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Il significato della metacognizione nella terapia metacognitiva interpersonale e nella terapia metacognitiva

La metacognizione assume diversi significati nella terapia metacognitiva interpersonale e nella terapia metacognitiva e ciò ha delle implicazioni cliniche

Di Rossana Piron

Pubblicato il 29 Gen. 2018

Negli ultimi 20 anni la terapia cognitiva è andata incontro a numerose rivoluzioni sia in ambito teorico che in ambito clinico. Uno dei concetti di base della teoria cognitiva che ha subìto recenti sviluppi è quello di metacognizione, che troviamo protagonista sia nella terapia Metacognitiva Interpersonale che nella terapia Metacognitiva. Tuttavia, all’interno di questi due modelli, il concetto assume significati diversi, dalla definizione teorica alle implicazioni in ambito clinico.

Rossana Piron, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

La Metacognizione nella Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI)

Nel modello della Terapia Metacognitiva Interpersonale, il concetto di metacognizione fa riferimento a tutte quelle funzioni mentali che permettono all’individuo di avere una rappresentazione degli stati mentali propri e altrui, di riflettere su di essi e di usare tali conoscenze per affrontare in modo efficace situazioni problematiche dal punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale (Di Maggio e Semerari, 2003).

Secondo questo approccio tutti noi compiamo continuamente atti metacognitivi per identificare e comprendere cosa proviamo, cosa ci spinge ad agire, e per formarci una visione integrata di noi stessi in relazione al mondo. Utilizziamo la metacognizione anche quando cerchiamo di capire gli stati mentali degli altri. La definizione di metacognizione con queste accezioni ha molto in comune con gran parte delle funzioni analizzate nell’ambito della Teoria della Mente, della cognizione sociale, dell’alessitimia e della mentalizzazione (Popolo et al., 2014).

La TMI nasce come chiave di lettura e strumento clinico per i disturbi di personalità, con particolare attenzione ai pazienti inibito-coartati. Questa tipologia di pazienti è caratterizzata da povertà narrativa, difficoltà di accesso alle proprie rappresentazioni e scarso senso di agency (Di Maggio et al., 2013). Secondo Di Maggio, Semerari e coll. (2007) è grazie al riconoscimento degli stati mentali propri e altrui che diventa possibile riflettere su di essi e compiere degli atti decisionali, risolvere problemi interpersonali, padroneggiare la sofferenza soggettiva e negoziare in modo efficace i propri desideri con gli altri.

Le funzioni metacognitive analizzate nella TMI sono tre, ognuna delle quali comprende specifiche sotto-funzioni che agiscono in modo relativamente indipendente e a un grado di complessità crescente.
1) Autoriflessività: si intende l’abilità di pensare, comprendere e ragionare sui propri stati mentali. E’ composta dalle sotto-funzioni di monitoraggio (capacità di identificare pensieri, credenze ed emozioni), differenziazione (capacità di assumere distanza critica dalle proprie convinzioni) e integrazione (abilità di mantenere una visione unitaria di sé, indipendentemente dall’alternarsi di stati mentali diversi).
2) Comprensione della mente altrui: fa riferimento alla capacità di comprendere e di riflettere sugli stati mentali degli altri. Comprende la sotto-funzione di decentramento, che consiste nella capacità di mettersi nei panni degli altri cercando di operare delle inferenze sui loro stati mentali indipendentemente dalla propria prospettiva, dal proprio coinvolgimento nella relazione e dal proprio modo di interpretare gli eventi.
3) Mastery: insieme delle modalità che il paziente mette in atto per fronteggiare le situazioni in modo consapevole. E’ un processo metacognitivo di controllo che consiste nell’utilizzare le conoscenze psicologiche per decidere, formulare strategie, risolvere i conflitti interpersonali. Il presupposto di base è la capacità di rappresentarsi gli stati mentali problematici o le situazioni conflittuali come problemi psicologici da risolvere in modo attivo.

La terapia Metacognitiva Interpersonale agisce favorendo lo sviluppo delle funzioni metacognitive, a partire dalle più semplici che in terapia sembrano mal funzionanti. Si utilizzano tecniche specifiche mirate all’acquisizione stabile di un funzionamento metacognitivo. Per promuovere le singole funzioni non si segue un percorso lineare, ma è necessario muoversi avanti e indietro all’interno della terapia per rinsaldare funzioni precedentemente acquisite ma che possono risultare fallimentari in un contesto diverso.

La Metacognizione nella Terapia Metacognitiva (MCT)

Nella Terapia Metacognitiva di A. Wells la metacognizione non è vista come abilità o funzione, bensì come l’insieme dei fattori che governano la valutazione, il monitoraggio e il controllo delle cognizioni. Tali fattori si possono dividere in credenze, esperienze e strategie. Per credenze metacognitive si intende l’insieme delle idee e delle teorie che ognuno di noi ha rispetto al contenuto dei propri pensieri. Ad esempio, possiamo credere che alcuni pensieri siano dannosi per la nostra salute, oppure che ci accadrà qualcosa di brutto a causa di pensieri che abbiamo avuto nella mente. Le credenze influenzano l’importanza che attribuiamo ai pensieri e quindi hanno delle ripercussioni sulla modalità con la quale reagiamo a tali pensieri. Le esperienze metacognitive fanno riferimento alla modalità con la quale le persone valutano le situazioni e le sensazioni che riguardano la propria condizione mentale. Nella MCT si presuppone che giudicare negativamente i propri pensieri non faccia altro che alimentare la percezione della minaccia, condizione che porta a giustificare i successivi sforzi volti a monitorare il proprio pensiero. Infine, le strategie metacognitive sono l’insieme delle tattiche che gli individui mettono in atto per controllare e modificare i propri pensieri; ad esempio, concentrarsi sulla minaccia in modo da essere pronti ad affrontare tutti gli eventuali imprevisti.

La metacognizione non si limita quindi a un esercizio di autoconsapevolezza dell’esperienza interna, ma include l’autoregolazione del funzionamento mentale (Caselli, 2014). Questa definizione deriva dagli studi nell’ambito della psicologia dello sviluppo e, in seguito, ha trovato applicazione nella psicologia della memoria, nella psicologia dell’invecchiamento e nella neuropsicologia. Solo di recente è stato riconosciuto che la metacognizione è una base fondamentale per la maggior parte dei problemi psicologici (Wells, 2012).

L’idea che la metacognizione valuti, monitori e controlli il funzionamento cognitivo presuppone la distinzione tra due livelli di funzionamento mentale, un livello oggetto e un livello metacognitivo (Nelson e Narens, 1990). Nel livello oggetto gli individui considerano pensieri e credenze come dati di realtà, non sono in grado di distinguere ciò che appartiene internamente alla coscienza da ciò che appartiene alla realtà. Dal punto di vista clinico, questo tipo di funzionamento è un fattore di rischio perché ostacola la possibilità di modificare le credenze e le strategie che mantengono il malessere e perché favorisce la percezione di credenze e strategie come dati di realtà e non come scelte personali. Ad esempio, nella modalità oggetto il rimuginio è visto come atto necessario per risolvere problemi; trattandosi spesso non di problemi reali bensì di ipotesi negative sul futuro, questi problemi non possono essere risolti, quindi il rimuginio non può terminare e la regolazione dello stato d’ansia non può essere raggiunto.

L’unico modo per smettere di rimuginare non è quello di trovare soluzioni, ma di raggiungere una posizione diversa, distaccata, rispetto ai propri eventi mentali. In questo caso, la soluzione consiste nel vedere il rimuginio come un atto volontario che riduce le possibilità nell’individuo di operare scelte diverse. Per raggiungere questa consapevolezza occorre però spostarsi sul secondo livello di funzionamento, quello metacognitivo, che in quest’ottica non è altro che la capacità di raggiungere una posizione distaccata rispetto ai propri stati interni. La funzione metacognitiva si riduce così a un’unica capacità di valutare i propri stati interni come eventi mentali, indipendentemente dal fatto che si riferiscano a idee su di sé, sugli altri o sul futuro (Caselli, 2017).

Questa è la sostanziale differenza tra auto-consapevolezza e meta-consapevolezza, ovvero la consapevolezza di sé, così come la capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui, può avvenire a un livello oggetto, cognitivo, oppure a un livello metacognitivo.

Infine, sempre secondo la MCT, il passaggio dal livello oggetto al livello metacognitivo non è frutto di una capacità più o meno sviluppata, ma è una funzione che tutti hanno, il punto è che spesso gli individui la utilizzano su certi pensieri e non su altri. L’obiettivo della terapia quindi non è sviluppare specifiche funzioni metacognitive, bensì mostrare agli individui che possiedono questa capacità e che, usandola normalmente su alcuni pensieri, possono imparare a utilizzarla anche in risposta a quei pensieri che per loro sono particolarmente salienti o disturbanti. Ad esempio, gli individui possono scoprire che il rimuginio non è incontrollabile né necessario o utile per trovare delle soluzioni ai problemi, soprattutto per quelli che devono ancora realizzarsi nella realtà.
La Terapia Metacognitiva si è dimostrata particolarmente efficace nella cura dell’ansia e della depressione.

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Rossana Piron
Rossana Piron

Tecnico di Riabilitazione Psichiatrica, Psicologa clinica

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Caselli G. (2014), Le metacredenze, il rimuginio e la ruminazione, in C. La Mela (a cura di ), Fondamenti di terapia cognitiva, ed. Maddali e Bruni, Firenze.
  • Caselli G., Ruggiero G.M., Sassaroli S. (2017), Rimuginio. Teoria e terapia del pensiero ripetitivo, ed. Cortina, Milano.
  • Di Maggio G., Semerari A. (a cura di, 2003), I Disturbi di Personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazioni, cicli interpersonali, R. Cortina, Milano.
  • Di Maggio G., Montano A., Popolo R., Salvatore G. (2013), Terapia Metacognitiva Interpersonale dei disturbi di Personalità, Ed. cortina, Milano.
  • Nelson T.O., Narens L. (1990), Metamemory: A theoretical frame work and some new findings, in G.H. Bower (ed.), The Psychology of Learning and Motivation, Academic Press, New York.
  • Popolo R., Di Maggio G., Salvatore G. (2014), Le funzioni metacognitive: definizione e trattamento delle disfunzioni cognitive, in C. La Mela (a cura di), Fondamenti di terapia cognitiva, ed. Maddali e Bruni, Firenze.
  • Wells A. (2012), Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione, ed. Eclipsi, Firenze.
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