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Basta un Nudge e lo zucchero va giù

Il Nudge Italia opera per promuovere comportamenti tesi al benessere personale e uno di questi può essere quello di moderare la quantità di zucchero assunta

Di Marianna Vaccaro

Pubblicato il 15 Nov. 2017

Aggiornato il 04 Dic. 2017 11:00

Obiettivo del Team Nudge Italia è lavorare sul contesto e strutturare ambienti che promuovano comportamenti funzionali al benessere individuale e sociale. Il Nudge è un approccio applicabile in moltissimi campi, dalla lotta all’obesità, al risparmio energetico, al sistema pensionistico (Costa e Kahn, 2013; Just & Wansink, 2009; Thaler e Benartzi, 2004).

 

Quanto zucchero va assunto al giorno?

La mattina, quando entro in un bar per sorseggiare un caffè, il mio sguardo cade per qualche istante sui clienti al banco, i loro volti, la loro postura, i loro abiti, e da qualche tempo, da quando ho approfondito le mie conoscenze sul Nudge, l’occhio cade anche sul numero di bustine di zucchero richieste e consumate che restano nei piattini dei clienti e poi finiscono nella spazzatura. I gestori riferiscono che sul mercato sono presenti diverse versioni: canna, bianco, fruttosio, dolcificante e che al momento dell’acquisto delle bustine di zucchero dal grossista, non si chiedono quale sia la quantità di zucchero contenuta in ciascuna bustina ma pongono attenzione al prezzo dell’intero lotto di pacchetti, sulla base del peso totale della confezione acquistata. Sorge il dubbio che lo zucchero contenuto nelle singole bustine sia eccessivo rispetto alla quantità necessaria per rendere gradevole l’espresso ma l’essere umano tende a non porsi il problema, normalmente utilizza la bustina che trova all’interno del locale, senza chiedersi la quantità di zucchero (in grammi) in essa contenuta.

Il momento caffè in Italia non è solo una grande storia artigianale e industriale, con il tempo ha assunto un’identità diventando quasi un rito. È sinonimo di “pausa” per chi lavora in ufficio, di conoscenza e aggregazione tra colleghi, di risveglio e buongiorno al mattino o di ripresa nel primo pomeriggio. D’altra parte, gli individui hanno difficoltà nel consumo consapevole e nel calcolo effettivo delle calorie ingerite durante la giornata, compreso il consumo di zucchero. Per questo il caffè, elemento di unione e condivisione, è anche associato al consumo di zucchero e quindi al tema dell’obesità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2015) prevede come limite massimo di zuccheri liberi che si possono assumere durante la giornata una quantità non superiore al 10% dell’apporto complessivo di calorie ingerite. Questa indicazione non si riferisce agli zuccheri contenuti in ortaggi freschi e frutta, o quelli presenti naturalmente nel latte, sui quali non vi è alcuna evidenza scientifica che ne segnali gli effetti negativi, ma allo zucchero presente in bevande, salse, biscotti, ecc.

Concretamente, spiega Enzo Spisni (2016), docente di Fisiologia della Nutrizione all’Università di Bologna, un adulto il cui fabbisogno calorico quotidiano è pari a 2000 calorie, può consumare circa 50 grammi di zuccheri semplici al giorno. L’esperto aggiunge un ulteriore consiglio per poter ottenere benefici in termini di salute: non superare il 5% di zuccheri semplici del piano calorico standard previsto durante la giornata, ovvero assumere massimo 25 grammi di zucchero “libero” al giorno (pari a circa 6 cucchiai da tè).

Gli effetti di un consumo eccessivo e prolungato di zucchero

La letteratura fornisce la prova che un eccessivo e prolungato consumo di zucchero può aumentare la probabilità di sviluppare numerose malattie, quali ad esempio: diabete, tumori, malattie cardiovascolari, obesità (Vecchia, Franceschi, Bidoli, Barbone e Dolara, 1993; Janket, Manson, Sesso, Buring e Liu, 2003; Johnson et al., 2009; Lustig, Schmidt e Brindis, 2012; Yang et al., 2014).

Il gruppo di ricerca della University of California di Los Angeles (UCLA), afferma sulla rivista Nature che il consumo di zucchero negli ultimi cinquanta anni è triplicato, facendo aumentare le patologie ad esso connesse (Lustig, R. H., Schmidt, L. A., e Brindis, C. D., 2012).

D’Aria Irma (2013) riporta in un articolo comparso su Repubblica che in Italia il consumo di zucchero ammonta a circa 1 milione 650 mila tonnellate annue, quantità che corrisponde a un consumo di circa 27 kg pro-capite all’anno, e la ricerca condotta dal Crédit Suisse Research Institute ha analizzato gli aspetti nutrizionali, medici ed economici, dimostrando come nel lungo termine si potrebbe pensare di bandire totalmente lo zucchero dal mercato, considerate le patologie a questo associate.

Quali fattori influenzano il consumo alimentare e come sceglie l’essere umano?

Tra i fattori che in genere influenzano il consumo alimentare, svolgono un ruolo significativo gli imballaggi e le dimensioni delle singole porzioni (Rolls, Morris e Roe, 2002; Aerts e Smits, 2017; Poelman et al., 2016). Nonostante tali evidenze, in tutto il mondo, gli ultimi quarant’ anni sono stati caratterizzati dall’ aumento generale delle dimensioni dei prodotti (Smiciklas-Wright, Mitchell, Mickle, Goldman e Cook, 2003).

Osservando i distributori automatici presenti all’interno degli edifici pubblici, è possibile notare che essi indicano sul display attraverso delle semplici palline la quantità di zucchero che si desidera all’interno del proprio caffè, tè o cioccolata. In essi di default la quantità di zucchero impostata è pari a una quantità media utile per dolcificare la bevanda. Le persone possono scegliere di modificare la quantità di zucchero aumentando o diminuendo attraverso gli appositi pulsanti l’opzione predefinita ma, tendenzialmente, intenti nel dialogare con il collega accanto, inseriscono la moneta non ponendosi il problema della quantità di zucchero contenuta nella loro bevanda.

L’essere umano si lascia guidare dal contenuto predefinito (opzione di default), non si pone il problema della quantità di zucchero ingerita o presente all’interno della bustina. L’uomo ha la tendenza a lasciare le cose nello stato in cui sono (status quo) (Thaler e Benartzi, 2004).
Secondo lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, Premio Nobel per l’Economia nel 2002, il contesto in cui viviamo quotidianamente può esercitare un’importante influenza sulle nostre scelte, che ne siamo consapevoli o meno (Kahneman, 2013). Nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci” (2013) sintetizza in maniera chiara e semplice le premesse da cui nasce la Behavioural Economics (BE), branca della scienza cognitiva e del comportamento che ha avuto origine a partire da numerosi studi sperimentali:

Vivendo la nostra vita, ci lasciamo di norma guidare da impressioni e sensazioni, e la fiducia che abbiamo nelle nostre convinzioni e preferenze intuitive è solitamente giustificata. Ma non sempre. Spesso siamo sicuri delle nostre idee anche quando ci sbagliamo, e un osservatore obiettivo ha più probabilità di noi di individuare i nostri errori teorici.” (Kahneman, 2013, p.4).

Kahneman (2011) spiega la modalità con cui gli individui effettuano le loro scelte dinnanzi a una pluralità di stimoli, a partire dai due termini utilizzati precedentemente da Stanovich e West (2000) per descrivere i due sistemi che convivono (metaforicamente) nel cervello di ogni individuo: il Sistema 1, più “antico”, irrazionale e veloce, e il Sistema 2, più evoluto e capace di ragionamenti complessi, ma molto più lento. Il Sistema 1 è fondamentale per l’evoluzione della specie umana perché permette all’uomo di affrontare diverse situazioni della quotidianità; tuttavia nell’assumere decisioni complesse gli individui hanno bisogno di utilizzare alcune scorciatoie di pensiero denominate euristiche (Tversky e Kahneman, 1974). Esse riducono le energie cognitive impiegate nella risoluzione di problemi e permettono all’uomo di giungere a valutazioni e decisioni rapide in situazioni comuni e di routine, nelle quali a volte si hanno a disposizione poche e inaccurate informazioni. In molti casi però esse possono portare a commettere errori sistematici di valutazione, i cosiddetti bias (Tversky e Kahneman, 1974).

Che cos’è il Nudge?

Il Nudge, è un approccio multidisciplinare sviluppato dall’Economista Richard Thaler, vincitore del premio Nobel per l’Economia Comportamentale nel 2017, e dal giurista Cass Sunstein (2009) a partire dai principi della Behavioural Economics sopra accennati e tradotto in italiano come “spinta gentile”, permette di indirizzare le persone verso scelte il meno distorte possibile dagli errori sistematici ai quali la maggior parte degli individui è sensibile, riguardo sia il sistema 1 sia il sistema 2. A tal fine, l’utilizzo di un’accurata “architettura delle scelte”, ovvero un’impalcatura contestuale che favorisce l’’emissione di comportamenti funzionali per il benessere dell’individuo, può essere utile per modulare alcuni comportamenti, senza l’utilizzo di incentivi economici o punizioni e senza precludere la libertà di scelta (Thaler e Sunstein, 2009).

Obiettivo del Team Nudge Italia è lavorare sul contesto e strutturare ambienti che promuovano comportamenti funzionali al benessere individuale e sociale.
Il Nudge è un approccio applicabile in moltissimi campi, dalla lotta all’obesità, al risparmio energetico, al sistema pensionistico (Costa e Kahn, 2013; Just & Wansink, 2009; Thaler e Benartzi, 2004).

L’attuale letteratura sul nudging, mostra come una delle spinte maggiormente efficaci per promuovere comportamenti virtuosi, sia l’utilizzo strategico dell’opzione di default. Un caso esemplare di questo, è descritto da Johnson e Goldstein che nel 2004, confrontando la percentuale di donatori di organi in diversi paesi europei, hanno evidenziato come questa non fosse influenzata dalle opinioni individuali o dalla cultura di appartenenza, ma dalla modalità con cui era stato strutturato il modello di adesione al programma di donazione. Nei paesi in cui il cittadino doveva fornire un consenso esplicito per donare gli organi, le percentuali di donatori risultavano molto basse. Di contro, nei paesi in cui il cittadino era automaticamente incluso nel programma di donazione e, al contrario, il dissenso alla donazione doveva essere fornito attivamente, la percentuale di donatori rimaneva al di sopra del 90%. È utile sottolineare che la libertà di scelta era garantita in entrambe le situazioni, ma con risultati che di fatto dipendevano in larga parte dall’opzione di default presente.

Lo stesso principio è stato utilizzato da Save More Tomorrow (Thaler e Benartzi, 2004), intervento di nudge applicato al piano pensionistico negli Stati Uniti. Inserendo l’adesione al piano pensionistico come opzione di default contrattuale, si è ottenuta una maggiore aderenza al programma da parte dei dipendenti, i quali hanno usufruito di un diritto lavorativo e ne hanno tratto beneficio al momento della loro pensione.

Il quesito non è se assumere o meno una decisione, ma quanto il costo della risposta necessario per effettuarla influenzi la decisione stessa. Le persone hanno la tendenza a rimanere nello stato in cui si trovano, piuttosto che affrontare una decisione costosa da un punto di vista cognitivo o comportamentale.

Applicare l’opzione di default significa impostare un’opzione che verrà scelta automaticamente, a meno che le persone scelgano attivamente di comportarsi in modo diverso. Nella vita quotidiana, essa la troviamo ad esempio, negli smartphone e nei dispositivi digitali, venduti con impostazioni predefinite che la gente può scegliere di cambiare. Molti abbonamenti vengono rinnovati automaticamente a meno che il cliente non decida attivamente di annullare l’iscrizione.

Secondo Sunstein, tuttavia, l’opzione predefinita dovrebbe essere quella che è in linea con le preferenze delle persone, in modo da essere considerata come una spinta gentile.

Lo studio del Nudge sulla quantità di zucchero assunta col caffè

I clienti chiedono una o due bustine di zucchero al gestore del bar ma non chiedono loro informazioni sulla reale quantità di zucchero (in grammi) in esse contenuto, pertanto, partendo dalla letteratura di riferimento, il team di ricerca di Nudge Italia ha sviluppato nel luglio del 2016 un intervento di nudge all’interno di un bar di una palestra catanese, utilizzando il principio dell’opzione di default, con l’obiettivo di ridurre la quantità di zucchero assunta dai clienti che gustano una tazza di caffè nel bar che ha ospitato l’iniziativa.

L’ipotesi iniziale era che le persone scelgono la quantità di zucchero da mettere nel loro caffè su base unitaria, ovvero in base al numero di bustine, piuttosto che considerare l’importo effettivo in grammi, contenuto nel pacchetto. Sostituendo le bustine di zucchero normalmente utilizzate con bustine contenenti una quantità minore di zucchero, si sarebbe potuta ridurre in media, la quantità di zucchero assunta da ogni singola persona nel momento del caffè.

A tal fine, i clienti del bar sono stati osservati per due settimane (n = 213) e sono stati analizzati solo i dati relativi a coloro che hanno messo lo zucchero nel loro caffè (n = 96).
L’osservazione continua della durata di 1 ora, nella fase di baseline e in quella sperimentale, è stata svolta nella fascia oraria in cui il gestore del bar ha riferito esserci maggiore consumo di caffè: dalle 15:00 alle 16:00 del pomeriggio.
Il consumo di zucchero è stato misurato sia nella fase di controllo che in quella sperimentale, attraverso una griglia di osservazione, nella quale l’osservatore ha riportato il numero di bustine di zucchero versate da ciascun cliente nella propria bevanda.

Per l’analisi dei dati, sono stati considerati solo i clienti che hanno usato zucchero bianco o di canna, escludendo coloro che hanno utilizzato altri tipi di dolcificanti.
Risultato dell’esperimento è la media dei grammi consumati dai clienti che hanno messo lo zucchero nel loro caffè. Per farlo, i pacchetti sono stati convertiti in grammi.

Nello specifico, durante la fase di controllo sono stati osservati 102 clienti. Fra loro 52 (51%), hanno messo dello zucchero nel loro caffè, mentre 50 (49%) no. Durante la fase sperimentale sono stati osservati 111; tra di loro, 44 (40%) hanno utilizzato lo zucchero nella loro bevanda, mentre 67 (60%) non l’ha utilizzato.

Nella fase di baseline, il consumo medio di zucchero a persona è stato pari a 5,91 g (ds = 1,87), mentre in quella sperimentale, il consumo medio di zucchero a persona si è ridotto a 3,05g (ds = 1.01), come è possibile osservare dal grafico sotto riportato.
La differenza tra la media dello zucchero consumato durante la fase di controllo e quella sperimentale è stata statisticamente significativa (t (94) = 9.10; p < 0,001; Cohen D = 1,37).

Entrambe le fasi (baseline e sperimentale) svolte a distanza di una settimana l’una dall’altra, hanno avuto durata pari a sei giorni, esclusa la domenica. Nello specifico, la fase di baseline è durata dall’11 al 16 Luglio mentre quella sperimentale dal 25 al 30 Luglio.
Durante la baseline sono state utilizzate le bustine messe a disposizione dal gestore del bar, il cui contenuto di zucchero è pari a 7g. Nella fase sperimentale le bustine sono state sostituite con bustine contenenti 4g di zucchero.

I dati ottenuti in seguito all’intervento di nudge hanno confermato l’ipotesi iniziale, mostrando una riduzione significativa del consumo di zucchero durante la seconda settimana (fase sperimentale).

Lo studio sembra sostenere l’efficacia nel manipolare l’opzione di default, quando si lavora su comportamenti malsani che si presume siano “insensati”. I risultati sembrano essere in linea con l’idea che i clienti, quando scelgono la quantità di zucchero da mettere nel caffè, basano la loro scelta sulle singole unità invece che sull’ importo reale dei grammi contenuti in ciascuna bustina.
Apportando una modifica semplice e sostenibile nel contesto, le persone hanno ridotto sensibilmente la quantità di zucchero che ingerivano nel bere una tazza di caffè. Ulteriori esperimenti potrebbero valutare la generalizzabilità di questa constatazione in altri contesti culturali, utilizzando anche differenti tipi di merci.

Se si moltiplicasse la quantità di zucchero non ingerita per ogni caffè bevuto al giorno, è facile intuire il notevole impatto in termini di salute ed economia sociale di questo semplice intervento, che non impedisce comunque a ciascun individuo di utilizzare maggiori quantità di zucchero.
I risultati finora ottenuti sono stati incoraggianti e hanno mostrato come sia possibile sviluppare interventi a costi ridotti e con un impatto significativo a livello socio-economico e di salute pubblica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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