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The place (2017): riflessioni sul film – Cinema e Psicologia

The Place è il nuovo film di Paolo Genovese, carico di domande di natura psicologica, come il confronto tra Eros e Thanatos e tra Io e Super-Io.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 11 Gen. 2018

The Place: Un uomo seduto a un bar, sempre allo stesso posto; intorno a lui, una ruota di persone in attesa, tutte con dei desideri da realizzare, con qualcosa da recuperare o da conquistare, che si alternano, in evidente ansia o determinazione, a quel tavolo. Donne e uomini disposti a qualunque cosa pur di ottenere quel che il loro cuore desidera, per sé o per i propri cari. Il nuovo film di Paolo Genovese, The Place, già dalle prime scene appare denso di enigmi, carico di domande a cui l’uomo comune stenterebbe a dare una risposta decisa, convinta, senza ripensamenti.

 

Riflessioni psicanalitiche sul film The Place

“Cosa siete disposti a fare per ottenere ciò che volete? Io vi dico quello che dovete fare e, se lo porterete a termine, otterrete quello che desiderate” è la cantilena dell’uomo seduto che, come l’Es di freudiana memoria, contiene, giustifica ed esalta l’Eros di quella molteplicità di storie e personaggi (la donna che progetta di ottenere un bacio all’insegna del tradimento per far ingelosire il proprio uomo e far rinascere la passione scemata, l’uomo che vuole possedere una donna da copertina solo per una notte, la donna che si vede brutta ed è disposta a compiere una rapina a danno di una cara amica per pagare la costosissima operazione chirurgica che le cambierà la vita, la donna a cui viene chiesto di fabbricare una bomba da far esplodere in un luogo pubblico per far guarire il marito dall’Alzheimer), raffigurando nel contempo le richieste brutali e sanguinarie del Thanatos, chiamato all’appello come garanzia di appagamento per quell’Eros frustrato.

Serbatoio di amore e morte, quell’uomo seduto allo stesso posto, che ascolta pazientemente i dettagli più macabri, senza mai scomporsi “come uno psicologo che vuole creare un ambiente amichevole” e registra giornalmente i progressi nella realizzazione di ciascun desiderio, testimoniando le tappe di un dialogo diabolico tra desiderio cieco di possesso o rivincita e limite morale.

E qui riecheggia nitidamente l’Ombra cara a Jung, proiettata sull’uomo seduto, di cui nulla è dato di sapere della storia personale, proprio come la forma indistinta e anonima di un male dalle sembianze insospettabili, innocue e perciò stesso pericolosissimo.
Perché, se forse non tutti saranno disposti a fare ciò che la grande agenda da cui l’uomo dispensa le prove e i premi dispone per ciascuno (compito maledetto in cambio della realizzazione del desiderio bramato) tutti sono disposti a puntare il dito sulla malvagità inaccettabile di quell’uomo sapiente, magico, “che sa quello che chiede” eppure “che chiede cose così orrende”.

Ecco però che l’Ombra, proiettata su uno sconosciuto e colpevolizzata delle peggiori mostruosità, replica alle accuse, chiarendo subito “Chiedo queste cose solo perché c’è chi è disposto a farle; tu hai ucciso per te, non per me” riportando l’attenzione sulla dualità intrinseca del bene e del male che appartiene alla natura umana, e sulla partecipazione del soggetto alla scelta del male.

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL TRAILER:

C’è qualcosa di terribile in noi. Non sempre siamo liberi di scegliere” qualcuno riconoscerà infatti a un certo punto dando avvio ad alcuni interrogativi che si snodano per tutta la durata del film: che ruolo ha l’Io freudiano e il censore Super Io nell’inibire l’espressione indiscriminata del male in nome di un bene egoistico? E’ davvero l’Io impotente, schiavo, di fronte all’urgenza dei desideri, cedevole in nome di essi nel sacrificare elementi quali la civiltà, il buon senso e l’altruismo, e il Super Io del tutto inefficace a regolare il narcisismo insito in certe scelte personalistiche? Si può ancora parlare di libertà come svincolo da un destino di barbarie e violenze, come compromesso tra i propri e gli altrui diritti di godimento e sicurezza? Che ruolo ha la profezia che si autoavvera di Merton nel determinare l’ineluttabilità di un destino segnato dalla strage, causato nient’altro che dalla (disperata?) assenza di soluzioni alternative al “male a fin di bene?”.

E’ possibile astenersi dal male?

E allora tutta la portata psicologica di The Place consiste a mio avviso nella soluzione a questi due interrogativi. E’ davvero possibile astenersi coscientemente dal male? Come equipaggiarsi di un Io robusto, cosciente del male attuabile e di cui deve rispondere in prima persona, e “custode di altre alternative possibili” in nome di una libertà che salva dall’“essere noi stessi il mostro che additiamo negli altri”? Quanto invece è inevitabile disconoscere l’Ombra, e quanto tale negazione/proiezione gioca un ruolo determinante nel deresponsabilizzare l’Io nella scelta di dire NO, in un nome di un destino (di comodo) fondato sul meccanismo psicologico della diffusione della responsabilità, che permette all’Es di travalicare le barriere della piena responsabilità morale?

Riuscirà insomma alla fine del film The place, la donna traditrice a riconquistare il proprio uomo macchiando il proprio amore di tradimento e sottraendo con l’inganno un altro uomo a una donna ignara? E l’uomo avido di sesso, dichiaratamente preferito alla costruzione di una famiglia che non saprebbe gestire, riuscirà a trascorrere una notte di passione senza freni, anche se sarà messa a repentaglio la vita di una bambina? Ancora ce la farà la donna che si crede poco avvenente a derubare una cara amica pur di raggiungere il suo scopo? E la povera moglie che farebbe di tutto per restituire la salute al marito malato cederà al mostro interiore che le indica la via della strage di poveri innocenti quale soluzione al dolore che la attanaglia e che la renderà “non più lei?”.

Tutti allora al cinema per un finale che riserva (forse) sorprendenti alternative!

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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