Nella pratica clinica, psicologo e paziente hanno congiuntamente accesso ai ricordi autobiografici grazie al linguaggio e alla narrazione. La capacità di narrare, intesa come funzione mentale, è fondamentale per dare un’organizzazione al proprio mondo interiore e per attribuire significati all’esperienza umana.
È difficile capire tutto questo. Se avessi una vita davanti a me, forse la passerei a raccontare questa storia, senza smettere mai, mille volte, fino a quando, un giorno la capirei.
Baricco, 2007
Memoria autobiografica e senso di Sé
La memoria autobiografica è la funzione umana che permette di organizzare le informazioni, derivanti dalle esperienze di vita personali, in relazioni a schemi e strutture di significato, consentendo l’integrazione di pensieri, rappresentazioni, affetti, bisogni, desideri dell’individuo (Rubin, 2003).
Nell’ambito della psicologia, si è posta molta attenzione all’utilità dei ricordi autobiografici nei percorsi di psicoterapia (Angus e Hardtke, 2007). Come affermava Bauer (Bauer, Hertsgaard e Dow, 1994), infatti, le caratteristiche di autoconoscenza di tali ricordi contribuirebbero alla percezione di coerenza personale e di un senso di sé nel tempo.Grazie alla memoria autobiografica, infatti, una particolare esperienza viene inserita all’interno di una trama più ampia (Smorti, 2007), il che permette il continuamento di quel “fil rouge” che consente all’individuo di percepirsi come unico e costante, come integrato nelle diverse parti di sé e nei diversi episodi di vita. Il senso di coerenza, infatti, riguarda i rapporti sia tra diversi eventi di vita, sia tra varie dimensioni costituenti gli eventi (emozioni, rappresentazioni, comportamenti…) (Conway, 2005).
La narrazione nella pratica clinica
Nella pratica clinica, psicologo e paziente hanno congiuntamente accesso ai ricordi autobiografici grazie al linguaggio e alla narrazione.
La capacità di narrare, intesa come funzione mentale, è fondamentale per dare un’organizzazione al proprio mondo interiore e per attribuire significati all’esperienza umana. Possiamo intendere la narrazione come racconto del Sé (Mittino e Maggiolini, 2013), che si sviluppa nel ripercorrere eventi ed esperienze, attribuendo emozioni e idee, contribuendo così alla formazione dell’identità (Bruner, 2002). A tal proposito Stern (1987), infatti, identifica il Sé narrativo come ultima tappa dello sviluppo del sé.
Secondo Dimaggio (Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore, 2013), l’accesso a episodi narrativi specifici è fondamentale per l’identificazione degli schemi che strutturano il sistema di attribuzione di significato dell’individuo e che, proprio per questo, contribuiscono al maggiore o minore benessere psicologico. La narrazione di un’esperienza consentirebbe, inoltre, l’attivazione di collegamenti con altre esperienze simili per qualche aspetto, mostrando ricorsività più o meno adattive nel proprio modo di pensare, esperire e comportarsi, materiale prezioso per il lavoro terapeutico.
La narrazione è uno strumento potente sotto diversi punti di vista.Secondo Bergner (2007), una delle principali potenzialità della narrazione in ambito terapeutico è quella di permettere al paziente di “impacchettare cognitivamente” il proprio problema. Raccontare è mettere a fuoco una determinata questione all’interno di un contesto, collegarla a ciò che la precede (antecedenti) e a ciò che la segue (conseguenze), trovare importanti relazioni con altri fattori, notare le proprie tendenze nell’interpretazione degli eventi e nel comportarsi. Tutto questo sfocia in un miglioramento dell’autocomprensione.
Oltre a questo, la narrazione permette di uscire dal ruolo del protagonista assumendo la posizione di spettatore dei fatti. In questo modo avviene un distacco emotivo che facilita da un lato l’attenuazione delle resistenze verso i contenuti del tema trattato (De La Torre, 1972) e, dall’altro, una visione più oggettiva degli eventi, dovuta all’esternalizzazione del focus attentivo.
La narrazione permette quindi di ricostruire e di dare significato ad alcune esperienze della propria vita (Smorti, 2007). L’individuo, nel narrarsi, aumenta la consapevolezza e la conoscenza di sé, elabora gli eventi e li colloca sulla sua linea evolutiva, riformula il senso del sé evitando fratture e incongruenze.
Raccontarsi è, possiamo dire, già un processo terapeutico.