordare nulla del crimine, viene sottoposta all’ Autobiographical Implicit Association Test utilizzato in questo caso per verificare se una certa informazione è codificata nel cervello di Stefania come traccia mnesica oppure no. Da questo strumento emerge che l’imputata dice la verità quando afferma di non ricordare i particolari del crimine in quanto non viene segnalato alcun rallentamento nei tempi di reazione, dunque Stefania Albertani ha un’amnesia dissociativa e non è una simulatrice.

Lo IAT non è certo un mezzo di prova ma uno strumento tecnico atto a fornire informazioni al perito, informazioni che hanno per oggetto il contenuto autobiografico della memoria del periziando. È chiaro che, come tutti gli strumenti utilizzati dagli esperti nel processo forense e investigativo, bisogna sempre prestare cautela alle tecniche cui si fa ricorso le quali, oltre che scientificamente approvate, devono essere accuratamente scelte in base a ciò che si vuole indagare e al soggetto con cui si ha a che fare e devono essere inserite all’interno di un’ampia batteria di test.


Vedi anche: Psicologia Giuridica e Peritale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Curci A., Lanciano A., Maddalena C., Mastandrea S., Sartori G., Flashbubl memories of the Pope’s resignation: explicit and implicit measures across differing religious groups. Memory. 2015, 23, 529–544
  • Greenwald A. G., McGhee, D. E., & Schwartz, J. L. K. Measuring individual differences in implicit cognition: The Implicit Association Test. Journal of Personality and Social Psychology, 1998, 74, 1464-148
  • Sartori G., Agosta S., Zogmaister C., Ferrara S. D., Castiello, U., How to accurately assess autobiographical events. Psychol. Sci., 2008, 18, 772–780
  • Agosta S., Ghirardi V., Zogmaister C., Castiello U., Sartori G., Detecting Fakers of the autobiographical IAT, Applied Cognitive Psychology, Appl. Cognit. Psychol. (2010) Published online in Wiley Online Library (wileyonlinelibrary.com).
  • Trib. Torino, ud. 19 aprile 2011, Franzoni e altro, Est. Arata
  • Gip Como, 20.05.2011, in Guida al diritto (on line), 30 agosto 2011, con nota di MACIOCCHI, Gip di Como: le neuroscienze entrano e vincono in tribunale
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