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Depressione e ricerca: Lectio Magistralis con Pim Cuijpers – Report dall’ International Congress of Cognitive Psychotherapy, Romania 2017

L'International Congress of Cognitive Psychotherapy si è aperto con la lezione magistrale di Pim Cuijpers sullo stato della ricerca sul tema Depressione

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 03 Lug. 2017

Pochi giorni fa è iniziato il 9° International Congress of Cognitive Psychotherapy a Cluj-Napoca e si è aperto con la lezione magistrale di Pim Cuijpers (VrijeUniversiteit Amsterdam), uno dei ricercatori più influenti negli ultimi dieci anni nel campo della psicologia e della psichiatria (secondo il ranking della Microsoft Academic Search).

 

Pim Cuijpers presenta al suo attivo oltre 500 pubblicazioni scientifiche dedicate principalmente all’analisi dell’efficacia delle psicoterapie nel trattamento dei disturbi depressivi. “Un uomo semplice che guarda i dati”, così ama definirsi. Li guarda bene, i dati. Cerca, devo dire con successo, di liberare il campo da illusioni e convinzioni che spesso si radicano nella mente del clinico o del ricercatore che fatica a districarsi tra l’innumerevole quantità di pubblicazioni e si trova costretto a basarsi su informazioni parziali. Pim Cuijpers invece le informazioni le raccoglie tutte, anche quelle da studi mai pubblicati. Esplora domande di grant, progetti registrati su database internazionali e mai giunti su una rivista scientifica. Insomma, se non tutto, una buona approssimazione del tutto.

Ed è così che Pim Cuijpers riesce a svelare illusioni e tracciare linee di demarcazione. Alcune molto forti: negli ultimi 50 anni, nonostante gli sforzi, non siamo riusciti a portare alcun incremento all’efficacia del trattamento dei disturbi depressivi. Punto. Vien la voglia di andarsene a casa a schiena piegata. Ma ci fermiamo perchè Pim Cuijpers, forse notando il movimento sospetto dei partecipanti, invita ad attendere l’arrivo di un po’ di speranza. Così ci facciamo forza e ascoltiamo ancora.

Pim Cuijpers: l’importanza del rigore nella metodologia di ricerca

La questione infatti è un po’ più complessa. A oggi il proliferare di approcci che hanno abbracciato un paradigma scientifico (evidence-based) sono in costante aumento. Ognuno di questi ha qualche dato di efficacia che viene normalmente utilizzato per sostenerne l’esistenza . Ma un mondo dove tutto vale un poco, si produce moltissima confusione. Quindi la scienza è spinta a pulire il campo aumentando il grado di rigore, stringe il cerchio del metodo scientifico per evidenziare quali sono gli approcci che sopravvivono. Pim Cuijpers è certamente un emissario di questa missione scientifica.

L’aumento del rigore significa considerare errori metodologici, rischio di bias, dati provenienti da ricerche non pubblicate e molto altro ancora. Così viene alla luce che la psicoterapia non è così efficace come pensavamo per i disturbi depressivi. Già nel nostro piccolo avevamo notato qualcosa di simile per i Disturbi d’Ansia (Caselli, Manfredi, Ruggiero, Sassaroli, 2016). Lo è, ma un po’ meno del previsto. Una nota: l’efficacia qui è intesa in termini di percentuale di recovery (guarigione) e riduzione dei sintomi depressivi. In fase acuta del disturbo l’esito è ai livelli di quello raggiunto dalla terapia farmacologica che a sua volta supera il placebo solo di un 15-20%. L’efficacia si abbassa ulteriormente se parliamo del Disturbo Depressivo Persistente, di sindromi sub-cliniche, comorbilità con uso di sostanze e psicoterapia in regime di ricovero. Ma c’è molto altro.

Innanzitutto, in fase acuta, è più efficace una terapia combinata (farmaci e psicoterapia) rispetto ai singoli interventi separati. In secondo luogo, la psicoterapia ha efficacia maggiore rispetto alla terapia farmacologica nella stabilità a lungo termine e riduce il rischio di ricaduta. In questo almeno i risultati sono incoraggianti anche quando sottoposti a un’analisi più rigorosa. Infine, molti fattori trasversali alle diverse psicoterapie non sembrano avere un peso sull’efficacia. Tra questi Pim Cuijpers annovera il numero di sedute, la frequenza, il tempo generale di terapia, il tipo di setting (internet, self-help, contatto diretto). La maggior parte del cambiamento avviene nelle prime sei sessioni di terapia indipendentemente da tutti questi elementi aspecifici, poi tende a non evolversi. Non sappiamo tuttavia se un numero maggiore di sessioni possa favorire la stabilità dei risultati ottenuti, dal momento che ci sono poche ricerche che usano un numero ristretto di sessioni e hanno contemporaneamente un lungo monitoraggio dell’andamento nel tempo.

Qual è la psicoterapia più efficace per la depressione?

Ma quale psicoterapia è più efficace? A oggi nessuna di quelle testate supera le altre. Per inciso, occorre sottolineare che le ricerche di efficacia sulla depressione con un sufficiente rigore metodologico si riferiscono principalmente a terapie che appartengono al mondo cognitivo, comportamentale e della psicoterapia interpersonale. Tuttavia pur essendoci qualche variazione sul tema, nessuna di queste prevale in modo significativo sulle altre e quindi terapia comportamentale (behavioral activation), terapia cognitiva standard (il modello di Beck), terapia cognitivo-comportamentale, terapia interpersonale restano a oggi quelle maggiormente sostenibili e nei fatti promosse a ragion veduta. Altre potrebbero forse eguagliarle, ma non hanno ancora dati sufficienti. Nessuna al momento può dire di averle superate. Ci sono anche dati in favori di approcci diversi ma si attestano sui medesimi livelli di efficacia e risultano ancora sottodimensionati. Per la mole di dati che hanno a loro sostegno Pim Cuijper stima la necessità campioni nell’ordine di 200 individui, perché il confronto possa stabilire una nuova egemonia significativa.

L’equivalenza delle psicoterapie è certamente una questione chiave ritornando alle conclusioni di Pim Cuijpers. In 50 anni la terapia cognitivo comportamentale è ancora il punto di riferimento per il trattamento dei disturbi depressivi, è meno efficace di quello che si pensava, in acuto ha efficacia equivalente alla terapia farmacologica, offre maggior stabilità dei risultati raggiunti nel medio-lungo periodo. Un po’ di delusione e un po’ di speranza. Ma siamo fermi e occorre cambiare qualcosa nel modo in cui ci si approccia alla ricerca in questo settore. Innanzitutto tenere a mente le direzioni in cui si è più deboli (depressione cronica, rischio di ricaduta, area della prevenzione). Secondariamente focalizzarsi sulla comprensione di quale o quali siano le variabili d’oro, i motori principale del disturbo e stabilirne il ruolo empiricamente prima di sviluppare nuovi trattamenti. E infine, iniziare un’opera di semplificazione delle psicoterapie, riducendole agli elementi essenziali che offrono questi risultati nel minor tempo possibile.

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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