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Le donne dei Baustelle: riflessioni psicologiche sui testi delle canzoni

Le donne descritte nelle canzoni dei Baustelle recitano spesso il ruolo di personaggi dai tratti borderline e socialmente ai margini della società.

Di Nicola Vangone

Pubblicato il 08 Giu. 2017

Aggiornato il 09 Set. 2019 16:07

Le donne descritte da Bianconi dei Baustelle appaiono, infatti, tutte molto simili tra loro: caratterizzate dalla stessa età anagrafica (in genere adolescenti o giovani donne) e provenienti generalmente dalla provincia, recitano spesso il ruolo di personaggi dai tratti borderline e socialmente ai margini della società. Rientrano in questa categoria Martina e Betty delle omonime canzoni, e le ragazze senza nome descritte in “La guerra è finita” e “Perché una ragazza di oggi può uccidersi”.

 

Le donne delle canzoni dei Baustelle

I Baustelle sono un gruppo indie-pop-rock toscano il cui leader, nonché autore dei testi, è Francesco Bianconi. Ascoltando le loro canzoni, dal primo album del 2000 (“Sussidiario illustrato della giovinezza”) all’ultimo di quest’anno dal titolo “L’Amore e la Violenza”, spesso si rimane colpiti dalla bravura del cantautore nel tratteggiare con maestria da scrittore, personaggi dal profilo psicologico di grande spessore. Tra di essi, risultano particolarmente interessanti le figure femminili.

Le donne descritte dai Baustelle appaiono, infatti, tutte molto simili tra loro: caratterizzate dalla stessa età anagrafica (in genere adolescenti o giovani donne) e provenienti generalmente dalla provincia, recitano spesso il ruolo di personaggi dai tratti borderline e socialmente ai margini della società. Rientrano in questa categoria Martina e Betty delle omonime canzoni, e le ragazze senza nome descritte in “La guerra è finita” e “Perché una ragazza di oggi può uccidersi”.

Martina: la prima figura femminile delle canzoni dei Baustelle

In ordine cronologico, la prima figura ad “entrare in scena” sul metaforico “palcoscenico” musicale messo in piedi da Bianconi è Martina.

https://www.youtube.com/watch?v=RmE7Wc3gka4

Più che con una donna reale, tuttavia, in questo testo si ha l’impressione di avere a che fare con una sorta di archetipo letterario che vede la figura femminile come un soggetto disintegrato e ambivalente: da un lato fonte inesauribile di dolcezza (“miele infinito per anima”); dall’altro, inaspettato calvario (“Per calvario un angelo”). Tale ambivalenza, in qualche modo, sembra richiamare metaforicamente figure mitologiche come Medusa, raffigurata come una donna bellissima e al tempo stesso letale. La stridente commistione tra stati mentali tanto intensi quanto inconciliabili, che la donna evoca, è resa molto bene dal registro musicale che alterna delicati arpeggi a violente rasoiate di accordi.

Le figure femminili protagoniste di suicidi nelle canzoni dei Baustelle

Nel 2005 i Baustelle partoriscono “La Malavita”, terzo album del gruppo. Qui spiccano due figure femminili entrambe tragicamente protagoniste di suicidi. In “La guerra è finita”, la protagonista è una ragazza giovane ritratta nostalgicamente come un’amica perduta dell’adolescenza (Era mia amica/Era una stronza/aveva sedici anni appena).

Questa canzone riesce a sintetizzare in maniera esemplare le caratteristiche peculiari dell’adolescenza, periodo che coincide spesso con un percorso, più o meno lungo, di strutturazione identitaria, attraverso il quale la persona entra in contatto, volontariamente o meno, con un ampio spettro di possibili Sé e altrettanto possibili percorsi esistenziali. E’ la fase – tipica delle società occidentali economicamente più sviluppate – della cosiddetta “moratoria psico-sociale” (Erikson, 1968), corrispondente, appunto, ad un periodo di sperimentazione di sé, delle proprie capacità e delle proprie attitudini. I versi riportati di seguito, infatti, descrivono l’immagine di una persona dinamica, in continuo movimento e alla ricerca di un’identità che al momento appare una lontana chimera, persa tra dipendenze, condotte trasgressive e autodistruttive:

Vagamente psichedelica/La sua t-shirt all’epoca/Prima di perdersi nel punk/Prima di perdersi nel crack/Si mise insieme ad un nazista/Conosciuto in una rissa.

A ciò fa da sfondo, immancabilmente, un profondo vissuto di insoddisfazione esistenziale che si risolve in un suicidio: tale gesto, che esternalizza in maniera tragica un conflitto interiore, va inteso come l’atto definitivo di rivolta della ragazza contro la società. In tal senso, le parole scritte sul biglietto, da lei lasciato, testimoniano la presa di coscienza dell’impossibilità di pervenire ad una soluzione, ad un adattamento con una realtà esterna vista come incompatibile rispetto ai propri ideali:
La penna sputò parole nere di vita/La guerra è finita/Per sempre è finita/Almeno per me.

La tematica del suicidio si ripropone in “Perché una ragazza d’oggi può uccidersi”. Il titolo è un chiaro riferimento a “Io la conoscevo bene”, film di Antonio Pietrangeli del 1965. Il testo si snoda attraverso una serie di riflessioni di due “conoscenti” sulle possibili motivazioni che hanno spinto la protagonista a togliersi la vita. Più avanti si capirà che, in realtà, i due sono rispettivamente il fidanzato e la più cara amica della sfortunata protagonista, entrambi rei confessi di un “tradimento” nei suoi confronti. Tale evento, sapientemente, viene indicato dai due come la vera “causa scatenante”:
Ma la causa scatenante/il motivo vero siamo io e te/io che l’ho tradita/ tu che le sei stata amica

Dico “sapientemente” perché Bianconi dei Baustelle, qui, invece di fermarsi a quello che sembra il fattore causale immediatamente evidente, si addentra pian piano nella psicologia della donna, allo scopo di comprendere le reali ragioni – in Psicologia li chiameremmo i “fattori predisponenti” – che l’hanno spinta a compiere il tragico atto. Le due voci-narranti della storia (l’altra è quella di Rachele Bastreghi) cominciano, quindi, a elencare una serie di ipotesi per spiegare l’evento e che permettono di fare alcune interessanti inferenze sulla psicologia della “vittima”.

Innanzitutto la protagonista appare come una ragazza solitaria e poco interessata ai rapporti sociali (Forse perché non le piace la gente); particolarmente interessante, tuttavia, è il verso successivo (o quella festa che ha dentro di sè/quando vorrebbe la tranquillità/il niente), il quale, utilizzando le chiavi di lettura delle teorie cognitiviste, è in grado di fornire qualche spunto sui possibili stati mentali ricorrenti nella donna: la “festa” , per esempio, potrebbe alludere alla presenza di stati mentali caotici, poco integrati, o più semplicemente alla presenza di processi di pensiero ripetitivi (ruminazione e/o rimuginazione).

Quest’ultima ipotesi riporta alla mente le parole di Adrian Wells, fondatore della Terapia Metacognitiva: “Le persone restano intrappolate nel disturbo emotivo poiché le loro metacognizioni causano un particolare pattern di risposta a esperienze interne che mantengono l’emozione negativa e rafforzano le credenze/idee negative” (Wells, 2009, p.1). In tale ottica, la comparsa di pensieri negativi come “non sono all’altezza” attiva specifiche metacredenze sulla ruminazione e/o la rimuginazione (es. “se rumino/rimugino uscirò da questa situazione”) che tuttavia si rivelano disfunzionali in quanto, anziché risolverle, rafforzano e mantengono le credenze e le emozioni negative da esse evocate.

Volendo continuare questo “gioco” di interpretazione, si potrebbe avanzare l’ipotesi che la ragazza al momento del gesto versasse in uno stato depressivo acuto; tale aspetto troverebbe conferma nei versi successivi:
Certo perché/non le importa più niente/del freddo forte che fa/nella città/per farla breve che tempo farà/per sempre

Queste parole potrebbero, infatti, essere lette alla luce della famosa triade cognitiva di Beck (1979), usata per descrivere la depressione: secondo il fondatore della Terapia Cognitiva, infatti, la sindrome depressiva è riconducibile alla presenza di una triade di credenze negative su di sé, il mondo e il futuro. La ragazza della canzone, difatti, sembrerebbe nutrire profonda sfiducia e pessimismo verso il mondo esterno e il futuro.
Ma, a mio avviso, i versi più interessanti e in grado di delineare in modo più dettagliato il quadro personologico della ragazza sono quelli riportati qui di seguito:
Forse perché quello che lei voleva/era una vita da star/Milano style/ come credete che si sentirà adesso?

Prendendo spunto anche dalle riflessioni di Riva (2016), si può immaginare che la ragazza provasse un profondo senso di inadeguatezza, un vissuto che spesso ricorre in gran parte degli adolescenti di oggi e che appare sempre più legato alle dinamiche sociali tipiche della nostra epoca, plasmate profondamente dai social-media e permeate da crescenti bisogni narcisistici di affermazione mediatica del Sé. In tale quadro il suicidio rappresenterebbe un gesto sensazionale, in grado di farla uscire dall’anonimato e di proiettarla nella dimensione di notorietà tanto agognata.

Tematiche simili vengono riproposte in “Betty” (da “L’Amore e la Violenza”, 2017). La canzone, infatti, ci offre il ritratto della tipica adolescente contemporanea, la cui soggettività appare sempre più inscindibile dalle immagini e dai significati veicolati sui social network (Manda messaggi al mondo/Quando le va di uscire/Che bel profilo/E quante belle fotografie)

Sembra prendere corpo quella dimensione di “interrealtà” a cui fa riferimento sempre Riva (2010), in cui non c’è più separazione tra il mondo reale e quello virtuale dei social: secondo tale ipotesi, a differenza di quanto avveniva in passato, adolescenti e giovani adulti di oggi permarrebbero per un tempo indefinito (forse addirittura per l’intera durata della propria esistenza) in uno stato dinamico di costruzione e ri-costruzione della propria identità.

Il chiaro riferimento alla tematica dell’identità fluida descritta da Bauman (2003) si intreccia, poi, con quella dell’ “analfabetismo emotivo”: nella dimensione dell’interrealtà, infatti, le relazioni mediate dalla fisicità dei corpi sono sostituite da quelle del medium virtuale, con il risultato che vengono perse le coordinate emotive. Accade così che stati emotivi contrapposti e inconciliabili vengono espressi e comunicati nello stesso momento (Ride quando la tocchi/Finge quando sorride), perdendo ogni significato (Vive bene, vive male/Non esiste differenza/Tra la morte di una rosa/E l’adolescenza). Ciò significa che i rapporti umani reali finiscono sempre più con l’assumere le caratteristiche delle relazioni virtuali, in cui tutto è possibile ma nulla è reale. La metafora del gioco sembra pertanto riuscire a descrivere efficacemente il modo in cui ci si relaziona con l’Altro oggi (Betty è bravissima a giocare/Con l’amore e la violenza).

Per l’ennesima volta, il suicidio, come un mantra, viene evocato da Bianconi come gesto risolutivo che assume i toni di un desiderio liberatorio della ragazza rispetto ad una realtà (anzi un’interrealtà) opprimente e di cui tutti siamo divenuti ormai dipendenti (Betty ha sognato di morire/Sulla circonvallazione/prima ancora di soffrire/Era già in putrefazione/Un bellissimo mattino/Senza alcun dolore/Senza più dolore).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bauman, Z. (2003). Modernità liquida. Roma – Bari: Laterza.
  • Beck, A.T., Rush, A.J., Shaw, B.F., Emery, G. (1979). Cognitive Therapy of Depression. New York: Guilford Press.
  • Erikson, E.H. (1968). Identity, youth and crisis. NY: W.W. Norton Company.
  • Riva, G. (2010). I Social Network. Bologna: Il Mulino
  • Riva, G. (2016). Selfie. Narcisismo e Identità. Bologna: Il Mulino.
  • Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for Anxiety and Depression. London, UK: Guilford Press. Ed. it. a cura di: Gabriele Melli: Terapia Metacognitiva dei Disturbi d’Ansia e della Depressione. Eclipsi Editore.
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