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Gerascofobia e ricorso alla chirurgia estetica nella terza età: caratteristiche psicologiche predisponenti

Nella vecchiaia si può sviluppare la paura di invecchiare e vi sono diversi fattori psicologici che possono indurre al ricorso alla chirurgia estetica.

Di Giuseppina Ferrer

Pubblicato il 18 Mag. 2017

Aggiornato il 04 Lug. 2019 12:25

La gerascofobia è definita come la paura persistente, anormale e ingiustificata di invecchiare. Essa è generalmente classificata tra le fobie specifiche e può essere associata al timore di restare soli, senza risorse e incapaci di provvedere a se stessi durante la vecchiaia e questo a volte induce al ricorso alla chirurgia estetica. 

Giuseppina Ferrer, OPEN SCHOOL PTCR MILANO

«Ora, ovunque andiate, voi incantate il mondo. Sarà sempre come oggi?» (Da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde).

Il ritratto di Dorian Gray e la paura di invecchiare

Dorian Gray, protagonista del celebre romanzo di Oscar Wilde scese a patti con il proprio divenire: lo specchio gli avrebbe rimandato ciò che era stato in giovinezza, il quadro ciò che diventava invecchiando. E’ il tempo, con il suo scorrere lento e inesorabile, che diviene fantasma così doloroso da dover essere negato; Dorian Gray rappresenta l’esempio per eccellenza di un meccanismo di negazione: nega il trascorrere del tempo e della morte in un continuo sforzo di superare ogni limite, biologico e personale. Il protagonista del celebre romanzo, non potendo pensarsi imperfetto, pregò il proprio ritratto di invecchiare al suo posto. Dorian Gray rappresenta, pertanto, l’emblema dell’ideologia dell’apparire che difficilmente può conciliarsi con l’essere se stessi.

Tale ideologia appare quanto mai attuale nella nostra società che vede sempre più il ricorso alla chirurgia plastica ed estetica quale strumento atto ad anestetizzare emozioni dolorose connesse alla naturale evoluzione del corpo umano. La gerascofobia (dal greco θα γεράσω invecchiare e φόβος fobia) è definita come la paura persistente, anormale e ingiustificata di invecchiare. Essa è generalmente classificata tra le fobie specifiche e può essere associata al timore di restare soli, senza risorse e incapaci di provvedere a se stessi (definizione tratta da Wikipedia).

Nella gerascofobia, studiata fin dagli anni ‘60, frequente è la comorbilità con altri tipi di fobie e sintomi ansiosi, unitamente ad un sentimento di mancanza di realizzazione personale (Cesa-Bianchi M., 1987). Come avviene per le altre fobie specifiche, essa si associa spesso a quadri psichiatrici complessi.

Già nella cultura greca antica del VI secolo a.C., vi erano opinioni discordanti circa il tema della vecchiaia: Solone sosteneva come la vecchiaia fosse degna di essere vissuta in pienezza, permettendo di apprezzare i propri familiari, il valore del tempo che passa e le conoscenze acquisite nel corso della vita. Al contempo Mimnermo affermava “quando arriva la dolorosa vecchiaia, che rende turpe anche l’uomo bello, sempre dolorosi affanni lo sconvolgono nel cuore, né si rallegra a vedere i raggi del sole, ma nemico ai ragazzi, disprezzato dalle donne, così il dio rese la vecchiaia dolorosa…Ma non appena sia passata questa fine della stagione primaverile meglio morire che vivere”. Appare chiaro da questi frammenti come Mimnermo esalti i piaceri della giovinezza enumerando i mali della vecchiaia, che questi individua nel decadimento del corpo e dell’anima.

D’altra parte la senescenza è innanzitutto uno stadio naturale della vita che, in virtù del decadimento fisico e psicologico che essa comporta, rende la vita fragile e maggiormente esposta. Essa, benché si fantastichi sull’eterna giovinezza tanto agognata dalla ricerca scientifica, è parte ineliminabile della vita stessa. La vecchiaia è da sempre stata considerata l’età contemplativa per eccellenza, in cui l’attenzione per l’immagine corporea lascia spazio alla riflessione consapevole della saggezza tipica della veneranda età. Tuttavia non mancano, anche nel mondo letterario, esempi di scarsa accettazione di tale naturale condizione di vita: “Una vecchia che si veste come una giovinetta suscita il riso”, scrive Pirandello nel suo Saggio sull’Umorismo, che sottolinea come riflettendovi a fondo si possa in lei cogliere il fondo dolente, di umana sofferenza che dal riso lascia spazio alla compassione.

Quanto mai attuale appare l’immagine della “vecchia signora” di Pirandello in un’epoca che teme la vecchiaia e cerca spesso di negarla ad ogni costo.

Gerascofobia: i fattori psicologici che inducono il ricorso alla chirurgia estetica nella vecchiaia

La vecchiaia è oggi grande fenomeno di massa, divenuta oggetto di studio di medici, psicologi e scienziati, ciò anche in virtù del significativo aumento della “popolazione anziana”. Il fascino della bellezza fisica sta diventando sempre più centrale nella società odierna tanto che non sorprende che vi sia una crescente richiesta, anche in età avanzata, di interventi di chirurgia estetica.

Nel corso degli ultimi anni, stante la notevole diffusione di tali procedure chirurgiche, sono stati condotti numerosi studi volti ad approfondire il ruolo che i fattori psicologici esercitano nel ricorrere alla chirurgia estetica. Secondo l’American Society for Aesthetic Plastic Surgery nel 2013 negli Stati Uniti d’America sono stati effettuati oltre 11 milioni di interventi chirurgici (16,5%) e non chirurgici (83,5%), registrando un incremento di oltre il 279% rispetto all’anno 1997 (American Society for Plastic Surgery. Cosmetic Surgery National Data Bank. Statistics, 2013 New York). Nel 2013 le procedure chirurgiche erano la liposuzione, l’aumento del seno, blefaroplastica e addominoplastica. La percentuale di ultracinquantenni è del 23,9%, con un range di età che va dai 51 ai 64 anni.

La crescente frequenza di tali trattamenti chirurgici estetici può essere attribuibile a molteplici fattori: tra questi vi è l’evoluzione delle ricerca medica sul campo che ha reso le procedure chirurgiche sempre più sicure e meno invasive, significativo è anche il ruolo che i mass media attribuiscono ai canoni estetici di bellezza sempre più ideali. D’altra parte, numerose ricerche hanno dimostrato come l’insoddisfazione legata all’immagine corporea rappresenti il principale fattore predisponente al ricorso alla chirurgia estetica (Henderson-King, D. & Henderson-King, E. 2005; Di Mattei et al., 2014).

L’estrema insoddisfazione per l’immagine corporea è la caratteristica principale di diverse forme di psicopatologia tra cui il Disturbo di Dismorfismo Corporeo (Castle & Phillips, 2002). Una recente revisione della letteratura condotta da Mallick e colleghi (Mallick et al., 2008) ha dimostrato un’elevata percentuale di tale disturbo nelle popolazioni di pazienti che ricorrono alla chirurgia estetica, sia nei paesi americani che europei. In queste popolazioni si stima una prevalenza di Disturbo da Dismorfismo Corporeo che varia dal 13% al 28%. Altre ricerche sperimentali hanno messo in luce come, tra i pazienti che ricorrono ai trattamenti chirurgici estetici, si arrivi al 47,7% di incidenza di disturbi mentali.

In particolare, alcuni studi evidenziano un’elevata prevalenza di Disturbi di Personalità afferenti al Cluster B secondo la classificazione del DSM-IV tr (Belli et al., 2013). Sembra che il Disturbo di Personalità più frequente tra questi pazienti sia quello Narcisistico, che è stato rilevato nel 25% dei pazienti che ricorrono alla chirurgia estetica, mentre nel 9,7% dei casi si rileva la presenza di Disturbo Istrionico di Personalità (Mallick et al., 2008). A questo proposito, è bene tener presente come la prevalenza di Disturbi di Personalità di questo tipo si aggiri in popolazione generale attorno all’1,5% (Huang et al., 2009).

Oltre ai fattori personologici predisponenti sopra descritti è bene considerare come la senescenza si associ altresì alla cessazione delle attività lavorative, che talvolta comporta l’emergere di un vissuto di esclusione dalla vita sociale, associato a vissuti di ansia e frustrazione. Il pensionamento comporta cambiamenti radicali nell’assetto di vita di un individuo, e spesso viene vissuto in maniera ambivalente, da un lato con un senso di liberazione, dall’altro come profondamente destabilizzante, venendo a mancare le consuetudini ormai acquisite e consolidate.

Tale condizione può associarsi ad una deflessione del tono dell’umore con sentimenti di tristezza e vuoto; in tale nuovo assetto di vita, la persona può infatti ritrovarsi a contatto con se stesso, con i propri stati emotivi talora dolorosi, non potendo più servirsi del lavoro anche come strumento di distrazione e in un certo qual modo di “allontanamento” dalla parte più intima di sé. Sempre più spesso, infatti, nella società attuale si perseguono obiettivi professionali sempre più ambiziosi che comportano in alcuni casi un’attitudine all’iper-lavoro che lascia poco o nessuno spazio al contatto con i propri stati emotivi. Può quindi accadere che ciò avvenga, tutto ad un tratto, nella fase della senescenza e che la persona sia poco preparata a gestire tali stati emotivi. In tali condizioni è possibile che la persona, sguarnita di altri strumenti utili a gestire tali vissuti dolorosi, ricorra alla chirurgia estetica quale strategia auto-immunizzante utile a non entrare in contatto con gli stati emotivi dolorosi che possono accompagnarsi alla senescenza.

D’altra parte, qualora l’individuo ricorra ai trattamenti chirurgici estetici con un tale assetto psicologico, è probabile che permanga l’insoddisfazione rispetto all’immagine corporea o, più verosimilmente, un più generico vissuto di insoddisfazione che poco attiene alla sfera corporea, riguardando il mondo interiore dell’individuo. A questo proposito, alcuni studi hanno messo in luce il significativo aumento del rischio suicidario tra le donne che si erano sottoposte ad interventi chirurgici di aumento del seno (Brinton et al., 2001; Koot et al., 2003; Pukkala et al., 2003; Jacobsen et al., 2004; Villeneuve et al., 2006).

Benché le ricerche citate siano state condotte mediante differenti metodologie e su popolazioni cliniche eterogenee, esse giungono alla medesima conclusione: ovvero che vi sarebbe un rischio suicidario più elevato (poco più del doppio di quello trovato in popolazione generale) tra le donne che si sono sottoposte ad un intervento di chirurgia estetica mammaria. Malgrado la spiegazione di questi risultati rimanga incerta, studi precedenti indicano come possano esservi differenze significative tra le donne con protesi al seno rispetto a quelle appartenenti alla popolazione generale. Tra le prime si rilevano indici di massa corporea significativamente più bassi, un maggior tasso di fumo di sigarette (Kjoller et al., 2003), un maggior numero di aborti volontari (Fryzek et al., 2000), più bassi livelli di istruzione ed un maggior numero di screenings per problemi senologici (Brinton et al., 2000). Ulteriori differenze riguardano la prevalenza di Disturbi Mentali di Asse I e II, la cui incidenza sembra essere significativamente più elevata tra le donne che si sono sottoposte a chirurgia estetica mammaria, rispetto a quelle appartenenti alla popolazione generale (Mallick et al., 2008).
In conclusione, di tutte le sfide cui è sottoposto l’individuo nel corso del proprio percorso evolutivo, quella della vecchiaia è la più umana. L’uomo, infatti, lungi dall’arrendersi al trascorrere ciclico del tempo, gioca con la vecchiaia una complessa partita, anche mediante strategie di compensazione come quelle descritte.

Erikson riteneva che nel periodo della senescenza l’individuo raccoglie quanto seminato in precedenza, guardando al suo passato per fare un bilancio di quanto sia riuscito a perseguire dei propri obiettivi iniziali, cerca inoltre di comprendere ciò che la propria esistenza abbia per lui e per gli altri significato, valutando quanto tali conclusioni lo soddisfino. Qualora tale bilancio risulti positivo, l’individuo avrebbe la sensazione di aver speso adeguatamente la propria esistenza, riuscendo quindi a vivere serenamente la terza età. Nel caso in cui, tuttavia, il bilancio fosse negativo, essendo la persona poco soddisfatta di quanto vissuto, quest’ultima assumerebbe un’attitudine di rifiuto rispetto alla propria vita passata, di timore della morte e di negazione della vecchiaia stessa. In queste situazioni, dice Erikson, prevale un senso di disperazione che esprime la consapevolezza di avere un tempo ormai insufficiente per correggere gli errori del passato; tale disperazione si nasconde spesso dietro il disprezzo verso le persone e le istituzioni, sentimenti che in realtà riflettono il disprezzo che l’individuo, intimamente, prova verso se stesso (Erikson, Teoria Psicosociale dello Sviluppo da i I cicli della vita, 1987).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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