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Seconda edizione del Festival della Comunicazione sociale a Milano

Il Festival della Comunicazione sociale è a Milano per promuovere scelte di vita e di consumo responsabili. E’ questo lo scopo della comunicazione sociale.

Di Diletta Bufo

Pubblicato il 15 Nov. 2017

Aggiornato il 07 Mar. 2019 12:35

La seconda edizione del Festival della Comunicazione sociale, organizzato dalla Fondazione Pubblicità Progresso, ha preso il via a Milano. Il programma, che quest’anno ha come tema la sostenibilità, comprende 20 appuntamenti per un viaggio che tocca nel mese di novembre non soltanto il capoluogo lombardo, ma anche altre città italiane, come Bologna e Roma. Si tratta di un’occasione per promuovere scelte di vita e di consumo responsabili. E’ questo lo scopo della comunicazione sociale che, attraverso messaggi pubblicitari, mira a sensibilizzare il largo pubblico su tematiche di interesse generale, per esempio l’AIDS, l’emarginazione e la ludopatia.

 

La comunicazione sociale: intervista a Vincenzo Russo

La rassegna si concluderà il 28 novembre alla Triennale di Milano. Abbiamo intervistato Vincenzo Russo, Professore di Psicologia dei Consumi e Direttore scientifico del Centro di Ricerca di Neuromarketing, protagonista dell’incontro che si svolgerà il 16 novembre presso l’Università IULM.

– In che modo la comunicazione sociale può contribuire a stimolare comportamenti corretti, cioè quelle buone pratiche che non danneggiano né la salute né l’organizzazione sociale?

“La comunicazione sociale nasce per stimolare comportamenti corretti, non fosse altro che per supportare le categorie in difficoltà o, comunque, per intervenire su comportamenti che possono essere patologici a lungo termine. Le campagne pubblicitarie di Pubblicità Progresso, ad esempio, cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un problema sociale, come l’alcolismo”.

Qual è il criterio per la selezione dei messaggi nella comunicazione sociale?

“Il dilemma che emerge è sempre lo stesso: la comunicazione è razionalità o emozione? Molto spesso si confonde la comunicazione sociale con quel tipo di comunicazione che dovrebbe, in qualche modo, dare indicazioni razionali sui modi di agire. In realtà, tutti sappiamo quali siano i comportamenti da mettere in pratica. Il vero problema è metterli effettivamente in pratica. Per questo le campagne sociali non devono parlare solo alla parte razionale delle persone, ma anche alla componente emozionale”.

– Che cos’è il nudge?

“In italiano si può tradurre con spinta gentile, ovvero la possibilità di creare le condizioni, attraverso ambienti e stimolazioni, per fare in modo che le persone sappiano quale sia il comportamento giusto da agire, senza doverci pensare. Un esempio: se uso un piatto piccolo o un piatto grande per un buffet, è chiaro che spingo le persone a scegliere una quantità di cibo che è coerente con la grandezza del piatto. Se si opta per piatti piccoli, sicuramente le persone prenderanno meno cibo, rispetto a quando hanno piatti grandi. In questo modo, possiamo arginare il problema dello spreco alimentare. Così ho creato un nudge, studiato dallo scrittore Richard Palmer che, non a caso, quest’anno ha vinto il premio Nobel per l’economia. I teorici del nudging propongono persino di introdurre dispositivi che sollecitino buoni comportamenti: in alcuni alberghi esiste la chiave magnetica della porta che disattiva automaticamente la luce; in California un raccoglitore di vetro, che assegna dei punti come accade nei videogame, ha incoraggiato la raccolta differenziata”.

In un messaggio è meglio evidenziare l’aspetto positivo o quello negativo?

“Comunicare vietando è sempre un boomerang, è molto rischioso, è come dire ad un bambino di non mangiare la marmellata. E’ chiaro che il bambino, alla prima occasione, non rispetta la regola, quando non c’è qualcuno che controlla il comportamento. Da un lato, quello che bisognerebbe fare è creare le condizioni per premiare comportamenti corretti, piuttosto che punire quelli scorretti. Dall’altro, fare in modo che il comportamento corretto venga agito non perché le persone temano di essere punite, ma perché viene naturale agire in quel modo”.

Il Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab, che Lei dirige, si occupa di comunicazione sociale?

“Certo, lavoriamo molto con organizzazioni non profit, perché la comunicazione sociale è particolarmente impregnata di emozione. Il problema sta nel capire come misurare queste emozioni. Collaboriamo con ONG, per le quali valutiamo, in base al contesto, al messaggio, al prodotto, al servizio, quale sia la formula migliore. Ultimamente i messaggi che, fino a qualche anno fa, venivano esclusi perché troppo negativi, quelli che ad esempio fanno leva sulla paura, oggi sembrano avere sempre più efficacia. Questi ultimi, che si chiamano fear arousing appeals, letteralmente ‘appelli alla paura’, mirano a determinare nei destinatari reazioni di paura a quanto mostrato. Lo scopo è dissuadere dall’attuare comportamenti pericolosi, come guidare in stato di ebbrezza, comunicando il rischio e la minaccia a cui le persone vanno incontro, se non modificano le loro insane abitudini. Secondo gli studi, un messaggio che stimola la paura favorisce l’elaborazione cognitiva delle informazioni ed aumenta la motivazione ad evitare la minaccia”.

Uno degli ultimi progetti in cantiere?

“Di recente stiamo operando con Unicef per spingere le persone a donare un po’ di più, tramite i lasciti testamentari. Si tratta di un tema molto caldo perché, dai dati che Unicef ha comunicato in un congresso dedicato al Neuromarketing, sembra che nel 2020 noi Italiani, che abbiamo il tasso di crescita più basso al mondo, al pari dei Giapponesi, avremo quasi 105 miliardi in euro di patrimonio senza eredi. Questo per le ONG rappresenta un bacino di finanziamento per il loro servizio estremamente importante. Unicef sta investendo su un messaggio che sia comprensibile, facile ed emozionale per favorire i lasciti testamentari”.

I linguaggi non convenzionali, come social e app, possono facilitare la comunicazione sociale?

“Più che facilitare la comunicazione sociale, i linguaggi non convenzionali diventano l’elemento chiave per raggiungere un pubblico più vasto, compreso quello giovanile. Esistono studi estremamente importanti che dimostrano come tramite il social media marketing si possono raccogliere fondi impareggiabili rispetto a quelli ottenuti tramite la comunicazione televisiva o tradizionale. Il social media marketing, svolto in maniera professionale, permette di avere un grandissimo seguito a costi molto inferiori ai canali classici. Non c’è dubbio, però, che chi affronta un tema così complicato, come quello della comunicazione sociale, non può non considerare l’importanza dell’integrazione dei canali di comunicazione. Dunque, va bene social, ma è necessaria una pianificazione mirata”.

Un esempio di una campagna sociale ben riuscita?

“Francesca Ambrogetti, responsabile foundraising di Unicef, ha scritto un libro che si intitola Emotional raising, in cui tratta di numerosi casi di comunicazione a basso costo, anche social, sviluppata in maniera intelligente ed azzeccata. A livello personale mi sono imbattuto in un’associazione che si occupa di aiutare animali abbandonati, che è diventata famosa per il caso Fiona: si tratta di una cagnolina salvata da un gruppo di volontari. Questi ultimi hanno raccontato con un video, diventato virale sui social network, la storia di Fiona, ricevendo un ottimo sostegno economico”.

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