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Disturbo di ansia sociale: dalla diagnosi al trattamento – A Palermo un seminario di studi

Il 30 Novembre a Palermo presso l’Istituto Gabriele Buccola si è tenuto un seminario di studi sulla diagnosi e il trattamento del disturbo di ansia sociale.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 28 Dic. 2017

Aggiornato il 29 Mag. 2019 10:07

Paura intensa del giudizio altrui nelle situazioni sociali, con conseguente evitamento della maggior parte delle comuni attività sociali (parlare in pubblico, esprimere la propria opinione in gruppo) e compromissione globale del funzionamento della persona: questi i tratti caratteristici del Disturbo di ansia sociale, oggetto del seminario che si è tenuto a Palermo lo scorso 30 Novembre presso l’Istituto Gabriele Buccola (IGB), Scuola di Psicoterapia Cognitiva.

 

Il disturbo di ansia sociale: il continuum dalla timidezza al disturbo evitante di personalità

Un evento denso di contenuti, che ha approfondito gli aspetti nosografici, etiopatogenetici e terapeutici di un disturbo a esordio precoce, decorso cronico e con frequenti associazioni con una varietà di disturbi come la depressione e l’abuso di sostanze.

Il disturbo di ansia sociale si pone lungo un continuum ingravescente che parte dalla timidezza come tratto normale di personalità fino al Disturbo Evitante di personalità – spiega Andrea Gragnani, psicologo psicoterapeuta a Roma, Docente IGB e fondatore dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo Compulsivo (AIDOC) – Mi voglio qui riferire in particolare alla timidezza patologica come paura eccessiva dell’estraneo che può considerarsi un precursore del Disturbo di ansia sociale se non riconosciuta in tempo”.

Riguardo alla diagnosi differenziale con il Disturbo Evitante di Personalità (DevP) – continua il docente – appare necessaria una corretta distinzione dei due disturbi. Nel disturbo evitante le prime difficoltà sociali sembrano legate più che all’ansia e a esperienze di alienazione dal mondo, con esordio intorno alla prima infanzia, laddove nel Disturbo di ansia sociale l’esordio delle prime difficoltà sociali avviene intorno ai 13 anni”.

Le credenze alla base del disturbo di ansia sociale

Qual è allora, da una prospettiva strettamente cognitiva, il nucleo centrale delle credenze intorno alle quali il Disturbo di ansia sociale si costruisce e mantiene?

La caratteristica centrale del Disturbo di ansia sociale è il timore di manifestare sintomi di ansia, imbarazzo e vergogna che saranno valutati inevitabilmente dagli altri come incapacità o debolezza di carattere, il che può avere un risvolto pratico in occasioni specifiche, come un colloquio di lavoro. Il giudizio degli altri è cruciale nello sviluppo dell’ansia, in quanto esso è il metro della propria autostima. Insomma, l’obiettivo del soggetto è fare bella figura, uno scopo che l’individuo sente minacciato dall’ansia che si presenterà immancabilmente se egli metterà in atto il comportamento problematico, come parlare in pubblico”.

Ansia e vergogna, due cardini del disturbo, a cui si associa un ulteriore aspetto problematico, noto come matavergogna.

La vergogna, insieme all’ansia, segnala all’esterno la consapevolezza del soggetto delle proprie incapacità e debolezze di carattere, del suo essere estremamente dipendente dal giudizio degli altri, che lo ritengono “non in grado di”, da cui il passaggio successivo alla metavergogna, ovvero al provare vergogna della propria vergogna, con un’esplosione vegetativa di tachicardia, tremore, rossore, malessere gastrointestinale, contrazioni muscolari, attivamente evitati con l’uso massiccio dell’evitamento”.

Un problema invalidante che getta le sue radici in fattori di ordine interno ed esterno; nel primo caso, si ricorda il temperamento timido come fattore di rischio per lo sviluppo del Disturbo di ansia sociale e uno stile cognitivo che attribuisce elevato valore al giudizio negativo degli altri, mentre tra i fattori esterni notevole influenza hanno le problematiche familiari a carattere psicopatologico e uno stile educativo improntato all’utilizzo della vergogna.

Un disturbo che comporta notevoli costi sociali, economici e individuali, resistente alla diagnosi e perciò spesso trattato tardivamente.
I pazienti con Disturbo di ansia sociale chiedono raramente aiuto per paura del giudizio altrui, incluso il clinico, e se lo fanno in media saranno passati dieci o quindici anni dall’esordio della malattia – precisa Gragnani – Ecco che la terapia si pone l’obiettivo di modificare la rappresentazione interna di vulnerabilità del soggetto attraverso una ristrutturazione cognitiva dei pensieri ansiogeni (essere scemo, fare una brutta figura) e la loro sostituzione con pensieri più funzionali. Accanto alle strategie più propriamente cognitive si affiancano strategie di tipo comportamentale, quali l’esposizione graduale alle situazioni temute, la conseguente disattivazione dell’evitamento esperienziale quale comportamento protettivo, e l’addestramento al padroneggiamento di abilità relative al contatto oculare, alla voce e alla postura. E’ poi utile abbinare training di rilassamento e respirazione per controllare i sintomi fisici dell’ansia e addestrare il soggetto a sviluppare migliori abilità sociali attraverso role-playing e training specifici svolti in gruppo, anche in vista della gestione delle ricadute nel tempo del disturbo”.

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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